Gli operatori radiomobili in Italia: asset di una realtà critica

Analizziamo la situazione in cui versano attualmente questi asset fondamentali del nostro paese e come potrebbe evolversi la situazione.

Com’è strutturato il presente degli operatori radiomobili nel nostro paese, e quali difficoltà e criticità ci sono nei loro orizzonti futuri? Analizziamo la situazione in cui versano attualmente questi asset fondamentali del nostro paese e come potrebbe evolversi la situazione nel prossimo futuro.

Il 5G in Italia

Il nostro paese sembra essere partito un po’ in ritardo rispetto allo sviluppo capillare delle reti 5G sul territorio e nelle aree non densamente urbanizzate. Il primo piano di investimenti pubblici per la banda ultra larga, supportata dalle reti 5G, è datato maggio 2021. Nello stesso anno è stata effettuata un’approfondita mappatura delle reti radiomobili e, l’anno successivo, nel 2022, con la partenza del Piano Italia 5G, sono stati due i bandi finalizzati allo sviluppo delle reti wireless di quinta generazione.

Secondo fonti Asstel, la copertura 5G nelle aree urbane (cioè popolate) del paese è, ad oggi, del 99,7%. Si va, invece, decisamente peggio in quanto a infrastrutture dedicate al 5G in modo standalone, cioè che non hanno bisogno di alcun appoggio su infrastrutture 4G e, in questo caso, si registra una percentuale molto più bassa che si attesta solo al 7,3%, tant’è che fa sentire il suo peso anche sotto forma di mancanza della copertura con la fibra. Da qui nasce l’esigenza di stanziare ingenti fondi per realizzare la copertura capillare 5G in tutto il nostro paese, soprattutto nelle aree bianche e meno servite dalla banda ultra-larga.

Fondi che gli operatori radiomobili non hanno a causa della ben nota crisi finanziaria nella quale si trovano e che andremo ad analizzare evidenziando le principali cause che la stanno determinando.

L’impatto di Iliad: il drastico calo dell’ARPU

È innegabile che nel mercato delle reti radiomobili italiane esista una situazione pre-Iliad e una post-Iliad. L’ingresso della società francese nel mercato nostrano, avvenuto nel maggio 2018, ha drasticamente modificato il panorama delle telecomunicazioni nel nostro paese.

In un periodo segnato da prezzari abbastanza omogenei e attestati su offerte già piuttosto basse, Iliad lanciava la sua celebre “Rivoluzione” che, a tutt’oggi, resta ancora impressa nella mente dei clienti ben fidelizzati. La prima storica offerta dell’operatore francese proponeva, infatti, 30 GB in 4G+ al prezzo di 5,99 € al mese. Fino a qualche mese prima, invece, le proposte più comuni si attestavano a circa il triplo del costo per più o meno la metà dei giga, in modo non molto dissimile tra i diversi operatori.

Iliad, insomma, puntò tutto su un drastico calo ulteriore dell’ARPU, Average Revenue per User, ossia il ricavo per singolo utente, al fine di massimizzare l’acquisizione di nuovi clienti/contratti a scapito dei competitor storici presenti sul mercato. La mossa è stata tanto sorprendente e azzardata da generare in alcuni il dubbio che non ci fosse nessun margine di guadagno. Nel frattempo, a dispetto dei suoi detrattori, Iliad continuava a proporre nuove offerte competitive, alzando la soglia dei sempre più richiesti giga, e mantenendo sempre estremamente bassa la propria offerta.

L’impatto fu così devastante che, ad oggi, anche gli altri operatori per poter mantenere i propri clienti si sono visti costretti ad offrire tariffe praticamente allineate a quelle di Iliad. Nel frattempo, però, Iliad si è aggiudicata – anche dal punto di vista fiduciario – una fetta importantissima del mercato e continua a registrare ricavi in continua crescita a vantaggio dei propri competitor (TIM, Vodafone e Wind3).

