Street art: quanto incide sul valore immobiliare

Street art, avete mai pensato al suo valore in quanto arte? Immagino di sì, ma al suo valore applicato al mondo reale? Vi siete ad esempio mai chiesti quanto un’opera d’arte eseguita da un artista incida nel settore immobiliare?

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Street art, ne abbiamo sentito parlare. Certamente, sia nel bene che nel male.

C’è chi fa confusione tra i cosiddetti writer, chi negli anni ’90 li chiamava con disprezzo i “graffitari” senza indentificarli nel “Graffitismo”, chi non sapeva distinguere tra una firma, uno scarabocchio e un’opera di concetto di uno street artist, insomma di tutto e di più.

Ma la Street art è ben altra cosa rispetto a una firma sul muro o a un atto di vandalismo, così come esiste una sottile, ma presente differenza tra la “Street art” e il “Graffitismo”.

Che cosa è la Street art e quando nasce

La parola in sé, Street art, nasce e si diffonde negli anni ’90 più come un termine utilizzato dai media per identificare le opere compiute in spazi pubblici, dove il destinatario dell’opera o del messaggio in essa contenuto viene identificato nello spettatore “passante”.

Ma relegarla agli anni ’90 non è realmente corretto. Non vi è una data precisa, non vi è un movimento, o un manifesto che ne determinino i parametri, perché è un’espressione artistica ben lontana dal chiudersi dentro dei parametri.

Le sue origini tornano indietro agli anni ’70 e al concetto disintegrante e smorzante della società che è insito nelle opere dei grandi artisti della Pop Art.

Siamo a New York quando artisti come Jean Michel Basquiat, sotto effetto di psichedelici e droghe pesanti, scappato di casa e arrestato per vagabondaggio, insieme all’amico Al Diaz inizia la sua carriera di graffittista sui muri della Jacobs Riis a Manhattan con la firma di SAMO il cui significato è l’acronimo di: “Same Old Shit” (tradotto “La solita vecchia merda”).  

Giovane appena maggiorenne, il suo talento non resta invisibile e niente di meno, bazzicando per i club di New York conosce Andy Warhol. In poco tempo dalla strada passa a diventare l’artista più quotato di sempre insieme a Haring, Warhol, Mapplethorpe.  

Le sue opere apparse nelle collettive di tutto il mondo, Europa, Stati Uniti, Africa, sono rozze, infantili, caratterizzate dalla presenza di scritte, spesso cancellate, a volte stracciate, usate come sfondo. Il messaggio della strada esplode sui suoi quadri come un incontro di boxe, un ring sul quale combattere. Il suo rapporto con le droghe, prima tra tutte l’eroina e l’abuso delle stesse, lo portano a perdere la vita nel 1988 per overdose a soli 27 anni, giovanissimo, ma già famosissimo.

La mescolanza di stili, di esperienze, di tecniche è invece alla base di Keith Haring. Altrettanto insofferente alle forme espressive canoniche e alla diffusione dell’arte tradizionale, come Basquiat di cui era amico e del quale condivide anche i pochi anni che lo separano dalla sua morte per Aids, la scelta di creare, di fare esplodere il suo ineguagliabile talento nella scena urbana.

Il tessuto sociale della strada, è un luogo ricco di fermento e ispirazione. Le sue opere si diffondono dopo la sua morte in modo inesauribile. Piacciono sono inebrianti, vivaci e ripetibili e allo stesso tempo restano irripetibili, distinguibili e uniche. Diventano il gadget preferito in tutti i musei di arte contemporanea del mondo e valgono milioni di dollari.

Differenza tra la Street Art e il Graffitismo

Dalle origini al seguito è un attimo è c’è un mondo. Tornando per un attimo alla differenza tra la Street Art e il Graffitismo, c’è l’utilizzo della tecnica a farne la distinzione. Il graffitismo usa per comunicare lo spray e i marker come segno distintivo e unificante. La Street Art include gli stickers, gli stencil, i video o le installazioni fisiche.

Il graffitismo potremmo dire che esiste da sempre, come i murales. Lo vediamo sui muri, con incisioni o scritte di ogni genere, sui monumenti famosi, sugli spazi della metropolitana. Lo stesso Haring non seppe resistere con dei gessetti a far diventare gli spazi pubblicitari vuoti della metropolitana il suo banco di lavoro, il suo laboratorio di tecniche grafiche e dopo di lui a migliaia.

La street art, invece non ha un’origine certa, è espressione degli anni ’80 e della scena urbana newyorkese in primis. Possiamo anche dire che la nascita dello spray ha sicuramente dato un’impronta al fenomeno del graffitismo, la bomboletta ha in modo molto evidente, dato voce al valore del segno come distinzione e nella distinzione stessa tra i vari writer, il segno diviene distintivo perché è riconoscimento dell’essenza di sé stessi. 

Nella Street art nata libera e urbana alla stessa maniera, nata sempre in controsenso rispetto ai metodi tradizionali, in modo altrettanto illegale, c’è un progetto di grande studio, spesso sottile altre volte sferzante: quello di comunicare una storia, di settare un’emozione, di farne un pensiero politico o di smontarlo, di suggerire alle persone un messaggio, di porre loro davanti agli occhi un concetto, etico, satirico che alle volte collima con una denuncia sociale.

E’ qui che il valore della street art, diventa goloso e a tutto tondo anche per il marketing. L’essere riconosciuto dalla massa, l’essere percepibile, decifrabile, crea il valore o meglio lo aggiunge. 

Il marketing e la Street art

Di per sé come un’opera d’arte qualsiasi, l’opera dello street art assume valore esponenziale più è amata, apprezzata o anche odiata dal pubblico. L’arte è sempre stata provocatoria, non sono stati certo gli street artist i primi a “provocare” nella storia, basta guardare Duchamp e i Dadaisti. Le voci fuori dal coro che “rompono gli schemi” sono state tante, Picasso, Dalì, se guardiamo al secolo scorso, non erano pittori convenzionali, erano geni, irripetibili e originali.

Quando l’arte, espressione di sé stessi che sia, o espressione di un concetto piace, perché è bella o brutta, perché originale e anticonvenzionale, perché tagliente o aggregante, perché realizzata su un muro contrasta col perbenismo che su un muro non si dovrebbe disegnare, è lì che il senso c’è, ed è lì che piace e si diffonde o si diffonde anche se non piace. 

La contaminazione e la diffusione non è più solo artistica, la contaminazione diventa reale, non più isolata nella scena urbana o nel contesto del quartiere. Diventa internazionale grazie alla fotografia, o nel caso di Basquiat attraverso le mostre collettive. Si diffonde in tutto il mondo grazie ad internet, ai video virali. Arriva là dove non si pensava sarebbe mai arrivata. 

Pensiamo alla contaminazione con il mondo della moda, l’esempio più banale. Scritte, graffiti, disegni fanno da apripista alle vendite. La mercificazione delle opere dovrebbe essere un controsenso dell’artista street artist eppure, volenti o nolenti diventano messaggeri e la moda veicola il loro messaggio. Prima considerati artisti illegali, poi artisti integrati nel mondo dell’arte e della comunicazione. La moda li sfrutta? Loro sfruttano la moda. Chi per diventare famoso, chi per creare un proprio brand, chi per continuare a diffondere il suo messaggio originale e far conoscere al mondo qualcosa che altrimenti rimarrebbe nel silenzio

Quindi perché stupirsi se il mercato immobiliare come la moda traggono vantaggio dall’exploit delle opere di artisti quotati e loro dallo stesso?

Bansky è il secondo artista più quotato dopo Shepard Fairey noto come Obey Giant. Le sue opere sono conosciute in tutto il mondo, benché nella sua crescita artistica abbia usato Bristol in Inghilterra come palcoscenico urbano. Sono battute all’asta a prezzi elevatissimi.  La famosa “Girl with balloon” del 2006 è stata battuta da Sotheby’s a 1.364.668 $

1.870.000 $ se li é aggiudicati “Keep it spotless” del 2007 pur essendo lui stesso contrario alla mercificazione dell’arte che deve essere di tutti.

