Il consolidamento delle TLC in Europa: M&A la strategia più seguita

È un fatto che l’industria delle telecomunicazioni in Italia non attraversi un momento di grande prosperità.

Guardando all’andamento del settore a partire dal 2010, in Italia il giro d’affari è diminuito di circa 15 miliardi (- 3,7% medio annuo), con la rete mobile in maggior affanno (-5,1%) rispetto alla fissa (-2,4%). Secondo l’analisi sul comparto elaborato da Mediobanca. e pubblicato recentemente “queste dinamiche sono influenzate da numerose variabili. Tra queste figurano gli effetti prodotti dalle “tariffe di terminazione mobile in costante riduzione (passate in Italia da 0,76 centesimi nel 2020, a 0,67 nel 2021, 0,55 nel 2022 e 0,4 nel 2023)”.

Il peso delle pressioni competitive, sottolinea Mediobanca, “hanno causato in Italia la più marcata contrazione dei prezzi dei servizi telefonici in Europa: una flessione del 17,6%, di gran lunga maggiore del -3,2% medio europeo nel quinquennio 2018-2022”.  La situazione è forse addirittura peggiorata nell’ultimo biennio, il 2022-2023, quando si è fatta più stringente la pressione dell’inflazione. In questi anni “in Italia le tariffe telefoniche sono rimaste pressoché stabili, pur non mancando tentativi di introduzione di meccanismi di adeguamento al carovita dei canoni mensili, con riferimento soprattutto ai nuovi contratti”. 

Ad aggravare la situazione, segnala il report, è stata la strategia, portata avanti dagli operatori mobili virtuali e dei second brand dei player infrastrutturali, di incrementare i volumi dati inclusi nelle proprie offerte a parità di tariffa o, in taluni casi, di lanciare promozioni a prezzi ulteriormente ridotti. L’effetto immediato è stato quello di produrre un calo dei ricavi in un contesto di continuo rialzo del volume di traffico. Nel primo semestre 2023 i ricavi domestici dei principali operatori italiani sono risultati stazionari (-0,1%), con il comparto mobile che ha proseguito nel trend calante (-3,9%), mentre la telefonia fissa ha segnato un andamento positivo (+3%). La contrazione del fatturato rimane concentrata nelle divisioni mobili dei primi tre operatori: Tim (-6,4%), Wind Tre (-6,1%) e Vodafone (-5,7%), con una diminuzione cumulata di 286 milioni. Continua la crescita di Iliad Italia (+12,2% sul primo semestre 2022), con la controllata dell’operatore transalpino che dal gennaio 2022 ha ampliato la propria offerta alla telefonia fissa. In rialzo anche PosteMobile (+4,5%) e Fastweb (+4,3%).

“Dal confronto tra i conti aggregati degli 11 principali operatori italiani (player con una soglia minima di fatturato di 60 milioni e rappresentanti il 95,5% del mercato complessivo rilevato da Agcom) e dei big player con sede nell’EMEA, emerge una redditività inferiore dei primi, con graduale allargamento del divario nel quinquennio 2018-2022. Per i principali gruppi italiani il calo del giro d’affari e il rialzo dei costi hanno portato a un ebit margin dell’1,2% nel 2022 (dal 14,5% nel 2018), rispetto al 14,3% segnato dalle big dell’EMEA (13,4% nel 2018). Anche la redditività del capitale investito descrive un percorso analogo, con il ROI aggregato delle telco italiane in discesa dal 6,2% del 2018 allo 0,5% nel 2022 (rispetto al 6,9% dell’EMEA nel 2022), risultando costantemente inferiore, nell’ultimo quinquennio, al costo del capitale, stimato al 7,6% nel 2022”.

La guerra dei prezzi

Uno dei fattori che viene spesso citato come causa scatenante delle difficoltà delle Telco in Italia è la forte competizione che si è sviluppata sul versante dei prezzi. Ammettendo che l’aggressività degli attori di un mercato dipende dalla densità sul lato dell’offerta (il numero di operatori in rapporto alle dimensioni del mercato, cioè il numero di clienti), allora nelle telecomunicazioni la guerra dei prezzi non può non essere la conseguenza di un affollamento eccessivo. Nel 2017, Wind e Tre hanno deciso di fondersi perché ritenevano che in Italia non ci fosse spazio per quattro operatori strutturati.

Tuttavia, la Commissione europea ha subordinato l’approvazione della fusione all’ingresso di un nuovo operatore (Iliad) a cui se ne è poi aggiunto un quinto (Fastweb). Come se non bastasse, il lato dell’offerta è andato affollandosi di operatori virtuali che svolgono in altri settori la propria attività economica principale e, pertanto, fanno dell’offerta di connettività uno strumento di fidelizzazione della clientela, accontentandosi di margini al limite della sostenibilità e quindi praticando tariffe particolarmente basse.

Se a tutto ciò aggiungiamo l’ingresso di nuovi operatori stranieri, anche a livello locale, sul territorio nazionale senza che ci sia un adeguato controllo sul regime di concorrenza che tenga conto della situazione nel nostro paese in termini di mercato già “affollato”, la situazione si complica ulteriormente.

Per HSBC il mercato italiano è uno dei più sfidanti nella UE

Se si parte da questa osservazione di contesto non stupisce che un recente report di HSBC definisca l’Italia come “uno dei mercati più impegnativi per le telecomunicazioni europee, con cinque operatori attivi”. HSBC segnala come l’ingresso di Iliad sul mercato italiano si sia accompagnato ad una “perdita di valore di mercato” con le “entrate del comparto hanno registrato un forte calo da quando Iliad ha lanciato i suoi servizi mobili nel maggio 2018”. I ricavi, aggiunge la banca nel report, solo di recente si stanno muovendo nella direzione di una sostanziale “stabilizzazione”.

