WhatsApp, cosa accadrà dall'8 febbraio

Il Garante della privacy chiede chiarimenti a livello europeo. Il timore è che Facebook ottenga informazioni per calibrare le pubblicità.

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Il caso è aperto. Il cambiamento dei termini di servizio di WhatsApp che entrerà in vigore dal prossimo 8 febbraio passerà al vaglio delle autorità per la privacy europee. Secondo il Garante italiano, infatti, non è chiaro come i termini del servizio di una delle più famose società delle chat del pianeta vengono modificati, né come saranno condivisi i dati con il gruppo (Facebook) o come saranno trattati i dati personali. Insomma ci vuole più chiarezza.

Il caso è rimbalzato ovviamente sui social e ha destato l’attenzione e la preoccupazione degli utenti europei dell’App verde, alcuni dei quali temevano anche che i propri dati finissero per orientare i messaggi pubblicitari ricevuti su Facebook.

In campo è scesa persino Niamh Sweeney, direttrice della Policy di WhatsApp per l’Emea: “E’ falso”, ha scritto a chiare lettere.

“L’aggiornamento dei termini di servizio e dell’informativa sulla privacy non impone di acconsentire alla condivisione di dati con Facebook per scopi pubblicitari”. La Sweeney ha dunque aggiunto in link alle FAQ in materia, per chiarire cosa fa e cosa non fa dei nostri dati WhatsApp.

Perché la materia non è da poco nell’epoca che Shoshana Zuboff ha definito del “Capitalismo della sorveglianza”. Tra Facebook e WhatsApp c’è una grande differenza inoltre: se il primo è una vetrina, il secondo è una buca delle lettere e sarebbe facile chiamare in causa la Costituzione e il diritto alla riservatezza.

WhatsApp : ma come funziona? Cosa sa di noi?

Il sospetto di un trasferimento poco trasparente di dati tra WhatsApp  e Facebook nasce, prima dell’ultimo caso, da una ben lampante contiguità. Wikipedia conta WhatsApp come 48esima operazione di acquisizione da parte di Facebook (a oggi sarebbero in tutto 88). L’operazione avvenne nel 2014 per la cifra stratosferica di 16 miliardi di dollari, di cui però solo due in contanti mentre gli altri 12 miliardi di dollari erano in azioni della casa di Menlo Park. Già allora però WhatsApp aveva superato i 450 milioni di utenti per mese, oggi supera è di circa un miliardo e mezzo. Jan Koum, co-fondatore di Kiev e CEO della società delle chat insieme a Brian Acton, si disse onorato della partnership con Mark Zuckerberg e la sua Facebook. L’ennesima storia miliardaria tra nerd, o meglio geek, se non fosse che poi a questi livelli giocano davvero in pochi ormai.

Dunque Facebook cominciò a usare i dati di WhatsApp?

Neanche per sogno. Almeno sulla carta infatti l’intero sistema della chat in verde è blindato agli occhi di terzi, compresi quelli di Facebook e personale del gruppo. Nel 2014 WhatsApp era a pagamento, ma appena due anni dopo lo stesso Koum avrebbe annunciato l’intenzione di rendere il servizio praticamente gratuito (un dollaro l’anno). La questione del modello di business rimase sul tavolo, ma WhatsApp non ha accolto più pubblicità e non chiede più fee agli utenti comuni.

Gli introiti vengono dai servizi di comunicazione alle aziende che costituiscono tutta un’altra piattaforma per la quale oltretutto servizi cross-piattaforma Facebook-WhatsApp sono invece incoraggiati in ottica di servizio.

WhatsApp: i nostri messaggi e quel che dichiara l’azienda

La stretta del nuovo codice europeo sulla privacy GDPR ha chiaramente rafforzato i poteri e l’attenzione dei Garanti venendo incontro a legittime preoccupazioni per questo qualche dato su come funziona WhatsApp (o almeno su come dichiara di funzionare) può essere utile.

WhatsApp usa un sistema di crittografia end-to-end e segnatamente uno con il protocollo Signal. In parole semplici solo le due persone che comunicano si scambiano una chiave di decifrazione del messaggio e solo loro due possono dunque decifrarlo.

Il messaggio scambiato inoltre viene salvato solo sui dispositivi (i cellulari per esempio) dei due, quindi è escluso dai server di WhatsApp  e del gruppo Facebook (che comunque non hanno la chiave per decifrare il messaggio). Le eccezioni sono molto specifiche, per esempio un messaggio non ricevuto viene salvato per 30 giorni in attesa del recapito e poi distrutto, un video o un file pesante passa magari da server per permettere un invio efficace.

Dire però che WhatsApp  non tiene niente dei suoi utenti sarebbe sbagliato. Chiaramente conserva il numero di cellulare e le informazioni di base necessarie a creare l’account. In genere l’utente condivide i contatti della rubrica (quindi passano dai suoi server anche quelli che non usano i servizi anche se la società usa accortezze particolari in questo caso).

In automatico vengono anche raccolti dati sul servizio, le prestazioni, la diagnostica “(tra cui le modalità di utilizzo dei nostri Servizi, le impostazioni dei Servizi, le modalità di interazione con gli altri attraverso i nostri Servizi - incluse le interazioni con le attività commerciali - oltre agli orari, alla frequenza e alla durata delle attività e delle interazioni), file di log e report relativi a diagnostica, arresti anomali, siti web e prestazioni”. A questi si possono aggiungere dati finanziari se si sottoscrivono servizi che se ne servono.

WhatsApp  raccoglie anche i dati sul nostro dispositivo: “informazioni quali il modello di hardware, le informazioni sul sistema operativo, le informazioni sul livello della batteria, la potenza del segnale, la versione dell'app, le informazioni sul browser e sulla rete mobile, le informazioni sulle connessioni (compreso il numero di cellulare, l'operatore mobile o il provider ISP), la lingua e il fuso orario, l'indirizzo IP, le informazioni sulle operazioni dei dispositivi e identificatori (inclusi gli identificatori univoci per i prodotti delle aziende di Facebook associati allo stesso dispositivo o account)”.

Anche la posizione può essere condivisa: ovviamente quando la si condivide, ma se anche questo non succede, l’app vede i prefissi telefonici per stimare la posizione generale dell’utente ai fini di un servizio più efficiente o per diagnostica o risoluzione di problemi. In quest’ottica vengono impiegati anche dei cookie. Esistono comunque funzioni avanzate di sicurezza.

Ma allora Facebook?

A queste specifiche che la stessa WhatsApp  fornisce però va necessariamente aggiunto che la gestione della privacy da parte del gruppo WhatsApp  non è stata esente da critiche la sentenza Schrems II fa parte della storia della politica sulla privacy dell’Unione e lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica non ha soltanto cambiato l’approccio generale dei social media alla riservatezza dei clienti, ma ha anche scandito l’avvio di uno stretto monitoraggio di tutte le loro attività da parte delle Autorità nazionali e sovranazionali.

Il cambiamento dei termini del servizio di WhatsApp  forse non approderà a nulla, ma l’attenzione che ha subito destato fa parte di questa stessa storia.