Caro bollette: nuovi aiuti per famiglie e aziende

Il nuovo decreto che prevede di fornire aiuti all’economia è atteso per la prossima settimana in Consiglio dei ministri e andrà a prevedere anche l’inserimento di una serie di ulteriori provvedimenti funzionali ad arginare il caro-bollette. Allo stato attuale gli interventi sono al centro di un lavoro da parte dei tecnici di Palazzo Chigi e del ministero dell’Economia.

Image

Il nuovo decreto che prevede di fornire aiuti all’economia è atteso per la prossima settimana in Consiglio dei ministri e andrà a prevedere anche l’inserimento di una serie di ulteriori provvedimenti funzionali ad arginare il caro-bollette.

Allo stato attuale gli interventi sono al centro di un lavoro da parte dei tecnici di Palazzo Chigi e del ministero dell’Economia. 

Le prime indicazioni trapelate fanno pensare anche ad un pacchetto di aiuti che riguarderanno il sostegno agli impianti sportivi pubblici che risultano condizionati dalla concomitanza della limitazione degli ingressi e l’impennata dei costi dell’energia. 

La cifra ipotizzabile per questo tipo di intervento potrebbe attestarsi sui 2-300 milioni ed entrerebbe a pieno titolo tra gli aiuti forniti ai Comuni, che attualmente risultano proprietari di moltissimi di questi impianti.

Va segnalato che nei giorni scorsi i sindaci, che pagano circa 1,8 miliardi in utenze, hanno scritto al Mef stimando in circa 550 milioni i maggiori costi causati dall’incremento dei prezzi dell’energia.

Caro bollette: i piani di Governo

Il tema maggiormente discusso e di interesse resta comunque quello delle imprese sul quale, come ha recentemente anticipato il premier nel corso della conferenza stampa, il governo sta valutando un meccanismo con il quale, gli operatori energetici, che hanno tratto grandi profitti dalla vendita dell’energia, andrebbero a fornire un contributo di solidarietà al sistema. 

Per rendere l’idea del contesto basta dire che quest’anno la bolletta energetica per le imprese è di 37 miliardi contro gli 8 del 2019 e i 21 del 2020. Un rincaro importante che mette a rischio la crescita di tutto il sistema imprenditoriale italiano.

Ad affermarlo è stato l’altro giorno il delegato per l’energia di Confindustria, Aurelio Regina, che ha sottolineato la responsabilità nazionale sul settore e l’economia di cui devono farsi carico la politica e il governo, nello stesso modo in cui si sta lavorando per contrastare l’emergenza pandemica in atto.

Perché di emergenza si tratta anche nel caso dell’energia poiché il problema non si esaurirà con la primavera, come inizialmente era stato previsto. Ma rappresenterà un tema strutturale che nella prospettiva del 2022 potrebbe avere un’incidenza di ben 37 miliardi e nel 2023, dovrebbe scendere nuovamente ma a 21 miliardi e non più agli 8 del recente passato, rappresentando quindi un onere ancora molto consistente rispetto al 2019.

Occorrerà quindi stabilizzare i prezzi e assicurare gli approvvigionamenti, riducendo la dipendenza dalla Russia di Putin e cercare delle soluzioni con la Ue circa possibili acquisiti e stoccaggi comuni. Nel medio periodo l’obiettivo da raggiungere sarà necessariamente di incrementare la nostra attuale produzione interna e di andare a definire un piano con il quale si andrà a riformare il mercato elettrico che Confindustria presenterà a breve.

Riguardo il primo tema, ossia l’incremento di produzione, va detto che attualmente l’estrazione in Italia è di 4 miliardi di metri cubi a fronte di un consumo di 72, mentre in passato erano circa 20 i miliardi di metri cubi prodotti e si decise strategicamente di ridurre la produzione senza nemmeno considerare di utilizzare dei nuovi giacimenti.

Quindi, secondo le stime di Confindustria, nel giro di 12-15 mesi si potrebbe raggiungere una produzione di 8 miliardi di metri cubi che sarebbero destinabili all’industria mediante un investimento di circa 2 miliardi, senza dover ricorrere a nuovi lavori di perforazioni.

Perché questo possa accadere però occorrerebbe l’emanazione di un decreto e gestire, intanto, la situazione attuale, con particolare attenzione al sistema imprenditoriale. Confindustria, ad esempio, suggerisce di poter cedere a prezzi estivi, con uno sconto del 30%, 3 miliardi di gas a beneficio dei settori industriali a rischio delocalizzazione.

È qualcosa su cui attivarsi quanto prima come stanno facendo i nostri competitors Germania e Francia, primo e terzo paese industriale nella Ue, che stanno tutelando i loro sistemi industriali con differenti strategie che si stanno rivelando efficaci.

A queste misure andrebbero, inoltre, ad aggiungersi quelle che, dal primo aprile, vedranno entrare in vigore il decreto che riguarderà i gasivori, che porterà alle imprese un risparmio di circa 850 milioni

Caro bollette e i rischi connessi al passaggio all’energia verde

Intanto il passaggio dal vecchio al nuovo all’interno del processo di transizione nei sistemi elettrici europei e italiano porta a non trascurare i rischi per cui gli esperti del settore invitano alla prudenza per i prossimi mesi: è il caso degli avvertimenti del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) fino ai recenti studi del World Energy Council che nel documento presentato a dicembre ha dato un monito importante circa la rischiosità per il sistema che gli elementi di rischio non si vadano a sommare.

