Per tre mesi gli americani hanno subito la perdita di libertà, sicurezza e prosperità in nome del controllo dei virus. L'impatto psicologico è devastante. Pensavamo di poter contare su diritti fondamentali e libertà , poi, nel giro di pochi giorni a marzo, tutto è finito in un modo che quasi nessuno poteva credere possibile.
Il modo in cui gli stati hanno affrontato i principi fondamentali della modernità è stato scioccante: metà del Paese è finito agli arresti domiciliari ed ogni movimento è stato controllato in disprezzo per la Carta dei diritti e tutti i precedenti legali, per non parlare della Costituzione. Sembrava un disfacimento coercitivo della stessa civiltà. Era come svegliarsi dopo un brutto sogno solo per guardarsi intorno e vedere le prove a dimostrazione che fosse tutto reale.
Come possiamo affrontare questo terrore che ci ha colpito? Un modo è capire se ne sia valsa la pena, forse non al netto date le conseguenze, ma sicuramente ne è venuto fuori qualcosa di buono. Se le mie email ed i miei feed sono giusti, è così che la maggior parte ha giustificato quanto accaduto. La psicologia qui è radicata nella fallacia dei costi irrecuperabili: quando si impegnano risorse per qualcosa, anche quando si tratta di un errore comprovato, si tende a trovare giustificazioni per continuare a sbagliare piuttosto che ammettere l'errore.
Quindi molte persone mi hanno scritto per dire che, se si è d'accordo o in disaccordo con il lockdown non importa, bisogna ammettere che ha salvato milioni di vite. Chiedo come lo facciano a sapere e mi inviano un link ad una proiezione, quelle stesse proiezioni che presumono ogni genere di cose su causa/effetto che non possiamo conoscere e che durante questa crisi si sono dimostrate più volte sbagliate.
Supponiamo quindi che sia possibile accreditare al lockdown il rallentamento della diffusione del virus e forse la conservazione della capacità ospedaliera (che si è rivelata superflua). Il virus non si annoia e non si sposta a Wuhan o su un altro pianeta. C'è ancora, quindi nella migliore delle ipotesi queste misure "prolungano il dolore", se vogliamo usare le parole di Knut Wittkowski.
Quindi anche se i lockdown rallentano la diffusione nel breve periodo, non è chiaro se hanno salvato vite, visto se si traduce in più morti altrove a causa di interventi chirurgici e diagnosi posticipati, suicidi, overdose di farmaci e depressione.
Il problema qui è che alcune caratteristiche di questa esperienza vanno a contraddire l'idea che i lockdown stiano salvando vite. A New York due terzi dei pazienti ricoverati in ospedale con COVID-19 erano tra coloro che sono rimasti a casa durante il lockdown, vivendo in isolamento forzato. Il lockdown non li ha aiutati; potrebbe aver contribuito a peggiorare le cose.
Nel frattempo, nonostante l'odio mediatico diffuso contro i giovani festaioli in Florida, dove centinaia di migliaia di persone hanno rifiutato di distanziarsi socialmente, devo ancora trovare un rapporto credibile sulle vittime che probabilmente erano imprevedibili. Questo perché i rischi per la popolazione più giovane sono trascurabili, come sappiamo da molto tempo ormai.
In molti Paesi più del 60% dei decessi è riconducibile alle case di riposo. I numeri negli Stati Uniti sono scioccanti.
Questi ambienti non sono né bloccati né aperti; il virus si è diffuso tra la popolazione più vulnerabile anche dopo una sola esposizione a causa della possibile negligenza e distrazione causata dalla frenesia di massa. Nel mezzo del lockdown del mondo intero, mentre i nostri politici erano consumati dal desiderio di far rispettare gli ordini di domicilio e di forzare il distanziamento sociale, la popolazione che aveva bisogno di più cure è stata trascurata. Ancora peggio, a New York, in California e nel New Jersey le case di riposo sono state costrette ad accogliere pazienti COVID-19.
Un modo in cui possiamo discernere se e in che misura i lockdown abbiano avuto effetti sull'infezione e sulla morte è quello di esaminare il caso empirico. Scrivendo sul Wall Street Journal, T.J. Rodgers ha esaminato tutti gli studi esistenti.
I lockdown rapidi funzionano per combattere la diffusione del Covid-19? Joe Malchow, Yinon Weiss e io volevamo scoprirlo. Abbiamo deciso di quantificare quanti decessi sono stati causati da lockdown ritardati su base statale.
Per normalizzarci ad un confronto inequivocabile delle morti tra stati nel punto medio dell'epidemia, abbiamo contato i decessi per milione di abitanti per un periodo di 21 giorni, misurato da quando il tasso di mortalità ha raggiunto per la prima volta 1 per milione. I "giorni di lockdown" di uno stato sono stati il momento in cui ha varcato la soglia dell'1 per milione fino a quando ha ordinato la chiusura delle aziende.
