Ucraina: per l’Italia diventa la guerra del gas!

In attesa di capire gli sviluppi dei negoziati e della guerra in Ucraina, l'Italia sta valutando l'impatto del conflitto può avere sul tema dell’energia che è

Il gas, escluso volutamente dalle sanzioni contro la Russia, diventa quanto mai irrinunciabile. Intanto il prezzo continua ad oscillare violentemente e il gas russo, per il momento, continua ad affluire e noi, che godiamo anche di discrete scorte, possiamo essere un po’ più sereni.

Anche perché il premier ha indicato una serie di possibili soluzioni per gestire questa fase critica tra cui, se necessario, il ricorso al carbone rimandando la chiusura di centrali ormai chiuse da tempo, ampliando la produttività e qualche contratto di fornitura.

Sembra anacronistico in un contesto che voleva accelerare il processo produttivo contro le emissioni, ma oggi gli effetti della guerra ci condizionano ad accantonare i propositi e gestire l’emergenza.

D’altronde, attualmente, in Europa il quaranta per cento dell’elettricità è ancora prodotta con il carbone. Ma non è la sola invasione dell’Ucraina a determinare questa frenata improvvisa nella transizione energetica.

Già prima dell’aggressione russa l’opinione pubblica valutava di rallentare per potersi assicurare le forniture di gas e combustibili fossili a prezzi non elevati.

A questo approccio pragmatico, supportato dalla crisi ucraina, si oppone il movimento dei verdi contrari agli investimenti nel gas. 

L’approccio che però userà il nostro governo sarà innanzitutto improntato alla diversificazione.

Come infatti ha recentemente ribadito il premier Mario Draghi:

è stato imprudente, da parte del nostro Paese, non aver puntato, nel corso di questi anni, su più fonti di energia e su più fornitori.

Nel corso della recente informativa alla Camera circa la guerra in Ucraina, Draghi ha quindi menzionato una serie di interventi importanti per la politica energetica su diversi fronti per superare al più presto la nostra vulnerabilità ed evitare il rischio di crisi future.

Guerra del gas: le soluzioni ai rischi energetici 

Intanto, come già riportato, il Mite ha dichiarato lo stato di pre-allarme per il gas come conseguenza dell’attuale conflitto nell’est Europa.

Un primo step di tre che comprende solo un attento monitoraggio della situazione particolarmente delicata e che lascia pensare alla necessità di intervenire rapidamente.

L’allarme del ministero della Transizione Ecologica, autorità che ha la competenza per la sicurezza degli approvvigionamenti, alza quindi il livello di attenzione, coerentemente alle preoccupazioni già avanzate nei giorni scorsi.

E invita, inoltre, ad accelerare la ricerca di soluzioni, nonostante l’attuale livello delle scorte, per prevenire possibili emergenze che potrebbero derivare da un’eventuale chiusura dei rubinetti del gas della Russia.

Non solo carbone però per ovviare al problema. Per compensare l’assenza di gas russo si sta ragionando anche sul potenziamento del corridoio Sud per far passare più gas azero, algerino e libico, ma anche il gas qatariota, quello proveniente dal Nord Africa.

Inoltre, si stanno valutando anche i rifornimenti di Gnl ( Gas Naturale Liquefatto) dagli Usa che potrebbero arrivare via nave. 

Particolare attenzione dunque sarà rivolta ai flussi provenienti da gasdotti che non sono a pieno regime come il Tap dall’Azerbaijan, il TransMed e il GreenStream.

Un altro obiettivo strategico sarà rappresentato dall’incremento del volume della produzione italiana di gas (almeno il 20% dell’import) che però necessiterà di almeno 18 mesi.

Poi c’è da considerare l’afflusso di metaniere, le navi che trasportano gas liquido, provenienti anche dagli Usa, il cui contributo sarà limitato dalla scarsa presenza di rigassificatori, troppo pochi i 3 attualmente presenti in Italia, soprattutto se si considera che potrebbe intensificarsi questo tipo di approvvigionamento.

Relativamente al possibile ritorno al carbone, potrebbe essere necessaria la riapertura delle vecchie centrali con l’obiettivo di colmare eventuali mancanze di gas nell’immediato.

Gli impianti sono in Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Sardegna. A gennaio anno le centrali coprivano il 4,9 per cento del fabbisogno energetico italiano ma, non essendo state utilizzate a pieno regime, possono generare un contributo maggiore.

Per quanto riguarda il futuro si valuterà su accelerazione delle rinnovabili e al nucleare pulito di ultima generazione.

Guerra del gas: ll rinvio delle scelte sul carbone e le rinnovabili

Mentre le quotazioni del greggio salgono e il carbone conosce un inatteso nuovo splendore il tema del riscaldamento climatico non sembra più di attualità e sembra aver lasciato spazio ad altri tipi di mobilitazioni. 

Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima ha in previsione che le centrali vengano chiuse o convertite entro la fine del 2025 con l’obiettivo di rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione della Ue.

Tuttavia, complice il forte incremento dei prezzi, la riconversione delle centrali dal carbone al gas aveva subìto forte rallentamento già nei mesi antecedenti alla crisi geopolitica.

