Inflazione un fenomeno davvero transitorio?

Inflazione, è ancora da considerare un fenomeno solo transitorio? Le banche centrali temporeggiano, il fronte dei negazionisti aumenta! Ad oggi la diffusione dell'inflazione è sempre più un fenomeno trasversale che sta interessando tantissimi paesi.L'Eurostat stima per Eurolandia un tasso d'inflazione atteso del 2,5% per il 2022, mentre al di là dell'Atlantico, negli Stati Uniti, ad ottobre, l’inflazione ha raggiunto il picco massimo del +6,2 su base annua, valore che non si osservava da circa trent’anni. Nonostante questo le banche centrali continuano con un atteggiamento attendista, mentre cominciano ad ingrossarsi le file degli analisti che non credono più alla transitorietà del fenomeno. Tutti i punti di vista spiegati all'interno dell'articolo.

Image

Ad oggi la diffusione dell'inflazione è sempre più un fenomeno trasversale che sta interessando tantissimi paesi.

L'Eurostat stima per Eurolandia un tasso d'inflazione atteso del 2,5% per il 2022, mentre al di là dell'Atlantico, negli Stati Uniti, ad ottobre, l’inflazione ha raggiunto il picco massimo del +6,2 su base annua, valore che non si osservava da circa trent’anni. Questo dato già da solo spiega l'eccezionalità della situazione.

Ma se passiamo da occidente ad oriente, la situazione non cambia. Anche le grandi economie orientali sono strette da una morsa inflattiva.

In Russia, stime attestano che l’inflazione a fine anno potrà raggiungere l’8% su base annua, mentre in Cina, per la quale va detto ci troviamo di fronte a dati non sempre veritieri, comunque l’indice dei prezzi alla produzione fa registrare un +10,7% a settembre, anche questo dato espresso su base annua.

Inflazione: le cause dell'aumento dei prezzi.

Le cause alla base di questa impennata inflattiva sono diverse, e il fatto che le economie delle varie nazioni siano fortemente interconnesse, non fa che rafforzarne la portata.

Tra le diverse cause, senza dubbio ciò che ha contribuito molto al rialzo generalizzato dei prezzi, è stato l’aumento dei prezzi dell’energia. 

L'Istat ad esempio, stima che circa il 25% dell’aumento inflattivo registrato ad ottobre sia dovuto ai prezzi dei beni energetici, la cui componente regolamentata è cresciuta del 42,3%, mentre quella non regolamentata si è fermata al 15%. 

Allargando ulteriormente lo sguardo e varcando i confini italiani, anche altre indagini condotte fanno sostenere alla Bce, che l’energia sia il principale driver dell’inflazione da oltre 5 mesi. Sull'aumento del costo dell'energia hanno agito congiuntamente più cause. 

Lo scorso inverno è stato particolarmente rigido e prolungato e questo ha avuto come effetto l’utilizzo di molte riserve. La Russia, che da solo fornisce circa un terzo del gas che viene consumato in tutta Europa, per questo motivo e per ragioni di natura prettamente geopolitica, ha limitato i rifornimenti in tutto il vecchio continente. 

In aggiunta a questa situazione, la ripresa post pandemica da parte delle industrie cinesi, ha ampliato notevolmente la loro domanda di energia, calamitando gran parte dell’offerta.

Questo i fattori principali che hanno contribuito ai rincari delle fonti energetiche, tuttavia all'inflazione, abbiamo detto, hanno contribuito differenti cause, e proprio l'uscita dalla fase più intensa della pandemia è stato un altro aspetto che ha pompato il fenomeno inflattivo verso l'alto.

I prezzi ad oggi sono spinti verso l’alto proprio perché la domanda per beni e servizi non è bilanciata da un'adeguata offerta. Il settore industriale arranca nel soddisfare tutte le richieste dei consumatori che stanno tornando a spendere dopo che sono venute meno le restrizioni imposte dai lockdown. 

