La necessità di tutelare le famiglie in condizioni di povertà energetica è stata sottolineata anche dalla Commissione europea. Ma bisogna misurare in modo chiaro l’estensione del fenomeno per capire quali siano le migliori strategie per contrastarlo.
Cos’è la povertà energetica
La quota di risorse che le famiglie destinano all’acquisto di energia elettrica e riscaldamento è aumentata di un punto percentuale tra il 2000 e il 2013 (figura 1). In larga parte, ciò è determinato dall’andamento dei prezzi poiché gli usi di energia sono difficilmente comprimibili.
A rendere la situazione critica è il fatto che l’aumento dell’incidenza della spesa energetica non è uniforme per le diverse fasce della popolazione, ma pesa di più per le famiglie meno abbienti: nel 2015, il 10 per cento delle famiglie con i consumi più bassi destinava oltre il 4 per cento della propria spesa all’acquisto di energia elettrica, mentre il 10 per cento con i consumi più alti vi riservava poco più dell’1 per cento (figura 2).
L’incremento delle risorse familiari destinate alla spesa energetica potrebbe inasprire il fenomeno della povertà energetica, concetto cui ci si riferisce con molteplici accezioni e, allo stato attuale, dalla misurazione incerta. Da un lato, la povertà energetica può essere intesa come la difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici. Ha quindi conseguenze in primo luogo sulla salute delle persone: una casa non adeguatamente riscaldata accresce la probabilità di malattie all’apparato respiratorio e cardiovascolare con la possibilità, nelle zone climatiche più rigide, di una crescita anomala della mortalità durante l’inverno. L’aumento delle malattie comporta molteplici costi indiretti: i maggiori oneri sostenuti dal sistema sanitario nazionale, la riduzione del prodotto dovuta alle assenze dal lavoro o alla minore produttività.