Come il RdC ti spazza via l'assegno di divorzio

Il reddito di cittadinanza può essere una buona notizia per chi lo riceve, e un'ottima notizia per chi invece è tenuto a versare l'assegno di divorzio all'ex coniuge. In sostanza l'obbligo di assistenza passa allo Stato in tutti i casi di persone che non hanno un reddito proprio, ma potrebbero procurarselo iniziando a lavorare grazie alla formazione che gli vinee garantita assieme all'assegno mensile.

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L’arrivo del reddito di cittadinanza non poteva non andare a modificare gli equilibri anche nel delicato settore delle separazioni e dei divorzi. Non sono inaspettate le numerose cause che hanno visto come convenuti due ex coniugi: da un lato chi è tenuto a pagare l’assegno di mantenimento, che chiede di essere esonerato da questo obbligo visto che la parte debole dell’equazione può benissimo chiedere il reddito di cittadinanza e grazie a quello trovarsi un lavoro. Dall’altro lato chi invece percepisce l’assegno di divorzio e non solo non vi vuole rinunciare, ma ha già pensato di integrarlo con il sussidio statale.

Un po’ più inaspettati, tanto che il legislatore ha dovuto correre ai ripari integrando il disposto del Decreto Legislativo numero 4 del 2019, sono state le numerose richieste di separazione tra coniugi che si sono verificate a ridosso o nei mesi immediatamente successivi all’entrata in vigore della legge

No al binomio finta separazione e reddito di cittadinanza vero

In realtà marito e moglie che pur essendo separati continuano a vivere sotto lo stesso tetto, cercando per quanto possibile di fare vita autonoma è una situazione abbastanza diffusa e dovuta al fatto che spesso una coppia anche se separata non si può permettere l’affitto di due abitazioni e quindi se non ci sono particolari tensioni e gli spazi sono adeguati si adatta a questo compromesso. In questo non c’è nulla di illegale, se viene dichiarata l’esatta residenza.

Il contenuto piuttosto scarno della prima formulazione della legge sul reddito di cittadinanza, che in realtà diceva solo che chi vive sotto lo stesso tetto, anche se formalmente iscritto in uno stato di famiglia diverso è considerato come facente parte dello stesso nucleo familiare, senza prevedere il modo di verificare quale fosse l’effettivo stato dei fatti, ha lasciato strada libera a chi voleva tentare una truffa ai danni dello Stato.

Così si è verificato un aumento esponenziale sia delle richieste di separazione sia delle dichiarazioni di cambio di residenza presentate negli uffici anagrafici da parte di coppie che da anni vivevano sotto lo stesso tetto pur essendo formalmente separate. Per porre freno a questo aumento inspiegabile di crisi familiari, in sede di conversione in legge del decreto di attuazione del reddito di cittadinanza, è stato introdotto un emendamento che ha reso meno facili questi tentativi di truffa. Con la nuova formulazione dell’articolo 1 del DL 4 del 2019 è previsto che,

se la separazione è avvenuta dopo il primo settembre 2018 per essere ammessi al beneficio è richiesta la presentazione del verbale redatto dalla polizia locale sul cambio di residenza. 

Il verbale viene redatto da un ufficiale che si presenta al nuovo indirizzo di chi abbia chiesto un cambio di residenza. In genere chiede di accedere nell’abitazione per verificare che sia effettivamente abitata. Non c’è però alcun obbligo di spalancargli le porte di casa.

In quell’ipotesi, però ha la facoltà di tornare a sorpresa e di fare ulteriori indagini per esempio tra i vicini, o presso i fornitori di servizi essenziali. In caso di esito negativo del controllo chi ha dichiarato una residenza inesistente potrà essere indagato per falso in atto pubblico. La richiesta di cambio di residenza, poi sarà revocata. Naturalmente reddito di cittadinanza, o altri tipi di benefici che sono stati concessi sul presupposto di avere una residenza diversa da quella iniziale saranno in pericolo. 

Il reddito di cittadinanza riduce l’assegno di mantenimento

Molti sono i coniugi tenuti a versare l’assegno di mantenimento che hanno visto nel reddito di cittadinanza un’opportunità per ridurre la somma da consegnare mensilmente all’ex non convivente. Una della prime cause che è arrivata a una decisone, tra le numerose che hanno affollato le aule giudiziarie è quella chiusa dal Tribunale di Frosinone con la sentenza del 18 febbraio 2020. Il Tribunale ha stabilito che

il reddito di cittadinanza costituisce un elemento che è sopravvenuto rispetto alla situazione economica in essere al momento in cui è stata fissata l’entità dell’assegno di mantenimento. Premesso questo, vale come motivo per rivalutare la somma stabilita inizialmente. 

In realtà il problema è più complesso di così, perché l’assegno di mantenimento deve essere dichiarato al momento della richiesta del reddito di cittadinanza e ne influenza l’entità. Chi riceve il sussidio però si vede ridotto o revocato l’assegno e di conseguenza il suo reddito è inferiore a quello inserito nella domanda per il RdC.