In aggiunta, la liquidità aggiuntiva distribuita dai vari governi durante la pandemia con politiche di sostegni e bonus vari, ha avuto come effetto quello di ampliare la platea delle persone e delle imprese con risorse economiche aggiuntive da spendere per consumi e servizi vari.

A questa crescita inaspettata e reattiva della domanda però, ha fatto da contraltare un'offerta molto lenta nell'adeguamento della risposta, che si è tradotto in termini pratici, in enormi problemi sul commercio mondiale come il fenomeno delle strozzature o bottlenecks (colli di bottiglia) delle catene di approvvigionamento, che si è manifestato con intoppi nel trovare container per trasportare le merci e di conseguenza con lunghi tempi di attesa per le navi per entrare in molti porti. 

Questi ostacoli ovviamente di rimando sono ricaduti a cascata sui prezzi delle materie prime, il cui reperimento è diventato sempre più complicato. 

Inflazione: le variabili sulle quali agire.

Alla luce di questa impennata generalizzata dei prezzi pertanto, ci si domanda chiaramente quali siano le possibili azioni da intraprendere per poter gestire questo fenomeno inflazionistico.

La prima risposta è abbastanza ovvia e direttamente conseguenziale a ciò che abbiamo sopra descritto, ovvero una normalizzazione dei prezzi dell’energia, sarebbe senza dubbio la mossa che più rapidamente di altre la potrebbe far ridurre nel breve termine.

Ma se questa soluzione sembra la più ovvia, possiamo dire che è semplice da eseguire solo in linea teorica, più difficile da realizzare in pratica nell'attuale contesto storico-politico. Oltre a questo aspetto, però, ce ne sono altri due sui quali si può tentare di agire per cercare di tener sotto controllo l'inflazione.

Il primo si riferisce direttamente al settore industriale che in un futuro, si spera più prossimo possibile, si auspica possa favorire il riequilibrio tra l’offerta delle imprese e i consumi, corroborato dal fatto che la liquidità fornita dai governi per superare i lockdown, esaurirà anch'essa la sua spinta.

Il secondo aspetto invece, è relativo direttamente all'operato delle Banche centrali le quali hanno tutti gli strumenti per la definizione di una politica monetaria che possa influenzare le aspettative di inflazione garantendo però contemporaneamente la ripresa, che nelle attuali situazioni nessuno ovviamente si augura possa essere messa minimamente in pericolo da decisioni che la possono in qualche modo compromettere.

Ed è proprio sul comportamento delle banche centrali dei diversi stati, che ad oggi si accende il dibattito maggiore, tra i grandi banchieri che continuano a ritenere tale fenomeno puramente transitorio, adottando pertanto una politica monetaria di tipo attendista, e il sentiment degli analisti che alla transitorietà del fenomeno iniziano a non credere più incitando invece all'azione.

Inflazione: che cos'è?

Prima però di capire i differenti punti di vista, cerchiamo di capire bene cosa si intende per inflazione e perché le grandi banche centrali dei diversi stati, Europa in testa, vogliono che si mantenga entro un livello medio di target di lungo periodo, opportunamente definito.

L'inflazione altro non è che aumento generalizzato del livello dei prezzi dei beni e servizi che si protrae nel tempo, e che di fatto causa una perdita del potere d’acquisto dei consumatori; esemplificando al massimo, l'inflazione è quel fenomeno a causa del quale con la stessa quantità di denaro si riescono comprare meno beni e servizi. 

L'effetto finale di un spirale inflazionistica altro non è che quello di impoverire i consumatori e le famiglie provocando una riduzione generalizzata della domanda con conseguente frenata della crescita economica.

Fenomeno di segno opposto invece è la deflazione, che si registra quando i prezzi dei beni e servizi hanno una diminuzione continuativa nel tempo. 