Abbiamo eseguito una semplice correlazione ad una variabile dei decessi per milione e dei giorni di lockdown, che sono variati da -10 giorni (alcuni stati sono andati in lockdown prima di un qualsiasi segno di Covid-19) a 35 giorni per il Sud Dakota, uno dei sette stati con un lockdown blando o assente. Il coefficiente di correlazione era del 5,5%, così basso che si potrebbe riassumere come "nessuna correlazione" e si potrebbe quindi cercare altrove la vera causa del problema. (Tra l'altro la linea di tendenza inclinata verso il basso afferma che i ritardi hanno contribuito ad avere tassi di mortalità più bassi.)
Non si possono trarre conclusioni sugli stati che hanno adoperato rapidamente il lockdown, poiché i loro tassi di mortalità hanno oscillato violentemente, dal 20 per milione in Oregon a 360 a New York. Questa ampia variazione significa che altre variabili, come la densità di popolazione o l'uso della metropolitana, erano più importanti. Il nostro coefficiente di correlazione per i tassi di mortalità pro capite rispetto alla densità di popolazione era del 44%. Ciò suggerisce che New York potrebbe aver beneficiato del lockdown, ma non ha senso copiare ciecamente le politiche di New York in luoghi con bassi tassi di mortalità Covid-19, come il Wisconsin.

Per quanto riguarda il fronte internazionale, si consideri il lavoro di Isaac Ben-Israel, capo del programma di Studi sulla sicurezza dell'Università di Tel Aviv e presidente del Consiglio nazionale per la ricerca e lo sviluppo. Il suo studio dettagliato da tutto il mondo confronta i Paesi chiusi con quelli che sono rimasti aperti. Il Times of Israel riassume le sue scoperte come segue.
Un eminente matematico, analista ed ex-generale israeliano afferma che semplici analisi statistiche dimostrano che la diffusione del COVID-19 raggiunge il picco dopo circa 40 giorni e diminuisce quasi a zero dopo 70 giorni, indipendentemente da dove colpisca e indipendentemente dalle misure che gli stati impongono per provare a contrastarlo.
Anche uno sguardo distratto alle società aperte di Svezia e Corea dimostra che hanno registrato tassi di letalità più bassi rispetto all'Europa e al Regno Unito. Anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha elogiato la risposta della Svezia.
E uno studio empirico molto accurato sui dati controfattuali in Svezia ha concluso:
Sulla base dei dati disponibili, scopriamo che un lockdown in Svezia non avrebbe limitato il numero di infezioni o il numero di decessi COVID-19. La teoria suggerisce che questo potrebbe essere il risultato di persone che mantengono una distanza sociale anche in assenza di un lockdown: potrebbero esserci, in altre parole, restrizioni sociali volontarie. Krueger et al. (2020), in particolare, lo dimostrano nel contesto di un modello formale e suggeriscono che questo potrebbe essere stato il punto di forza della Svezia
Infine abbiamo uno studio decisivo di Bloomberg che traccia con attenzione i lockdown e la morte, concludendo:
Non c'è correlazione tra la gravità delle restrizioni di una nazione e se è riuscita a contenere il numero di morti, una misura che esamina il numero complessivo di decessi rispetto alle normali tendenze.
Causa ed effetto sono notoriamente difficili da discernere negli affari umani su una scala macroscopica. Anche se è in qualche modo plausibile che il lockdown possa allontanare il virus, non ci si occupa della realtà: il virus c'è ancora lì, anche se temporaneamente contenuto (il che è discutibile).
Quarantene, blocchi, ordini di stare a casa e così via riflettono un pregiudizio premoderno e un impulso non scientifico a scappare e nascondersi, un metodo usato nel mondo antico tramite quarantene selettive in alcune città nel 1918. Poi siamo diventati intelligenti, abbiamo sviluppato la teoria moderna dei virus (ben spiegata qui) e li abbiamo evitati in ogni pandemia sin dalla seconda guerra mondiale. Poi, misteriosamente, un secolo è passato e siamo diventati di nuovo stupidi ed eccoci qui.
Il lockdown ha salvato delle vite? È possibile ma non è affatto provato, e le prove finora indicano il contrario. Non importa quanto proviamo a farci girare la testa, non importa quanto vogliamo credere che qualcosa di buono sia uscito da questa catastrofe, un giorno avremo tutti a che fare con la terribile ma probabile realtà che è stato tutto per nulla.
Concludo con le parole del grande medico a cui è attribuita l'eradicazione del vaiolo, Donald A. Henderson (1928-2016).
L'interesse per la quarantena riflette i punti di vista e le condizioni prevalenti più di 50 anni fa, quando si sapeva molto meno sull'epidemiologia delle malattie infettive e quando c'erano meno viaggi internazionali, in un mondo meno densamente popolato. È difficile identificare le circostanze nell'ultimo mezzo secolo in cui la quarantena su larga scala sia stata utilizzata per il controllo di qualsiasi malattia. Le conseguenze negative della quarantena su larga scala sono così estreme (confinamento forzato di malati con persone sane; completa restrizione dei movimenti di grandi popolazioni; difficoltà nell'ottenere rifornimenti, medicine e cibo, risorse critiche per le persone all'interno della zona di quarantena) che questa misura di mitigazione dovrebbe essere eliminata da una qualsiasi discussione seria.
Di Jeffrey Tucker
Traduzione di Francesco Simoncelli