Musk di Tesla contro Netflix. Streaming è davvero un incubo?

Musk di Tesla prende di mira anche Netflix e Disney+ su Twitter. Lo streaming è diventato davvero un incubo che spinge di nuovo gli utenti verso la pirateria?

Elon Musk e Twitter, un rapporto controverso e mai privo di sorprese. Come in occasione di un meme postato dal numero uno di Tesla in cui a finire sotto accusa sono i colossi dello streaming video, da Netflix a Disney+, da Amazon Prime Video a Hbo Max. Una lista, quella dei player del settore, che si allunga settimana dopo settimana, da Apple Tv+ a Discovery+, fino a Paramount+ (quest’ultimo arriverà in Italia solo in settembre). Per Musk l’intrattenimento sta diventando un incubo con username, password e 2Fa (two-factor authentication, in italiano autenticazione a due fattori). Tanto che gli utenti starebbero tornando verso siti come The Pirate Bay, che sembravano ormai solo un ricordo.

Musk accusa Netflix e Disney+. Lo streaming è diventato un incubo

Per rincarare la dose in un successivo tweet Musk ha scritto che “M Night dovrebbe fare un film horror su questo, avrebbe senso” (M. Night Shyamalan è il regista indiano celebre per thriller soprannaturali come The Sixth Sense o i recenti Split e Glass). Ma lo streaming video è diventato davvero un incubo per i consumatori? In un certo senso sì. Quando debuttò Netflix non c’era niente di simile nel panorama dell’entertainment e la società di Los Gatos poteva permettersi di acquisire praticamente l’intero catalogo disponibile (visto che nessun altro scommetteva sul successo dello streaming). Al tempo stesso, anche per strappare pubblico a tv generaliste e a pagamento, Netflix aveva tariffe molto convenienti.

Per Musk di Tesla, streaming incubo che spinge verso i siti pirata

Oggi, invece, l’offerta si è moltiplicata a dismisura. Tutti i tradizionali player del settore si sono buttati nello streaming con versioni Plus (termine che non si capisce per quale motivo sia stato associato proprio allo streaming) dei loro cataloghi. E accanto a Netflix, Hulu, Hbo Max, Disney+ (in Italia anche Now di Sky e Infinity di Mediaset), è stato un proliferare di canali streaming di nicchia: documentari, horror, concerti, quello che una volta si definiva cinema d’essai e così via. Il risultato? Mentre i principali player aumentano il prezzo dei loro abbonamenti il costo finale per l’utente (che vuole avere un panorama il più esaustivo dell’offerta) è lievitato fino a superare quello che in precedenza si pagava per un ricco pacchetto di pay-tv. Ne vale ancora la pena? Certo, rimane una differenza sostanziale di cui bisognerà sempre ringraziare Netflix: la possibilità di recedere dall’abbonamento in qualsiasi momento e non dopo 12, 24, 36 mesi come ci avevano abituato i contratti capestro soprattutto delle telecom.

Il problema di Musk con lo streaming di Netflix? L’autenticazione

Musk, però, di certo non si fa problemi per spendere 50, 70, 100 dollari al mese in abbonamenti allo streaming e infatti lui poneva un’altra questione: quella delle password. Se fino a ieri con decoder o abbonamento alla pay-tv via cavo il cliente non doveva fare altro che usare il telecomando, oggi con utenze, autenticazioni, blocchi, cambi di password usare i servizi streaming è diventato davvero un lavoro. Ovviamente i principali fruitori sono anche quelli più tecnologizzati (e più abituati a queste modalità) ma è anche vero che questo fattore rappresenta anche un ostacolo per una crescita dello streaming anche verso settori del pubblico finora più restii nell’aderire a questa rivoluzione. Non a caso i dubbi sulla crescita del settore, evidenziata dalle recenti trimestrali di colossi come Netflix, prima ancora della fine dell’effetto lockdown guardano alla saturazione del mercato raggiungibile (e all’impossibilità di raggiungere il resto del mercato). (Raffaele Rovati)

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