Come sosteneva Keynes sia l'inflazione che la deflazione sono fenomeni che hanno conseguenze negative. Entrambi processi influenzano la distribuzione della ricchezza fra le varie classi sociali e agiscono anche come accelerazione o rallentamento della produzione di ricchezza. Tuttavia mentre sul primo l'inflazione ha un impatto maggiore, sul secondo aspetto è la deflazione che risulta essere sicuramente più pericolosa.

A questo punto abbiamo quindi tutti gli elementi per comprendere perché l'inflazione è un indicatore da monitorare costantemente, perché è in grado di condizionare non solo il potere di acquisto delle famiglie, ma l'intero andamento dell'economia e di conseguenza, l'orientamento delle politiche monetarie delle banche centrali.

La stabilità dei prezzi è quindi una delle condizioni fondamentali su cui poggiano la crescita dell'occupazione e dell'economia di un paese, per questo la maggior parte delle banche centrali di tutto il mondo stabiliscono per tale indicatore, un target medio annuo di lungo periodo ritenuto ottimale per poter assicurare la crescita economica di un paese. 

Un livello troppo alto dei prezzi infatti, rende più povere le famiglie, diminuisce i consumi e di conseguenza porta ad un rallentamento generale della crescita economica. Al contrario, un livello dei prezzi troppo basso, genera crisi nelle aziende perché non riescono più con le vendite a coprire i costi di produzione producendo così una flessione degli investimenti.

Attualmente l’obiettivo principale della Bce, è quello di mantenere il tasso d’inflazione attorno al 2% che il livello target medio di lungo periodo ritenuto accettabile.

Inflazione: un fenomeno transitorio? La posizione delle banche centrali.

Veniamo così ad analizzare le posizioni riguardo il dibattito che si sta alimentando intorno proprio a questa spinta inflazionistica. Da qualche mese ormai abbiamo visto che l'aumento dei prezzi è un fenomeno trasversale che sta riguardando tutti i paesi del mondo, da occidente ad oriente. 

Salgono i prezzi delle materie prime energetiche petrolio e gas naturale su tutte, ma aumentano anche i prezzi di tantissime altre materie prime, cosicché sta diventando sempre più difficile per le aziende produrre, e questi rincari si stanno trasferendo sempre più in modo progressivo sui consumatori finali. 

L'effetto generale è che fare la spesa per i cittadini di tutto il mondo è diventato sempre più costoso.

Le banche centrali (Bce, Federal Reserve americana, Banca d'Inghilterra), le quali abbiamo detto sono in grado di influenzare l’andamento dell’inflazione tramite gli strumenti di politica monetaria, tuttavia sono concordi nel ritenere ancora questa fiammata inflattiva temporanea e hanno ribadito tutte lo stesso concetto, quello di non voler aumentare i tassi, né di farlo in un futuro immediato, perché sostengono che questo aumento dei prezzi sia un fenomeno solo transitorio. 

La Fed da qualche tempo sta riducendo l'acquisti di titoli, ma la maggior parte degli economisti sostiene si tratti di una mera operazione di gestione di una liquidità che in questo momento, è fin troppo abbondante sul mercato.

D'altro canto, l'intenzione che trapela è quella di congelare e di riparlare di qualunque eventuale variazione nella politica di acquisto, solo nell'ipotesi in cui l’intero programma di acquisti sarà azzerato.

Addirittura lo scenario che si prospetta è che se il presidente Powell, il cui mandato è in scadenza a febbraio, non venisse rinnovato dal presidente Joe Biden, il suo successore potrebbe addirittura essere ancora più accomodante. 

Stesso messaggio arriva da Christine Lagarde, il presidente della Bce che ha escluso qualsiasi aumento dei tassi, e che il Piano di acquisti per l’emergenza Covid (Pepp) verrà rimpiazzato quando arriverà alla scadenza nella primavera prossima. Addirittura si è assistito poi, ad una retromarcia da parte della Banca d’Inghilterra rispetto a un aumento paventato.

Inflazione: un fenomeno transitorio? La posizione del fronte dei negazionisti.