Altro problema è che quest’ultimo ha comunque natura temporanea, e nel momento in cui scadranno i termini il coniuge si troverà nuovamente nella situazione iniziale con la possibilità di chiedere che gli venga nuovamente concesso il mantenimento dall’ex. Probabilmente in tutto questo giocherà un ruolo fondamentale la capacità di mediazione del giudice investito della decisione. 

Cosa è l’assegno di mantenimento e come si concilia col reddito di cittadinanza

La legge 898 del 1970 che ha introdotto il divorzio nel nostro ordinamento, all’articolo 5 ci dice che al giudice spetta riconoscere l’assegno di divorzio e per farlo deve prima verificare che i mezzi a disposizione della parte più debole siano inadeguati e che inoltre questa non sia in grado per ragioni oggettive di procurarseli. In definitiva qui ci si riferisce a persone che per ragioni di età, fisiche o di salute non siano in grado di lavorare.

La legge prosegue affermando che i provvedimenti sono emessi tenendo conto delle condizioni di quel momento, quindi è sempre possibile su istanza del coniuge che il Tribunale disponga la revisione delle disposizioni concernenti l’assegno di mantenimento per figli e coniugi qualora, dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvengano giustificati motivi che ne rendano opportuna la modifica.

La norma ci dice in sostanza che l’assegno viene calibrato sulla base delle condizioni che ci sono al momento della pronuncia della sentenza. Appare piuttosto probabile che nel corso degli anni uno o più elementi cambino. In quel caso sia il debitore che il creditore possono chiedere una revisione dell’entità dell’assegno giustificata da un miglioramento o peggioramento delle condizioni economiche. 

Nel 2019 una sentenza storica ha cambiato l’orientamento giurisprudenziale modificando i criteri da utilizzare per determinare l’entità dell’assegno di mantenimento. Secondo la sentenza numero 24393 del 2019 della Corte di Cassazione

l’assegno di divorzio ha natura assistenziale cioè ha lo scopo di dare un sostegno a qualcuno che non sia in grado di procurarsi in autonomia un reddito minimo. Da queste deriva che per giustificarlo non basta il divario economico tra i coniugi. È necessario che il coniuge creditore non abbia le condizioni economiche minime.

Necessario inoltre che non si trovi nelle condizioni di chiedere un aiuto da un’altra parte, per esempio attraverso lo strumento del reddito di cittadinanza.

Niente assegno al coniuge che potrebbe chiedere il reddito di cittadinanza e non lo fa

Come abbiamo visto l’assegno di divorzio non è qualcosa di automatico che segua la sentenza che dichiari lo scioglimento del vincolo matrimoniale. In realtà soprattutto nel caso di coniugi giovani e sani, quindi potenzialmente in grado di trovarsi un lavoro non sempre è così. Di solito i giudici sono orientati nel valutare caso per caso, e nel richiedere che il coniuge privo di lavoro, quantomeno si impegni per diventare autonomo economicamente. Per esempio presentando la DID all’ufficio di collocamento, frequentando corsi di aggiornamento e inviando domande di lavoro. 

Si tratta in sostanza della stessa cosa che è richiesta a chi ha diritto al reddito di cittadinanza. In un caso arrivato davanti al Tribunale il giudice ha rifiutato a una signora l’assegno divorzile perché la richiedente era in condizioni di ottenere benefici pubblici in misura addirittura superiore al reddito percepito ed a quest’ultimo maggiorato dall’assegno di divorzio.

In questo caso il principio è di tenere conto non solo del reddito effettivamente percepito ma anche di quello percepibile. In sostanza visto che la signora aveva il diritto a un sussidio, il mantenimento non era dovuto anche se lei in effetti non aveva pensato di chiederlo. La stessa regola potrà essere estesa anche al reddito di cittadinanza. 

Assegno di separazione e di divorzio hanno effetti diversi sul reddito di cittadinanza

Fermo restando quanto detto sopra, nel valutare se il reddito di cittadinanza si sommi o si sostituisca all’assegno di mantenimento bisogno tenere presente che, la somma dovuta da un coniuge in caso di divorzio e in caso di separazione ha natura diversa. Questo dipende dal fatto che in caso di separazione il matrimonio continua a esistere e le parti continuano a conservare una parte degli obblighi che discendono dal vincolo matrimoniale. In caso di divorzio, invece il matrimonio cessa di esistere e i due coniugi non hanno più obblighi, salvo eventualmente quello di versare un assegno.

L’assegno di separazione ha lo scopo di fare mantenere al coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita a cui si è abituato nel corso del matrimonio. L’assegno di divorzio invece ha lo scopo di assicurare al coniuge più debole il minimo necessario per vivere.

In quest’ultimo caso si dovrà a maggior ragione tenere conto della capacità di ottenere un reddito anche ricorrendo alla richiesta del reddito di cittadinanza. A questo proposito vale la pena richiamare il disposto della Corte di Cassazione che con la sentenza 17199 del 2013 ha stabilito che si devono valutare tutte le altre circostanze non indicate specificamente né determinabili a priori ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico o comunque apprezzabili in termini economici suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti.