La guerra fredda di domani? Sarà combattuta a colpi di chip

La guerra dei chip Pechino la combatte togliendo le tasse ai suoi produttori di semiconduttori fino al 2030. Obiettivo l'autosufficienza tecnologica.

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La guerra di fredda di domani? Sarà combattuta a colpi di chip. Lo confermano le mosse di Washington (come pure di Bruxelles) e lo sottolineano con forza le misure decise dalla Cina. Il ministero delle Finanze di Pechino ha infatti annunciato che i produttori di chip cinesi potranno importare macchinari e materie prime esentasse fino al 2030. Un settore dei semiconduttori tax-free è ovviamente funzionale al raggiungimento dell'obiettivo, più volte sottolineato dal presidente Xi Jinping e dal premier Li Keqiang, di arrivare all'autosufficienza tecnologica rispetto al resto del mondo. Se in passato Pechino puntava a diventare un competitor tecnologico su scala globale ora, grazie anche alla spinta della guerra commerciale lanciata da Donald Trump, la strada è di nuovo quella dell'isolamento.

La guerra fredda dei chip? Pechino la combatte con l'import tax-free

L'annuncio cinese arriva in una congiuntura unica per il settore dei semiconduttori, afflitto da mesi da una carenza di offerta legata alla tempesta perfetta dello scontro Usa-Cina (perseguito da Trump ma che il successore Joe Biden non sembra affatto intenzionato a smorzare) e della pandemia di coronavirus. Il Covid-19, è noto, ha innescato un boom della domanda di elettronica da parte dei consumatori (confinati in causa per le misure di contenimento dei contagi) che come primo effetto ha svuotato gli scaffali della grande distribuzione da computer, monitor e consolle per videogiochi e, in seconda battuta, ha mostrato tutta la fragilità della supply chain dei chip, largamente concentrata in Asia (non solo Cina ma anche Corea del Sud, Taiwan e Paesi produttori come il Vietnam).

Intanto l'automotive continua a fermare o rallentare la produzione

Per questo l'Occidente tenta di correre ai ripari. Biden ha chiesto al Congresso Usa 37 miliardi di dollari di finanziamenti per riportare la manifattura dei chip in patria. E il gigante ferito Intel ha risposto con investimenti per 20 miliardi di dollari per la "costruzione di un grande stabilimento" produttivo presso la sua struttura di Ocotillo, in Arizona. L'Unione europea, da parte sua, si è data come obiettivo che entro il 2030 almeno il 20% della produzione globale di chip sia nel Vecchio Continente. Il tutto mentre il settore più colpito dalla carenza di chip resta quello dell'automotive, con tutti i principali player, da Toyota a Stellantis, da Volkswagen a General Motors, fino alla sudcoreana Hyundai Motor costretti a fermare o rallentare la produzione di veicoli, sempre più dipendenti dall'elettronica.

(Raffaele Rovati)