La base perfetta per un romanzo distopico in salsa sci-fi: trasferire coscienza e memoria dei cari estinti su dispositivi elettronici come smartphone o PC, per poterli sentire vicini in qualsiasi momento sottoforma di assistente vocale.
Avevamo già visto un video, qualche anno fa, che portava con sé un carico emotivo simile: una madre, munita di dispositivo VR, aveva “incontrato” la sua bambina – venuta a mancare di leucemia – tramite la realtà virtuale. Quale sarà il futuro dei “medium” virtuali?
Parlare con i morti tramite smartphone: l’idea di HereAfter
HereAfter AI è una startup californiana, ideata dalla visionaria Charlotte Jee. L’obiettivo, quello di sconfiggere, almeno in parte, la morte grazie alla tecnologia. Raccogliere conversazioni, spunti, discussioni e opinioni di una persona prima della sua morte, per trasferirne la coscienza in un dispositivo digitale.
Una vita intera fatta di ricordi e vissuti unici, che passeranno su di un codice binario intricatissimo e si tramuteranno in una personalità virtuale in tutto e per tutto fedele alla memoria della persona che non c’è più. Con cui sarà possibile chiacchierare via smartphone.
Ed ecco che vengono subito in mente scene di dylandogghiana memoria: sale in penombra, tavole ouija e una vecchia signora che sostiene di poter parlare con gli spiriti dei defunti. Oggi, assistiamo alla possibile canonizzazione di un fenomeno che per secoli è stato associato a ciarlatani e ghost hunters da strapazzo.
Come funzionerà HereAfter, il software per parlare con i morti
Il software di HereAfter non si comporrà di semplici registrazioni a "segreteria telefonica", ma sfrutterà la sofisticatissima struttura delle intelligenze artificiali che imparano dai propri utilizzatori, così da rendere l’esperienza il più reale possibile.
Il machine learning è una tecnologia sempre più utilizzata nella vita di tutti i giorni: si pensi solo agli assistenti vocali che imparano dalla quotidianità e rispondono di conseguenza. Tuttavia, qui il discorso è molto più profondo, perché non si parla di impostare un timer o un evento su un calendario.
Il che ci ricorda molto la surreale conversazione tra LaMDA – l’intelligenza artificiale di Google – e l’ingegnere Blake Lemoine. LaMDA parlava esattamente come un essere umano senziente, spaventando il suo creatore al punto da costringerlo a interrompere l’esperimento e a ragionare sulle conseguenze etiche della propria creazione.
Tuttavia, se parliamo di esseri umani, c’è un nodo fondamentale nel creare un’intelligenza artificiale con la coscienza di una persona: gli aspetti comunicativi verbali e non verbali, quasi impossibili da riprodurre.
Oggi assistiamo già a rudimentali riproduzioni della comunicazione umana – lo vediamo su FakeYou, l’app per i deepfake vocali che sta spopolando in questo periodo – sebbene, per un progetto come quello della HereAfter non può bastare un semplice riproduttore vocale robotico.
Riprodurre la cadenza, il tono, le peculiarità uniche di un individuo è un lavoro che impiega una mole di dati non indifferente: diversamente, si dà semplicemente luce a un Frankenstein inquietante che non darà mai il risultato sperato.
Quindi, si parla di una tecnologia che impiegherà diversi anni prima di vedere la luce, anche se Jee sostiene di aver già fatto grossi passi avanti testando un prototipo del software utilizzando la “memoria” dei suoi genitori, ancora vivi e vegeti per fortuna.
Le implicazioni psicologiche
Non è però lavoro da psicologi farsi delle domande sulle eventuali conseguenze psicologiche che un software di questo genere potrebbe avere sulla psiche di un individuo che lo utilizza. Un’intelligenza artificiale, per quanto fedele e indistinguibile dalla realtà, è sempre un’intelligenza artificiale.
Ad oggi – e si spera anche in futuro – una macchina non avrà mai i sentimenti e le reazioni di un essere umano, e quest’ultimo dovrà sempre fare i conti con questa cosa mentre parla all’ombra della persona cara defunta – almeno inconsciamente. Cosa che non farebbe che prolungare un lutto, mettendolo in una situazione di stallo nella fase di contrattazione dei termini del trauma subito.
Eppure, Jee difende la propria idea a spada tratta.
C’è qualcosa di profondamente umano nel desiderio di ricordare le persone che amiamo ormai scomparse. Invitiamo i nostri cari a scrivere i loro ricordi prima che sia troppo tardi. Dopo che se ne sono andati, appendiamo le loro foto alle nostre pareti. Visitiamo le loro tombe nei loro compleanni. Parliamo con loro come se fossero lì. Ma la conversazione è sempre stata a senso unico.
La linea tra le fasi del lutto e le sue conseguenze si assottiglia, man mano che l’essere umano trova modi per sfuggire agli elementi ineluttabili che ci pone davanti. Primo su tutti la mortalità. Sì, perché da quando l’essere umano è venuto a conoscenza della morte, ha sempre cercato modi per ovviarla e spiegarla.
Qui, però, c’è da chiedersi se la tracotanza e – impossibile da non tenere in considerazione – il profitto non stiano davvero calpestando in ogni modo possibile la purezza del sentimento umano, arrivando a limiti impensabili e, francamente, inquietanti.