Inoltre, la burocrazia si è rivelata uno dei maggiori freni allo sviluppo delle rinnovabili, così adesso il governo non esclude semplificazioni e la sostituzione dello Stato centrale sugli enti locali inadempienti.

Ora però che l’emergenza ambientale si è spostata un po’ più in là dando spazio a quella geopolitica le rinnovabili potranno attendere e per gestire il rincaro dei prezzi sulle bollette, saranno utilizzate anche le risorse derivanti dai certificati ambientali emessi per disincentivare le produzioni inquinanti.

In Italia, alla fine di dicembre dello scorso anno, c’erano richieste per 136 gigawatt sulla terraferma e 32 in mare. La maggioranza di esse ha già ricevuto l’autorizzazione tecnica da parte di Terna per la potenziale connessione alla rete elettrica. Se soltanto metà di questi progetti fosse realizzato saremmo in grado di raggiungere con anticipo gli obiettivi del 2030.

Ma, invece, sono numerosi gli ostacoli burocratici locali e spesso insuperabili. Questi aspetti ci dicono molto sulla complessità della transizione energetica e di quanto essa possa essere accantonata a beneficio delle emergenze che si intrecciano e si sovrappongono facendo perdere per strada gli obiettivi faticosamente inseguiti, per ricercare la salute e la vita del pianeta. 

 ll percepito degli italiani sulla guerra del gas

Un recente sondaggio riportato da “Il Sole 24 Ore” ha riportato come circa il 70% degli intervistati ritenga che le tensioni che sono state generate dalla guerra in Ucraina avranno un effetto duraturo, per almeno qualche anno, circa l’andamento dei prezzi dell’energia. Soltanto una minoranza si esprime a favore per una transitorietà degli effetti.

Quasi tutti gli intervistati condividono il loro timore sul fatto che i prezzi dell’energia possano subire un effetto paragonabile allo shock petrolifero degli anni 70 per le ripercussioni sui prezzi connesso al complesso contesto internazionale.

Non solo però l’effetto del gas genererebbe una importante crescita dell’inflazione ma anche l’incremento del prezzo del carburante che condiziona i prezzi di molti beni. 

Circa il 90% degli intervistati ritiene molto o abbastanza probabile che verificarsi una crisi nei prezzi dell’energia analogamente a quanto accaduto con gli shock petroliferi degli anni 70.

E sempre la stessa percentuale ritiene che gli effetti della crisi Ucraina contribuiranno in modo rilevante a far crescere ulteriormente l’inflazione nei prossimi mesi.

Insomma, la percezione è che la recente crisi internazionale abbia acuito ulteriormente i problemi già ampiamente rilevati nello scorso anno sui quali il governo è dovuto piu volte prodigare intervenendo più volte per scongiurare delle gravi conseguenze per famiglie e imprese.

La spinta soprattutto dei rincari del costo dell’energia, che anticipavano le tensioni di questi giorni, unita alla crescita del prezzo del petrolio stanno facendo ulteriormente salire l’inflazione già cresciuta a seguito delle riaperture post pandemia.

La percezione dell’inflazione nei rincari

Relativamente all’inflazione la percezione degli italiani misurata a febbraio vede un consistente incremento in quasi per tutti i settori rispetto alla fine dello scorso anno. Si salvano soltanto i servizi sanitari e le spese per la salute che hanno registrano un valore invariato.

L’aumento rilevato come più consistente è relativo alle spese per l’abitazione, dove la percezione è di una inflazione più alta in funzione del costo dell’energia elettrica, del gas e del gasolio per il riscaldamento. Ma anche gli aumenti attesi sugli affitti con una percepito di un aggravio di costi significativo.

Un altro settore nel quale sul quale gli italiani hanno la percezione che i rincari siano maggiori rispetto alla fine dello scorso anno è quello relativo ai mezzi e ai servizi di trasporto sui quali pesa il costo dei carburanti.

Relativamente agli alimentari, l’inflazione percepita sale molto per frutta e verdura, per riso, pasta e pane. Condizioni che porteranno all’adozione di conseguenti contromisure con le quali far fronte ai rincari dell’energia: a partire dall’intenzione di ridurre i consumi energetici e le spese. 

Per quanto riguarda i bonus edilizi per la ristrutturazione o l’efficientamento energetico degli edifici, al di là dell’indubbio successo degli incentivi fiscali per rilanciare il settore, ha avuto come effetto conseguente quello di andare a surriscaldare la domanda e, quindi con essa i costi del settore edilizio.

Anche su questo tema gli intervistati hanno manifestato una forte percezione di incremento dei prezzi rilevata nel corso degli ultimi mesi.

I risultati del sondaggio mostrano quindi come il tasso di inflazione percepito dagli italiani non sia molto distante da quello reale, le risposte siano razionali e non guidate dall’emotività.

L’effetto negativo di questa percezione può essere evidentemente quello di una contrazione dei consumi e degli acquisti, soprattutto di beni voluttuari.

Una tendenza già molto in atto, che con l’effetto aggiuntivo della guerra in Ucraina, potrebbe soltanto accentuarsi sul fronte degli acquisti.

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