La mancata regolamentazione sulle tariffe, l’inserimento in Italia di un quarto operatore dopo il “merge” tra Wind e H3G e la concorrenza a dir poco aggressiva di Iliad rispetto ai suoi competitor ha, di fatto, generato una situazione di forte stress finanziario per gli operatori presenti in Italia. Questo ha aggravato ulteriormente la situazione nella quale già versavano a causa delle ingenti somme spese per l’acquisto delle frequenze 5G, situazione prevedibile ma sulla quale nessuno è intervenuto.

Il merge di Wind/H3G e l’introduzione di Iliad nel mercato italiano

Il 31 dicembre 2016, due dei più grandi operatori di telefonia radiomobile del paese, Wind e H3G, annunciano il “merge” tra le due Aziende.

L’obiettivo era quello di consolidare le reti degli operatori wireless, ben 4 e considerati troppi in Italia, al fine di razionalizzare meglio le offerte, l’utilizzo delle risorse radio e delle infrastrutture, ottimizzando il regime di concorrenza delle offerte ai cittadini.

Tale operazione di consolidamento, però, ha fatto sì che l’Unione Europea richiedesse di inserire nel nostro paese un nuovo carrier al fine di mantenere lo stesso numero di operatori precedenti. Il tutto senza però considerare che il consolidamento di WIND e H3G in un unico operatore era stata una operazione finalizzata ad equilibrare una situazione già anomala e caratterizzante lo scenario delle Telco in Italia in quegli anni. Numero elevato di operatori rispetto alla popolazione, alla copertura del territorio e una disottimizzazione dell’utilizzo delle infrastrutture di rete.

Tutto ciò ha portato da un lato all’inserimento di un nuovo operatore, Iliad, il quale per penetrare nel mercato domestico nel modo il più incisivo possibile ha adottato una politica di offerta estremamente aggressiva con l’obiettivo di acquisire quanti più utenti possibili e dall’altro a far sì che la fusione tra Wind e H3G non ottenesse l’effetto del consolidamento desiderato. 

Osservando, infatti, le rilevazioni AGCOM, pur rimanendo uno dei maggiori operatori italiani (terzo posto a marzo 2022 dietro TIM e Vodafone), Wind3 continua a perdere molti più abbonati sul “mobile” di quanti ne acquisisce: nel 2021, per esempio, si registrava il 18% di linee in entrata a fronte del 24,1% di linee in uscita, la peggior situazione del mercato in quel periodo.

Di contro, dopo essersi appoggiata proprio alle infrastrutture di Wind3 al lancio, Iliad è l’unica compagnia che, oltre agli operatori virtuali, registra con continuità una costante crescita dei ricavi grazie all’acquisizione di una fetta sempre maggiore di utenti. Nello stesso 2021 preso in esame precedentemente, Iliad vedeva un 9,4% in uscita contro un 18% in entrata. Una crescita che ricorda quella del suo lancio, col milione di abbonati raggiunti nel primo mese di attività.

Big in crisi: dallo sguardo al biennio 2021-2022 una pericolosa regressione

Il report di AGCOM del 2021, menzionato in precedenza, mostra che, pur con impatto meno significativo, lo scenario continua a peggiorare nel tempo per tutti i carrier radiomobili del nostro paese. La stessa TIM, che si mantiene leader, ha visto perdere un rilevante 21,2% di utenti riuscendo ad acquisirne solo un 15,8%; per Vodafone la situazione è stata identica a Wind3, eccezion fatta che per uno 0,4% di uscite in meno rispetto a TIM. Sul lungo periodo, insomma, la fusione di Wind e H3G non ha avuto effetti così positivi come da attese relativamente al consolidamento degli asset dei 3 operatori che sono andati a costituirsi dopo il loro merge.

Hanno tutti e tre perso clienti a vantaggio di Iliad il quale, a fronte di offerte ridotte ai minimi termini ha acquisito un elevato numero di nuovi contratti determinando in questo modo un ulteriore abbassamento dell’ARPU. La conseguenza di ciò è il disagio finanziario che gli altri operatori wireless hanno dovuto sostenere e che si è tradotto in perdita di posti di lavoro, ristrutturazioni aziendali, procedure di solidarietà e impoverimento generale dell’eco-sistema del radiomobile in Italia.

