La volatilità non ci abbandona. Dopo oro e commodities le scorse settimane hanno portato periodici sconquassi in svariate asset-class: prima è stato il turno del Nikkei, poi dei mercati emergenti, valute e tassi assieme. Settimana scorsa è arrivato il momento dello yen. Quando il Usd/Jpy nella prima parte di maggio aveva rotto al rialzo il livello 100 che non vedevamo da anni, si era trascinato dietro il rafforzamento del dollaro contro molte valute. Giovedì e venerdì la discesa da 99 a 95 ha provocato un movimento ancora più violento di riduzione delle posizioni che ha colpito invece le posizioni lunghe dollaro, uno dei trade più popolari degli ultimi mesi. Le banche centrali ci hanno regalato tassi bassi e mercati finanziari, azionari e obbligazionari, splendidamente supportati per mesi. Il contrappasso da pagare ora è chiaro: un mondo dove il livello medio di volatilità nei mercati finanziari è destinato a rimanere alto. Si continua a guardare con grande attenzione all’economia americana. Dalla sua evoluzione dipende l’atteggiamento della Federal Reserve che è stata negli ultimi anni la più potente dispensatrice di liquidità. Se i dati riusciranno ad essere come quello di venerdì (buoni abbastanza da allontanare il timore di un rallentamento pericoloso ma non a sufficienza da innescare la paura che Bernanke possa finalizzare una exit strategy anticipata) i momenti difficili, sempre più frequenti, continueranno ad essere occasioni di acquisto. Ma il sentiero è sempre più stretto, anche perché le notizie provenienti dalla Cina non sono buone e l’Europa continua a stentare economicamente senza troppo aiuto da un’ECB divisa. Il dollaro continua ad essere un buon investimento a nostro avviso, ma con la volatilità che ci aspetta, non sarà un trade facile.