I suoi “manifesti” sono dei messaggi sociali riconoscibili da chiunque, per questo arrivano al punto, aprono le menti, sono sovversivi nei metodi, ma incisivi nel messaggio. Utilizza la tecnica dello stencil per veicolare messaggi satirici dal taglio ironico, che trattano argomenti come: la guerra, la manipolazione dei media, l’ambiente, il maltrattamento degli animali, i metodi brutali delle repressioni della polizia, lo sfruttamento dei minori. 

Sono famose le sue incursioni internazionali: in Israele sul muro che lo divide dalla Cisgiordania per denunciare la presenza dello stesso, con l’immagine dei bambini che sognano di superarlo o guardarvi oltre; o a Venezia in occasione della Biennale del 2019 quando realizza il murale “Naufrago bambino” in contrasto con la politica italiana di bloccare l’immigrazione attraverso la chiusura dei porti. 

La street art dunque influenza l’andamento del mercato dell’arte perché sono sempre di più le case d’asta che farebbero a gara per avere tra i propri lotti opere di questo spessore. Collezionisti e investitori sono pronti a spendere milioni per un’opera del genere.

Lo hanno capito oltre ai privati anche le Amministrazioni pubbliche da San Francisco a New York, da Milano a Berlino che sempre più investono nella riqualificazione degli spazi urbani degradati con la chiamata di artisti della Street Art. Le loro opere spesso fanno parte di progetti urbani più complessi, ma bastano anche singole facciate di palazzi che acquisiscono fascino e bellezza per far schizzare il mercato immobiliare.

Spesso sono i media stessi a diffondere la contaminazione, come nel caso di Bansky a Venezia. Alcune testate giornalistiche hanno riportato che l’agenzia immobiliare Engels & Völkers abbia colto al volo l’opportunità che “Naufragio bambino” fosse stato realizzato su un immobile in vendita presso di loro rinominando il lotto “The Banksy Estate!”. Il prezzo dell’intero lotto è schizzato prima a 4 milioni di euro per poi superarli passando ad essere “su richiesta” dell’acquirente.

Lo stesso Bansky afferma nel libro “Wall and Piece” di aver ricevuto una richiesta scritta da un cittadino della zona di Hackney un borgo nella parte nord-est di Londra, di cambiare la scelta dei luoghi di realizzazione delle sue opere, perché aumentavano a dismisura il costo della vita all’interno del quartiere.

Non c’è ancora uno studio effettivo che dimostri attraverso una “quantificazione economica”, quanto sia veritiero che il mercato immobiliare veda un effettivo rialzo dell’immobile in una correlazione col fenomeno della street art.  Ma è abbastanza usuale che quartieri dove sia presente l’arte urbana, abbiamo acquisito un maggiore valore di mercato.

Dopo New York, Londra, Berlino, Parigi, dove è evidente che ci siano state delle rivalutazioni nei quartieri come Tribeca e Brooklyn a New York, Cadmen a Londra, Le Marais a Parigi, l’est di Berlino, anche l’Italia più moderatamente sta registrando dei valori di interesse, come nel caso di Lapo Elkan che ha piazzato la sua agenzia creativa in zona Barona a Milano in un immobile in cui era presente un “Obey”. 

Non esistono parametri oggettivi di valutazione economica, le variabili sono diverse, l’artista in gioco, la liceità dell’opera, la tecnica usata. La durabilità dell’opera. Il fatto che l’opera potrebbe essere non autorizzata e quindi da rimuovere. O la domanda, vale più un’opera realizzata sul palazzo su cui si vuole fare l’investimento, o quello che sta di fronte alla finestra dell’investimento?

Non ci sono certezze, ma certo è che l’arte crea sempre grande movimento.