Ad ogni modo nonostante le banche centrali continuino a confermare la natura transitoria dell'inflazione, vero è che dopo il dato relativo all'inflazione statunitense, il fronte dei negazionisti del fenomeno si è rafforzato, corroborato dal fatto che l'impennata al rialzo dei prezzi negli Usa, non si vedeva dal 1981, facendo invece rinsaldare l'ipotesi che si è davanti ad un processo più speculativo che transitorio.

In effetti a sostegno di questa ipotesi, c'è la tesi che un aumento così alto sia da ritenere ingiustificato in virtù del fatto che il fenomeno inflattivo è da tempo fuori controllo in Cina relativamente ai prezzi alla produzione e in Europa relativamente ai prezzi della bolletta energetica che comunque non hanno fatto registrare l'impennata dei prezzi che si è registrata per il CPI.

Nonostante questo, la Fed continua a sostenere che la fiammata inflattiva dei prezzi continuerà a restare sono un fenomeno temporaneo perché non accompagnato da un incremento dei salari.

Tuttavia analisti ed economisti continuano a dire che ci sono dei chiari segnali che dovrebbero essere letti e che invece vengono ad oggi inspiegabilmente ignorati dalla Fed e dalle altre banche centrali.

Secondo gli analisti infatti, inizia a diventare troppo debole la motivazione per cui il fenomeno inflattivo sia da attribuire principalmente al rincaro dei prezzi delle materie prime energetiche, perché quello che si osserva è un aumento trasversale e generalizzato di tutti i prezzi, su ogni voce del paniere e per ogni categoria merceologica.

Non solo, anche volendo ricalcolare il valore del CPI depurandolo degli effetti dei beni che in questo lasso di tempo hanno avuto gli aumenti più elevati, comunque il valore dell'indice si attesta al 5,4% su base annua, che è ancora molto alto.

Così come sempre secondo gli analisti, non regge la tesi che l'aumento dei prezzi ad oggi possa essere considerato transitorio perché non accompagnato da analoga dinamica nel livello dei salari.

In effetti, più a lungo l’inflazione rimane alta, più la domanda per salari maggiori diventa fondata, mentre le aziende si sentiranno sempre più a loro agio nel richiedere prezzi più alti, trasferendo così i maggiori costi ai consumatori.

La pandemia ha mostrato che le finanze dei consumatori sono sane, perché durante i periodi di lockdown la loro propensione al risparmio è aumentata, e ad oggi nell'attuale contesto in cui un certo numero di lavoratori è già fuori dalla forza lavoro, si potrebbe essere già vicini alla piena occupazione. 

Tutti gli indicatori in effetti, mostrano un eccesso nell'offerta dei posti disponibili, tuttavia il fatto che l'indice sull'ottimismo delle Pmi continui a rimanere debole, è sintomatico del fatto che queste sono nell'incapacità di assumere tutti i lavoratori di cui hanno bisogno.

Alla luce di queste considerazioni quindi, gli analisti sostengono che il passo perché l'inflazione produca i suoi effetti anche sulle dinamiche salariali è veramente breve.

Con riferimento poi al mercato statunitense gli esperti sostengono che la domanda di beni continuerà nel futuro a superare l'offerta e il fatto che ci sia a disposizione troppa liquidità e troppi pochi beni, è proprio l'input per il quale l'indice dei prezzi al consumo sia destinato ad aumentare.

In aggiunta la globalizzazione sembra aver invertito la rotta, la demografia sta cambiando e la politica fiscale dei governi è diventata molto più espansiva a fronte di banche centrali che hanno adottato un approccio più zen relativamente all'obiettivo di inflazione media, tollerandone l’eccesso.

Ecco perché alla luce di tutte queste considerazioni il numero di esperti che cominciano ad affermare che non ci si trovi di fronte ad un fenomeno transitorio è destinato ad aumentare.

Anzi molti sostengono che possa addirittura configurarsi come un fenomeno strutturale e sistemico e, nell'ipotesi peggiore, anche di ciclo.