Guardare il telefono quando lo fanno gli altri: cos’è l’effetto camaleonte

Imitare quello che fanno gli altri è un fenomeno sempre più diffuso. Scopriamo insieme l'effetto camaleonte e il legame con l'uso dello smartphone.

Quando pensiamo a un camaleonte, la mente va verso il mimetismo ma anche l’invisibilità. In questo caso, si deve prendere in considerazione esclusivamente il mimetismo per spiegare questo fenomeno che si manifesta nella società.

Cosa si intende quando parliamo di effetto camaleonte e quali sono gli esperimenti condotti in questi anni? Ecco tutti i dettagli.

Cos’è l’effetto camaleonte e qual è la spiegazione scientifica

Con il termine effetto camaleonte si intende una realtà in cui un soggetto funge da specchio per le altre persone. È portato dunque a imitare le emozioni altrui: la mimica involontaria è infatti alla base della socialità.

Vengono imitate anche le posture e le espressioni facciali, il linguaggio, il tono, l’accento e il lessico.

I processi imitativi, soprattutto quelli di mimica rapida, sono ascritti ai neuroni specchio, i quali si attivano non solo effettuando l’azione ma anche percependo l’azione fatta dagli altri.

L’effetto camaleonte crea sintonia tra i gruppi e aumenta i livelli di cooperazione, rappresentando una base biologica fondamentale per relazionarsi.

Eppure, negli ultimi anni, piuttosto che di relazione si parla di allontanamento, proprio a causa dell’effetto camaleonte.

Guardare il telefono quando lo fanno gli altri: quanto influisce l’effetto camaleonte

Quando si parla di smartphone, l’effetto camaleonte rientra in un paradosso: se si vede qualcuno con un cellulare in mano, istintivamente ci viene da imitarlo. Il precedente principio base della relazione finisce per dividerci.

Quello che accade non è per forza il sintomo di una dipendenza da social network o una cosa di simile, ma è semplicemente l’effetto camaleonte che agisce sul nostro inconscio.

Imitando gli altri che usano uno smartphone, non si creano legami sociali ma si tende piuttosto all’allontanamento.

Si viene così catapultati in una realtà virtuale che ci allontana dalla realtà reale.

A supporto di questa teoria, vi è uno studio condotto dall’Università di Pisa il quale ha declinato l’effetto camaleonte in chiave contemporanea.

L’effetto camaleonte nell’uso dello smartphone: lo studio dell’Università di Pisa

Lo studio parte dal racconto della dottoressa Veronica Maglieri del dipartimento di Biologia:

Ero in fila al supermercato e ho iniziato a usare il mio telefono, quando una signora dietro di me ha fatto una chiamata per poi dire al suo interlocutore “non so perché ti ho chiamato, non devo dirti nulla”.

Si è così cominciato a pensare che dietro al successo degli smartphone ci fosse un meccanismo neuronale inconscio, ovvero l’effetto camaleonte.

Sono state così condotte due sperimentazioni per dimostrare la teoria: una subito dopo il lock down e l’altra un anno dopo.

Per dimostrarlo sono stati introdotti dei dimostratori, ovvero persone che usavano smartphone, in spazi comuni, per verificare la risposta delle altre persone presenti.

Il risultato ottenuto era quello previsto: nell’arco di pochi secondi, la maggior parte aveva preso il telefono dalle proprie tasche, influenzato dalla visione dei dimostratori.

Inaspettata è invece la differenza tra le due sperimentazioni, in quanto subito dopo la fine del primo lockdown, l’effetto camaleonte era più forte rispetto a un anno dopo dalla fine dell’isolamento, rinnegando così la volontà di entrare in contatto dopo i mesi chiusi in casa.

Si manifesta così il paradosso più grande di tutti i tempi: lo smartphone, inventato per connetterci alle persone lontane, ora ci allontana da quelle che abbiamo vicino.

Leggi anche: Due chiacchiere fanno bene alla salute, lo dice lo scienza. I comportamenti “amichevoli”

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