La produttività del Giappone è stata annientata

Gli economisti mainstream hanno trasformato i dati demografici sfavorevoli del Giappone in un capro espiatorio per la sua debacle economica.

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Gli economisti mainstream hanno trasformato i dati demografici sfavorevoli del Giappone in un capro espiatorio per la sua debacle economica. Che si tratti del Financial Times o del FMI, la narrativa generale è che la popolazione giapponese in calo e in rapido invecchiamento ha soffocato sia la crescita economica che la produttività. In una società in rapido invecchiamento, come quella giapponese, aumentano i risparmi per la pensione e si riducono i consumi, mentre le aziende riducono gli investimenti a causa di prospettive di crescita deboli. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità.

Quanto è rilevante la narrativa della demografia?

La tesi principale è che l'attuale popolazione giapponese di circa 127 milioni si ridurrà di oltre un quarto nei prossimi quarant'anni, pur essendo la popolazione più anziana del mondo, con un'età media di 48,4 anni (FMI 2020). In realtà il numero di persone in Giappone ha iniziato a diminuire solo a partire dal 2010, perdendo circa 1,9 milioni, ovvero l'1,4%, fino al 2019. Tuttavia un numero maggiore di donne e anziani si è unito alla forza lavoro, che è passata da 63 milioni nel 1990 a 67 milioni nel 2002 e, dopo un breve declino, è tornata a quasi 69 milioni nel 2019 (Grafico 1). È vero che il Giappone si trova sempre più di fronte ad un problema demografico, ma questo non può spiegare il pronunciato declino economico iniziato da oltre tre decenni. Inoltre il Giappone non è l'unica economia avanzata che ha un problema di invecchiamento e un alto tasso di partecipazione alla forza lavoro che lascia ancora spazio per ulteriori aumenti (Grafico 2).

Che cosa ha depresso la produttività?

Se non si tratta di dati demografici, allora cos'è? In un precedente articolo abbiamo sostenuto che la deludente performance della crescita pro-capite giapponese negli ultimi tre decenni è stata una conseguenza diretta di uno stimolo di crescita ininterrotto, che non ha permesso ad una recessione curativa di liquidare i malinvestimenti del boom degli anni '80. Nel processo sia lo stock di capitale per lavoratore che la produttività del lavoro sono diminuiti, mentre i salari reali ed i redditi sono rimasti stagnanti.

Da un punto di vista contabile, la crescita economica ha due fonti: crescita della forza lavoro e crescita della produzione per lavoratore, ovvero produttività del lavoro. Il tasso di crescita potenziale del Giappone è sceso drasticamente da circa il 4% negli anni '70 e '80 a meno dell'1% attuale. La produttività del lavoro ha guidato il calo dei tassi di crescita del PIL reale, mentre l'impatto della componente lavoro è stato modesto (Nakamura et al.2018) (Grafico 3). Ciò dimostra ancora una volta che non sono stati i dati demografici avversi a frenare la crescita del Giappone. Nell'ultimo decennio anche la produttività del lavoro negli Stati Uniti e in Germania è diminuita, fino all'1% circa, ma i dati più deludenti sono arrivati dal Giappone, dove è crollata a circa lo 0,7%. Ora è una delle peggiori tra i Paesi dell'OCSE (Grafico 4). Di conseguenza, più giapponesi devono entrare nella forza lavoro per compensare il ristagno di salari e redditi reali, o continuare a lavorare per più ore.

La produttività del lavoro dipende dalla quantità di capitale disponibile per lavoratore e dal suo uso efficiente basato sull'innovazione tecnologica e sull'allocazione del mercato dei fattori di produzione. Un'erosione dello stock di capitale per lavoratore a partire dall'inizio degli anni 2000, è stato il principale fattore che ha depresso la produttività del lavoro giapponese (Macovei 2019). Baily et al. (2020) hanno anche scoperto che tra il 2004-2016 il calo della produttività del lavoro in Giappone è dovuto principalmente alla debole intensità del capitale. Ciò è in linea con il massiccio calo del tasso degli investimenti giapponese dal 35% circa del PIL nel 1990 al 24% del PIL nel 2019. Il tasso non è basso per gli standard internazionali, ma non è stato certamente sufficiente per garantire il rinnovo del capitale sociale di una delle economie ad alta intensità di capitale del mondo.

Riduzione degli investimenti nazionali e grandi deflussi di capitali

Parallelamente alla cattiva allocazione interna degli investimenti durante il boom degli anni '80 e il periodo successivo di stimoli di crescita, i deflussi di capitali sono aumentati. Con l'erosione della fiducia degli investitori a causa delle politiche interne e delle condizioni di mercato, il capitale ha lasciato sempre più il Paese. Il Giappone ha accumulato una posizione patrimoniale netta rispetto all'estero molto ampia, da quasi zero negli anni '80 al 60% del PIL nel 2018. A circa $3.000 miliardi, è la più alta del mondo ed è il prodotto di grandi avanzi delle partite correnti guidati dalla crescita dei risparmi delle imprese. Allo stesso tempo, il rapporto di risparmio totale dell'economia è diminuito, compreso quello delle famiglie, contraddicendo la narrativa mainstream di maggiori risparmi dovuti all'invecchiamento. Vista la massiccia espansione monetaria dall'inizio degli anni '90 e il fatto che lo yen abbia sorprendentemente mantenuto uno status di rifugio sicuro, non tutto il capitale finanziario che ha lasciato il Paese rappresentava risparmio reale. Tuttavia quasi la metà del capitale trasferito all'estero era costituito da investimenti esteri diretti (FDI) netti, che hanno notevolmente indebolito la produttività del Giappone.

