Crypto art: nascita e caduta di un movimento artistico

L’applicazione delle tecnologie blockchain e Nft alla produzione artistica ha permesso la nascita di un mercato dell’arte digitale crittografica. In breve tempo ha raggiunto quotazioni da capogiro. Ora sembra in rapido declino. E forse è un bene.

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L’applicazione delle tecnologie blockchain e Nft alla produzione artistica ha permesso la nascita di un mercato dell’arte digitale crittografica. In breve tempo ha raggiunto quotazioni da capogiro. Ora sembra in rapido declino. E forse è un bene.

Cos’è l’arte crittografica

Mike Winkelmann, meglio conosciuto come Beeple, è un artista digitale americano. Per oltre 13 anni ha prodotto un’opera al giorno, raccontando la storia contemporanea americana, ma anche quella della sua vita personale. Beeple ha condensato questo mastodontico sforzo in un collage di cinquemila immagini. L’opera, chiamata Everydays: the first 5000 days, è stata venduta dalla casa d’asta Christie’s a marzo 2021. Nulla di strano, se non fosse per un paio di particolari non trascurabili:

  1. L’opera è di fatto una immagine jpeg, infinitamente replicabile e scaricabile da chiunque, alla quale è stato associato un Non-Fungible Token (Nft);
  2. Il prezzo di vendita dell’opera è stato di 69 milioni di dollari, e la cifra ne fa una delle opere d’arte più costose della storia dell’arte.

L’arte crittografica, meglio nota come crypto art, nasce nell’aprile 2018, quando un paio di lungimiranti gallerie, l’americana SuperRare e l’europea KnownOrigin, all’unisono espongono le prime opere digitali associate a Nft.

Un Nft è un codice crittografico che viene associato in modo univoco a un’opera digitale: una sorta di certificato di proprietà, che viene generato dalla galleria d’arte quando l’artista accreditato crea l’opera e segue strettamente l’opera a ogni passaggio di mano sul mercato.

Una cosa importante da tenere a mente è che né l’opera digitale né il relativo Nft vengono depositati su qualche server controllato dalla galleria. Sono invece distribuiti su reti decentralizzate peer-to-peer: la rete Ipfs per l’opera e la rete blockchain, tipicamente Ethereum, per l’Nft. Altra cosa importante: l’opera non è nascosta dalla galleria, dall’artista o dal collezionista che l’ha acquisita. È invece visibile (e scaricabile) da tutti. Un’opera iconica, creata da uno dei pionieri della crypto art, l’inglese XCOPY, celebra proprio questo passaggio. Invece, l’Nft dell’opera è posseduto da una sola persona, il proprietario dell’opera.

L’applicazione delle tecnologie blockchain e Nft all’arte ha dunque permesso la nascita di un nuovo mercato dell’arte digitale crittografica, fatto di artisti che creano, collezionisti che comprano e scambiano, gallerie che espongono.

Lo scambio delle opere è anch’esso decentralizzato. Viene gestito attraverso smart contract, pezzi di codice che sostituiscono ogni intermediario umano, anch’essi depositati su blockchain, quindi né modificabili né corruttibili. Una interessante conseguenza dell’uso decentralizzato degli smart contract sono le royalty riconosciute agli artisti: a ogni suo passaggio di mano dopo la prima vendita, l’artista percepisce una percentuale (normalmente il 10 per cento) del prezzo pagato dal collezionista. L’artista, dunque, continua a possedere una quota dell’opera anche quando la vende e che gli frutta una ricompensa per l’eternità.

L’arrivo delle “balene”

Inizialmente, questo mercato era quasi un gioco. Eravamo pochi artisti, quasi nessuno in Italia. Ci scambiavamo le opere o ce le compravamo a pochi dollari. Le stesse opere, dei pionieri del movimento, gli OG (original gangster), che qualche anno dopo avrebbero assunto quotazioni impensabili (quella sopra citata di XCOPY è stata comprata per 90 dollari e rivenduta per 174.195, con un ritorno sull’investimento di 1935 volte).

Il mercato è cambiato, definitivamente, quando, a fine 2019, sono arrivate le balene (whales), ovvero i collezionisti con un grande portafoglio, che hanno iniziato a fare incetta di opere sul mercato e a custodirle gelosamente in cassaforte senza più rivenderle. Da un mercato pluralista, in cui ognuno aveva possibilità eque, si è passati velocemente a un mercato fortemente concentrato, in cui pochi artisti e ancora meno collezionisti dominavano la scena. Come mostra la figura 1, si stima che oggi l’80 per cento del volume di vendita sulla galleria SuperRare è fatto dal 18 per cento degli artisti più importanti e dal 6 per cento dei collezionisti più facoltosi, con un indice di Gini del 79 per cento per gli artisti e del 91 per cento per i collezionisti.

Figura 1 – Concentrazione delle risorse nel mercato dell’arte crittografica nella galleria SuperRare

Insomma, se il mercato della crypto art fosse una nazione, sarebbe molto più concentrato di quanto sia la ricchezza negli Stati Uniti (Gini del 48 per cento nel 2014-2018).

L’arrivo, all’inizio del 2021, delle case d’asta più importanti al mondo – Christie’s e Sotheby’s – costituisce un altro momento importante, a mio avviso negativo, della storia della crypto art. Oltre alla vendita di Beeple, le grandi case hanno intercettato alcuni artisti tra i più popolari e le loro opere sono state vendute all’asta a prezzi impensabili nel 2018. Questo ha generato una folle corsa a rendere Nft qualsiasi cosa da parte di qualsiasi persona, soprattutto individui che nulla avevano a che fare col movimento della crypto art originale e, parallelamente, a comprare qualsiasi cosa odorasse di Nft. I prezzi delle opere erano decisamente gonfiati e la Fomo – fear of missing out (la paura di essere tagliati fuori) – era palpabile. Il mercato era iperesteso. L’argomento Nft è diventato presto mainstream, tanto che sulla stessa Rai 1, al telegiornale, si poteva vedere un servizio su Beeple.

La conseguenza è scritta da sempre nelle leggi del mercato e si chiama scoppio della bolla. Improvvisamente, da maggio 2021 in poi, poco è stato creato e quasi nulla è stato venduto. Coloro che erano saltati in corsa sul carro dei facili guadagni sono subito spariti. Personalmente, credo sia stato un bene. La crypto art, dopo essere ascesa al Peak of Inflated Expectations (il picco delle aspettative gonfiate) ed essere sprofondata attraverso il Trough of Disillusionment (il pozzo della disillusione), è ora forse pronta per una fase di adozione matura chiamata Plateau of Productivity (plateau della produttività) nel famoso modello di Hype Cycle promosso dalla società Gartner.

Mi piace concludere questo intervento con le conclusioni di un lucido e imparziale articolo sull’arte contemporanea e gli Nft di Domenico Quaranta: “La Blockchain e gli Nft aprono un territorio completamente nuovo per l’arte nativa digitale contemporanea e per qualsiasi tipo di artefatto digitale o finanche fisico. Le loro promesse sono bellissime, in termini di disintermediazione, comunità, controllo della proprietà, libertà di esistere in un campo aperto senza limiti di genere, razza, classe e paese di origine; la loro realtà è ben lontana dall’essere perfetta. Rifiutarsi di avervi a che fare sarebbe probabilmente una pessima scelta, considerando anche l’alta probabilità che questo movimento sia un banco di prova o un primo prototipo dell’internet che sarà, ci piaccia o no. Scegliere il giusto modo per interagire con questo movimento è certamente cruciale.”

Di Massimo Franceschet