La recente sentenza della Corte Suprema sui licenziamenti ingiustificati conferma un principio in sé ovvio. Ma l’applicazione di questo principio nel caso concreto sembra indicare il persistere di una “fronda giudiziale” contro la riforma dei licenziamenti del 2012-2015.
Nei primi commenti a caldo, la sentenza della Corte di Cassazione dell’8 maggio 2019 n. 12174, in tema di sanzioni contro i licenziamenti ingiustificati, da alcuni viene additata come un terzo episodio – dopo il “decreto dignità” e la sentenza n. 194/2018 della Corte costituzionale – di sgretolamento della riforma di questa materia varata col Jobs act del 2015; da altri invece viene considerata come la riconferma di un principio da tempo pacifico, sul quale nessuno può ragionevolmente dissentire. Cerchiamo di capire come stanno davvero le cose.
Dalla property rule alla liability rule
La riforma Fornero del 2012 contiene la regola generale secondo cui la reintegrazione nel posto di lavoro – qualificabile secondo la teoria generale come una property rule – deve essere disposta dal giudice soltanto quando l’invalidità del licenziamento dipenda dall’accertamento di un fatto: la lesione di un diritto assoluto della persona. Per esempio, la discriminazione razziale o religiosa, la rappresaglia antisindacale, il fatto che la lavoratrice licenziata fosse incinta o che avesse appena partorito, e così via. Quando, invece, l’invalidità del licenziamento viene dichiarata sulla base di una valutazione discrezionale, da parte del giudice, circa la gravità del motivo economico o disciplinare addotto dal datore di lavoro, la sanzione applicabile non è la reintegrazione nel posto di lavoro ma soltanto – come in tutti gli altri ordinamenti europei – un indennizzo, entro un minimo e un massimo stabilito dalla legge: quella che la teoria generale qualifica come una liability rule. In questo quadro, è logico che la stessa legge Fornero preveda la reintegrazione anche per il caso in cui il fatto contestato dall’impresa al lavoratore come infrazione disciplinare non sia mai accaduto: qui la pronuncia del giudice non si basa su di una valutazione discrezionale circa la sufficienza del motivo addotto dall’impresa, ma sull’accertamento di un fatto: un vero e proprio grave abuso del potere disciplinare, che si concreta in una contestazione menzognera.