Qualora, questi elementi di rischiosità si verificassero tutti insieme, le fragilità della transizione energetica potrebbero generare una importante criticità. 

Infatti, il delicato passaggio verso la produzione di energia verde richiedete tempo poiché le fonti rinnovabili d’energia, incostanti come il vento e ingovernabili come il sole, non stanno crescendo abbastanza velocemente per poter sostituire le vecchie modalità di produzione.

Ad esempio, la Germania sta pagando un contributo del vento minore delle attese. Lo stesso sta accadendo anche nel mare del Nord. Il nucleare francese, ormai vecchio, necessità di soste sempre più frequenti che potrebbero andare a ridurre le disponibilità di energia sulla linea d’importazione fra Grand’Ile-Rondissone (Torino).

Vengono quindi meno le grandi e potenti centrali del passato, come quelle a carbone, a beneficio di tantissimi piccoli impianti che però andrebbero a diminuire la stabilità dell’alta tensione. In attesa di batterie che permettano di consolidare il sistema elettrico, l’intento dei governi è di programmare centrali a gas.

Tutto questa sta portando ad un incremento accelerato dei costi e, nel contempo, un blocco negli investimenti già pianificati che impiegavano vecchie energie fossili, portando così ad una possibile incertezza circa il contributo di adeguate risorse energetiche per il futuro.

Inevitabile, quindi, che i costi di questi fenomeni ricadano sui consumatori spesso in modo poco percettibile, come sta accadendo anche in Italia.

Caro bollette: nuove soluzioni al vaglio

Il governo, in un contesto particolarmente delicato, cerca soluzioni mediante anche l’utilizzo di contributi da parte dei fornitori di energia. Una misura che trova un precedente in cui l’esecutivo non vorrebbe incorrere: la Robin tax, ossia l’addizionale Ires imposta ai big dell’energia che fu dichiarata incostituzionale nel 2015. Una iniziativa che andrebbe calibrata rispetto alla durata e al perimetro di applicazione.

La viceministra al Mef ha riportato che si sta ragionando anche sull’ipotesi di considerare la norma sui proventi delle aste CO2. Nel 2021 questi proventi hanno portato 2,5 miliardi, ma anche in questo caso esistono dei vincoli rappresentati dalla loro destinazione che è vincolata per legge (metà dell’ammontare è destinata alla riduzione del debito pubblico, mentre la restante quota del 50% è suddivisa tra ministero della Transizione ecologica e al e il dicastero dello Sviluppo Economico).

Anche il ministro leghista dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, si occuperà dell’argomento con la creazione di un tavolo di lavoro insieme con le aziende energivore per capire in che modo assolvere alle loro esigenze. Per la Lega e il suo leader, Matteo Salvini è urgente che il governo approvi un decreto-legge urgente che stanzi alcuni miliardi con l’obiettivo di gestire i rincari di luce e gas.

Caro bollette: la soluzione della Spagna non funziona 

Nel settembre scorso il governo della Spagna ha provato a cercare delle soluzioni per arginare il fenomeno dei rialzi dell’energia. Innanzitutto, l’azione è stata realizzata mediante l’adozione della fiscalità, ossia riducendo l’imposta sull’elettricità e quella relativa all’Iva.

E in secondo luogo andando a richiedere ai produttori di energia che non emettono C02 i margini più elevati ricavati con la vendita di elettricità.

La proposta era stata varata con decreto dal governo Sanchez e andava a modulare un mix composto da misure temporanee e strutturali: nel breve periodo avrebbero dovuto calmierare gli incrementi per famiglie e imprese, attraverso il cosiddetto clawback, un meccanismo che fissava un prezzo di vendita di riferimento di 20 euro a megawattora andando a stabilire che gli utili prodotti con prezzi di vendita superiori alla cifra indicata avrebbero dovuto essere restituiti allo Stato nella misura del 90 per cento. Intanto i prezzi dell’energia toccavano nuovi picchi a 150 euro a megawattora.

Madrid contava con questa iniziativa di recuperare 2,6 miliardi di euro fino a marzo 2022, stimando una conclusione sulle tensioni sulle quotazioni internazionali del gas.

Quindi una scelta fatta in continuità con un progetto di legge in discussione dalla scorsa estate in parlamento, con il quale si andavano a ridurre gli extra profitti percepiti da impianti di generazione elettrica non emettitori di CO2, entrati in attività antecedentemente al 2005: centrali nucleari, impianti idroelettrici, solari ed eolici.

Il governo aveva spiegato l’iniziativa in parlamento come una misura temporanea e di natura straordinaria funzionale ad ammortizzare un rincaro dei prezzi frutto di un contesto senza precedenti. 

La conseguenza è stata di ricevere molti ricorsi in tribunale e un notevole impatto sulle quotazioni di titoli di società energetiche come Iberdrola e Endesa.

Così a metà ottobre l’esecutivo spagnolo è dovuto tornare indietro sulla propria posizione anche per effetto dell’evidente iniquità che si era venuta a creare sui numerosi contratti di vendita sul lungo periodo, in cui gli operatori avevano venduto energia con riferimento ai prezzi dell’anno precedente, dunque senza andare a beneficiare degli incrementi e dovendo comunque rinunciare a una forma di remunerazione.

Di conseguenza il governo spagnolo ha adottato un modello molto più blando, con il quale si va a prendere a riferimento un prezzo definito ragionevole condiviso e non più imposto agli operatori.