Il debito pubblico italiano, circa 2300 miliardi di euro, è tradizionalmente lo spauracchio degli investitori all’avvicinarsi delle elezioni italiane, fonte di incertezza. L’Italia ha il 132% di rapporto fra debito e prodotto interno lordo, il secondo per dimensione in Europa, dopo la Grecia (dove il rapporto debito/pil sfiora il 180%). Il tasso di disoccupazione è all’11%, superiore alla media europea all’8.7%. I non performing loans, crediti deteriorati, sebbene in diminuzione, restano elevati. Tanta legna sul fuoco per alimentare la speculazione e infiammare la stampa estera, feroce critica del Belpaese.
Perché, a dispetto dei pessimisti, a pochi giorni dalle elezioni i Titoli di Stato italiani fanno spallucce, mansueti come pecorelle, con rendimenti negativi fino alla scadenza due anni? Da un lato, il mercato ha iniziato a scontare l’incertezza elettorale sulla notizia, a metà dicembre 2017, con rendimenti dei BTP saliti da area 1.60% al 2% di rendimento. D’altro canto, il coro degli investitori ritiene più probabile un prossimo governo di larghe intese con mantenimento dello status quo,piuttosto che uno scenario estremo. Poi, rimane la fiducia nella BCE, che come un cerbero buono, difende i Titoli governativi europei dalla speculazione.
Si aggiunga a questo che negli ultimi anni il Ministero del Tesoro si è finanziato con astuzia, riducendo le emissioni a tasso variabile (difficile pensare a tassi più negativi di oggi) e allungando la scadenza media del debito a tasso fisso, 6.9 anni nel 2017. Nel periodo 1990-1998, riporta Bloomberg, la scadenza media del debito italiano era inferiore ai 4 anni. Ciò assicura un bel polmone d’ossigeno all’Italia, anche se le condizioni di mercato dovessero peggiorare.