I lavori sono passati ad attività meno produttive

I deflussi di FDI hanno avuto principalmente luogo in settori con una maggiore produttività, come la produzione di macchinari e attrezzature o elettronica, che hanno portato ad una riallocazione dei posti di lavoro verso servizi a bassa produttività. Nel periodo 1996-2018, la quota relativa del settore manifatturiero si è notevolmente ridotta, sia in termini di produzione che di occupazione (Grafico 5). Allo stesso tempo, l'occupazione è cresciuta in servizi come il turismo, uno dei settori in più rapida crescita negli ultimi anni. Tuttavia la produttività del lavoro giapponese nei servizi non è solo molto inferiore rispetto a quella manifatturiera, ma ha anche un prezzo abbastanza basso in un confronto internazionale. Ad esempio, l'industria turistica giapponese ha rappresentato solo l'1,9% del valore aggiunto lordo (GVA) nel 2016, rispetto ad una quota di occupazione del 9,6%, uno dei rapporti peggiori tra i Paesi OCSE (Grafico 6). L'abbondanza relativa di lavoro impegnata in lavori a bassa produttività dimostra ancora una volta che il lavoro di per sé non è un fattore vincolante per la crescita.

Le barriere agli investimenti stanno allontanando il capitale

Oltre alle perniciose politiche macroeconomiche degli ultimi quattro decenni, il contesto economico giapponese soffre di rigidità strutturali del mercato del lavoro che, tra le altre cose, vanno ostacolare la concorrenza sul mercato. Stiamo parlando di modelli di lavoro obsoleti, come l'occupazione permanente ed i sistemi salariali basati sull'anzianità, che ostacolano la mobilità del lavoro. Inoltre l'eccessiva regolamentazione è estremamente pervasiva. Ad esempio, la flessibilità del mercato del lavoro è limitata in termini di assunzioni e licenziamenti. Il paese si classifica al 104° posto, nonostante si collochi al sesto posto nella classifica generale per Paese dell'indice di competitività globale 2019 (GCI). Il Giappone si posiziona anche 82° per facilità di assunzione di manodopera straniera e l'elevata tassazione dei contratti regolari di lavoro fa sì che si collochi all'ottavo posto in questa categoria. Di conseguenza l'occupazione non regolare, che paga circa il 40% in meno all'ora in media rispetto ai lavori regolari, è passata da circa il 20% dell'occupazione totale nel 1994 al 37% nel 2017 (OCSE 2019).

Tassi di uscita e di ingresso molto bassi per le aziende, pari ad un terzo della media OCSE, riducono la concorrenza sul mercato e mantengono il lavoro e il capitale bloccati in società meno produttive. Questo parametro negativo viene anche favorito dalla limitata apertura del Giappone alla concorrenza straniera, sia nei beni che nel capitale. Le barriere commerciali del Giappone sono elevate, sia in termini tariffari e non (si è classificata trentanovesima e trentottesima nel GCI del 2019) e gli investimenti esteri diretti verso l'interno sono praticamente inesistenti. Poi ci sono i costi ed i tempi per avviare un'attività che sono piuttosto elevati (il Giappone si è piazzato settantottesimo e settantesimo, rispettivamente, nel GCI 2019), insieme all'effetto distorsivo delle tasse e della riduzione della concorrenza (diciassettesimo posto).

Imprenditoria debole e spesa in R&S inefficiente

Vi è anche un livello ridotto di imprenditorialità e tolleranza culturale nei confronti del fallimento in Giappone. Il livello di opportunità percepita nell'avviare una nuova impresa, la capacità percepita di realizzarla e lo status sociale assegnato agli imprenditori di successo sono tutti significativamente più bassi in Giappone rispetto agli Stati Uniti o alla Germania. Allo stesso tempo, la paura del fallimento imprenditoriale è molto più elevata (Nakamura et al. 2018). Ciò potrebbe anche spiegare la proliferazione di imprese non produttive, “zombi”, all'indomani della crisi degli anni '90.

Infine la grande quota del Giappone in spese di ricerca e sviluppo (R&S) in termini di PIL (4% l'anno rispetto al 3% di USA e UE) e la sua elevata produzione di brevetti, non si traducono in un risultato tecnologico superiore. Ciò è dovuto principalmente al fatto che le aziende giapponesi tendono a concentrare le loro elevate spese in R&S sul miglioramento graduale piuttosto che sulla creazione di nuovi prodotti innovativi e sulla collaborazione per l'innovazione tecnologica (Nakamura et al.2018).

Conclusioni

La debacle della crescita e della produttività del Giappone, che si è verificata dopo la crisi degli anni '90, non è stata causata da dati demografici avversi. L'aumento della forza lavoro, insieme alla relativa abbondanza di manodopera bloccata in lavori a bassa produttività, mostra che la carenza risiede nei lavori ad alta produttività piuttosto che nel lavoro stesso. Negli ultimi tre decenni le politiche monetarie e fiscali ultra espansionistiche hanno acuito l'incertezza degli investitori, ostacolato l'allocazione efficiente dei fattori di produzione ed eroso la base di capitale. Altre barriere agli investimenti, come rigidità del mercato del lavoro e concorrenza debole, hanno allontanato il capitale quando il processo di globalizzazione ha accelerato.

Mentre i problemi demografici del Giappone aumentano, i restanti lavoratori devono lavorare in modo più produttivo solo per mantenere gli stessi standard di vita. È necessario un cambiamento di politica per favorire nuovamente l'accumulo di capitale. Tuttavia, sulla scia della crisi del coronavirus, si prevedono salvataggi e politiche monetarie/fiscali più aggressive, mentre le riforme strutturali rimarranno probabilmente in fondo all'agenda. Pertanto il declino a lungo termine della produttività del lavoro e dei salari reali è destinato a continuare.

Di Mihai Macovei

Traduzione di Francesco Simoncelli