Inoltre, stando a quanto riporta sempre Asstel, già nel 2021 i ricavi del mondo delle telecomunicazioni erano sensibilmente diminuiti. In parte a causa delle enormi spese di investimento sostenute in favore dello sviluppo delle reti di banda ultra larga e di quelle 5G menzionate all’inizio, in parte a causa della progressiva guerra al ribasso delle tariffe dovuta proprio all’approdo di Iliad, vantaggiosa per molti consumatori ma con conseguenze negative di più ampia portata che potevano essere previste ed evitate se ci fosse stata una gestione più oculata da parte degli organismi di controllo preposti.

Nel 2022 scendono allo stesso modo i fatturati di tutte e tre le big (-7,5% TIM, -6,1% Wind3, -2,5% Vodafone), e sempre a favore della crescita verticale di Iliad la quale si attesta, addirittura, a +15% di crescita, con accanto Fastweb e Poste Mobile anche se con volumi di crescita inferiori.

Le analisi di cui sopra non includono, inoltre, i dati che sicuramente emergeranno e che stanno emergendo sulle conseguenze economiche determinate dal conflitto in Ucraina: aumento costi delle materie prime, dell’energia e aumento incontrollato dell’inflazione che continua a crescere. Non sarebbe quindi sorprendente scoprire una situazione ancora un po’ più critica di quella ad oggi evidenziata.

Il rischio per il futuro

Dai dati che emergono, la situazione non è semplice e non sembra migliorare. La crisi di settore è evidente e bisogna ricorrere ai ripari quanto prima.

Le difficoltà sempre maggiori a cui stanno andando incontro gli operatori radiomobili fanno considerare e prendere in esame la vendita delle infrastrutture delle reti, asset strategici del nostro paese, a fondi di investimento stranieri. Ciò è quanto da tempo sta cercando di fare TIM e, negli ultimi tempi, anche Wind3 tentando di scorporare i servizi dalla rete e far fluire liquidità nelle proprie casse. Questa operazione, però, non è detto che risolverebbe i problemi se non si decide di intervenire in modo strutturale con interventi congiunti da parte di Governo, istituzioni e manager capaci con una visione di più ampio respiro rispetto alle soluzioni a cui si sta tendendo.

La separazione dei servizi, che rimarrebbero in gestione ai carrier, dalle infrastrutture di rete, potrebbe, infatti, non portare ai benefici attesi e non risanare la difficile situazione finanziaria nella quale si trovano oggi gli operatori radiomobili. Questo sarebbe, infatti, un risvolto negativo per l’Italia, soprattutto considerando il fatto che il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) riserva il 27% delle proprie risorse alla transizione digitale e allo sviluppo delle infrastrutture delle reti abilitanti la digitalizzazione. Infrastrutture che diverrebbero, se si continua a seguire la strada intrapresa, di proprietà estera. Possiamo permettercelo come sistema paese?

Nel prossimo articolo approfondiremo nel dettaglio il tema analizzando delle possibili soluzioni di intervento da adottare per migliorare l’attuale situazione che, allo stato attuale, sembra non presenti segnali di miglioramento.

Ivan Cunzolo
Ivan Cunzolo
Copywriter e SEO Web Writer freelance, classe 1993. Sono nato e vivo a Napoli, amando la mia città. Sin da piccolo ho sempre scritto senza fermarmi mai, prima sulla carta, poi al computer. Al desiderio di diventare giornalista ho unito il nascente interesse per marketing e tecnologie. Mentre iniziavo con tonnellate di articoli in progetti sul web di pura passione, mi sono laureato in Culture Digitali e della Comunicazione alla Facoltà di Sociologia dell'Università Federico II. Da 6 anni sono Copywriter e Web Writer freelance, specializzato nella scrittura SEO.
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