Digerita la conferenza stampa della BCE di giovedì 3 dicembre, il mercato si trova ora di fronte al tema del petrolio, crollato fino a 36,60 dollari al barile minimi dal 2009. La reazione di sdegno alle decisioni della BCE settimana scorsa è stata dovuta alle attese smisurate del mercato, più che alle scelte dell’istituto di Francoforte che, fino a qualche tempo fa, avrebbero generato un’altra ondata di euforia.
La BCE ha lasciato il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali invariato allo 0,05%, ma ha abbassato il tasso di deposito al -0,30%, dal precedente -0,20%, cosa in linea con l’attesa del mercato, che scontava al 100% un taglio di 10 punti base e 80% di probabilità di un taglio di 15 punti base (la differenza di 5 punti base, il primo motivo di delusione). Manovra leggermente inferiore alle attese, ma chiaramente espansiva. Quindi, favorevole ai mercati.
Come se non bastasse, l’istituto centrale ha prolungato la durata del piano di stimoli monetari fino almeno a marzo 2017 (anziché settembre 2016). Ha poi inserito fra i Titoli acquistabili anche i bond locali e regionali cosa che, per un certo tempo, fugherà i timori della “scarsità di Titoli” acquistabili dalla BCE. La BCE aveva infatti stabilito nel regolamento del programma di acquisti di non comprare Titoli con rendimento inferiore al -0,20% e il calo dei rendimenti sotto il -0,20% di buona parte dei bond europei di qualità aveva impensierito gli operatori. (“Come farà la BCE?”). La risposta è arrivata.