Crolla il consumo di carburanti e le casse dello stato piangono

Il blocco delle attività causato dal Covid-19 ha fermato quasi del tutto il trasporto di persone e merci. Per lo stato significa perdere buona parte dei circa 25 miliardi di entrate da accise sui carburanti. E c’è poi da aggiungere la perdita sull’Iva.

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Il blocco delle attività causato dal Covid-19 ha fermato quasi del tutto il trasporto di persone e merci. Per lo stato significa perdere buona parte dei circa 25 miliardi di entrate da accise sui carburanti. E c’è poi da aggiungere la perdita sull’Iva.

Il coronavirus ha fermato i trasporti

La pandemia da Covid-19 mette a dura prova le economie di tutti gli stati, come in precedenza ha fatto con i loro sistemi sanitari. Ogni governo ha così dovuto accantonare i propri progetti politici per impegnarsi a destinare risorse ai settori più colpiti.

L’esecutivo italiano, oltre a condurre una serrata trattiva con le istituzioni europee per la creazione di nuove opportunità di finanziamento statale, è intervenuto con importanti risorse a sostegno della popolazione attraverso il decreto “Cura Italia”, benché gli effetti stentino ancora a vedersi.

Nell’affannosa ricerca di denaro per contrastare le conseguenze negative del coronavirus, il governo Conte bis dovrà fare a meno delle preziose risorse provenienti dalle accise sui carburanti. Una ricerca del Centro studi Promotor, basata sui dati forniti dal ministero dello Sviluppo economico, ha infatti messo in evidenza come a causa del calo dei consumi e dei prezzi del carburante nel solo mese di marzo l’erario italiano abbia visto ridursi di 1,3 miliardi le proprie entrate provenienti da quella voce di bilancio.

Poiché le misure di lockdown non hanno riguardato l’intero mese di marzo, in aprile la cifra è destinata ad aumentare ulteriormente. L’Unione Petrolifera, associazione che rappresenta le principali società che operano nel settore, stima che in aprile si sia registrato un calo del consumo di benzina e diesel per il trasporto passeggeri del 75 per cento e del diesel destinato al trasporto merci di quasi il 50 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Una tassa che vale più di 25 miliardi l’anno

Le accise che gravano sui diversi carburanti sono importanti fonti di finanziamento per la spesa pubblica italiana. Nel 2019 la voce “accisa sui prodotti energetici, loro derivati e prodotti analoghi” – il modo ufficiale in cui lo stato definisce questo tipo di tassa – ha contribuito al bilancio nazionale per 25,3 miliardi di euro. E nel quadriennio 2015-2018 l’erario aveva raccolto in media 25,53 miliardi l’anno. L’utilizzo del carburante, però, produce un doppio guadagno per lo stato: a questa cifra devono infatti essere aggiunti i proventi derivanti dall’Iva.

Oggi per ogni litro di benzina che si acquista l’importo dell’accisa definito per legge è di 0,73 euro, mentre per un litro di diesel è di 0,62 euro. A entrambi va aggiunta l’Iva del 22 per cento.

Dunque, prendendo come riferimento un prezzo di 1,57 euro/litro, quello medio di un litro di benzina nel 2019 in Italia, la componente fiscale è di 1,01 euro (64 per cento sul totale), dove 28 centesimi sono la quota rappresentata dall’Iva.

Le imposte sui carburanti, a differenza di quelle sull’alcol o sul gioco, sono sempre state utilizzate per affrontare impellenti necessità economiche dello stato. Tralasciando la prima imposta italiana sul carburante che venne istituita da Benito Mussolini per finanziare la guerra in Etiopia, lo stato italiano vi ha fatto ricorso per raccogliere denaro per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont e il terremoto dell’Irpinia. In tempi più recenti, i vari governi italiani hanno utilizzato questa metodologia di tassa per sostenere il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri e le popolazioni colpite dal sisma in Emilia e in Abruzzo.

Tutte queste imposte, tuttavia, non sono più in vigore, perché sono entrate nella fiscalità generale col decreto Dini del 1995. Quelle introdotte successivamente al 1995, invece, sono diventate strutturali con la legge di stabilità del 2013.

Oggi però il coronavirus ha capovolto la situazione. L’accisa sulla benzina si è trasformata da uno strumento di facile monetizzazione per lo stato in una voce di bilancio che non rispetta le stime previste a inizio 2020. Così, proprio in un momento di forte emergenza economica, il governo si trova a non poter utilizzare risorse su cui contava in modo sicuro solo qualche mese fa.

In aggiunta, altre imposte subiranno una netta diminuzione di gettito a causa delle limitazioni imposte per fronteggiare la pandemia. Nel Documento di economia e finanza il governo ha stimato una significativa contrazione sia dell’Irpef (-8,63 miliardi), sia dell’Iva (-13,38 miliardi), ma appare difficile ritenere che queste stime verranno rispettate per via del protrarsi delle norme restrittive e per l’imprevedibilità della diffusione del virus nei prossimi mesi.

Date le caratteristiche dell’emergenza sanitaria è difficile ipotizzare che tra breve sarà possibile tornare a usare l’auto – e la benzina – come si era soliti fare. La cifra di 1,3 di mancati introiti dalle accise solamente a marzo è indicativa delle risorse cui il governo dovrà probabilmente rinunciare nei prossimi mesi, anche quando la mobilità riprenderà vigore.

Per quanto riguarda il futuro, data la condizione di eccezionalità rappresentata dal Covid-19, si può immaginare che, appena la situazione sarà tornata alla normalità e i consumi ritroveranno un livello stabile, si ricorrerà a una nuova tassa sui carburanti per la necessità che l’Italia avrà di sistemare le casse statali. D’altronde, un aumento delle accise dei carburanti era in agenda per il 2020 e avrebbe raccolto 400 milioni di introiti. Le forze politiche avevano deciso per il rinvio a dicembre, quando ancora nessuno poteva immaginare che il mondo sarebbe stato travolto da una pandemia.

Di Alberto Chiumento