Le telecomunicazioni, si legge nel report, sono “un business a costi fissi”. Gli operatori – in ragione del mercato in cui operano – devono costruire una massa critica per ottenere un rendimento. Fino a quando non riescono a raggiungere questa massa “l’unico modo per crescere” è “attraverso prezzi più bassi rispetto alla concorrenza”. Per la banca inglese “Spagna, Italia, Portogallo e Belgio” sono i Paesi in Europa che “hanno ancora, o si troveranno presto, ad affrontare una struttura di mercato squilibrata”.

Soluzioni come la spinta a soluzioni “wholesale” e ad una concorrenza basata sulla qualità dei servizi, invece che sui prezzi, sono ancora molto “timide” e poco perseguite.

La nuova stagione dell’M&A in Italia

Alla fine del 2023 è sembrata avviarsi una fase di assestamento del mercato delle tlc in Italia che sembra preludere ad una fase di consolidamento in grado di ridurre gli operatori attualmente attivi e di garantire un allentamento della morsa sui margini delle imprese del settore. Il passo ufficiale è stato quello di Iliad che, dopo una prima manifestazione di interesse del 2022, ha rinnovato il suo affondo per rilevare gli asset italiani di Vodafone. L’offerta avanzata dalla società che fa capo a Xavier Niel è più povera in termini assoluti rispetto a quella avanzata quasi due anni fa, visto che le attività italiane del gruppo telefonico vengono ora valutate 10,45 miliardi contro gli 11,25 miliardi di febbraio 2022.

L’ipotesi di aggregazione si fonda su una joint venture al 50% con la possibilità per Iliad di salire al 100% in 5 anni. Il gruppo francese punta a concludere l’operazione facendo leva sull’insoddisfazione che Vodafone segnala da tempo per la performance dei suoi asset italiani. Il mercato italiano ha, comunque, un suo peso per il gruppo inglese visto che fornisce un contributo pari all’11% dei ricavi da servizi di gruppo. Secondo i dati più aggiornati a disposizione nel primo semestre del 2023, i ricavi derivati dalle attività italiane sono scesi dell’1,3% a 2.098 miliardi. Nello schema di aggregazione proposto da Iliad, Vodafone avrebbe il 50% del capitale sociale della newco insieme a un introito in contanti pari a 6,5 miliardi di euro e a un finanziamento soci per 2 miliardi finalizzato a garantire un allineamento a lungo termine. Sulla base dell’Ebitda stimato di Vodafone Italia, pari a 1,34 miliardi per l’esercizio 2024, l’operazione proposta implica un multiplo dell’Ebitda di 7,8 volte, superiore al multiplo di 7,1 volte offerto da Iliad nella sua offerta di 11,25 miliardi di euro di febbraio 2022. Iliad avrebbe il restante 50% ma anche un diritto di opzione (call option) sulla partecipazione di Vodafone che prevede la facoltà di acquisire ogni anno il 10% del capitale a un prezzo per azione pari all’equity value al closing. Nel caso in cui Iliad decidesse di esercitare interamente le opzioni call, ciò genererebbe ulteriori 1,95 miliardi di liquidità per Vodafone.

La branch italiana di Iliad viene invece valutata 4,45 miliardi e nella entità combinata la compagnia otterrebbe il 50% del capitale sociale della newco, insieme a un pagamento in contanti pari a 500 milioni e a un finanziamento soci per 2 miliardi. Dal matrimonio nascerebbe un operatore con un fatturato di circa 5,8 miliardi e un Ebitda al di circa 1,6 miliardi, beneficiando di sinergie annuali per 600 milioni e con leva finanziaria a 4,5 volte di debito netto rispetto all’Ebitda, con l’obiettivo di scendere al di sotto di 3 volte tre anni dopo il closing.

Il dossier delle reti

Il 2024 si annuncia quindi come un anno potenzialmente denso di cambiamenti per il comparto delle telecomunicazioni italiane. Se al dossier delle aggregazioni nel comparto dei servizi si aggiunge quello della possibile aggregazione delle reti si capisce come i mesi a venire potrebbero comportare un radicale stravolgimento nel panorama delle telco italiane. Sul versante delle infrastrutture si sono già compiuti i primi passi con la cessione della rete Telecom ad una Netco con il fondo statunitense KKR e il Tesoro in qualità di maggiori azionisti. L’operazione, tuttavia, non si può dire ancora conclusa vista la contrarietà del maggiore azionista di Telecom, il gruppo francese Vivendì, che ha minacciato, in più di una occasione, azioni legali per bloccare una operazione che non la soddisfa.

A valle di questa operazione c’è poi la possibile aggregazione degli asset di Netco con quelli di Open Fiber, altro operatore privato con infrastrutture di rete sul territorio nazionale, per dare vita ad un operatore in grado di gestire una unica rete a livello domestico. Lo scenario, considerato il carattere strategico dell’asset in questione e il calibro degli operatori che sono coinvolti, resta ancora non chiaramente delineato e si potrà aprire nei prossimi mesi a diverse soluzioni.

Per JP Morgan il 2024 sarà l’anno della svolta per le Telco europee, anche con le aggregazioni

Che il 2024 possa essere l’anno della “svolta” per le Telco, in Italia e in Europa, lo segnala JP Morgan in un report di recente pubblicazione. Il 2024, afferma la banca americana, si annuncia come un anno positivo per un comparto da tempo alle prese con la ricerca di un modello per tornare a essere remunerativo – stretto com’è fra concorrenza agguerrita sui prezzi, investimenti enormi conseguenti all’upgrade tecnologico, contesto di mercato fin troppo popolato e in cerca di consolidamento. 

La banca d’affari americana porta vari elementi a sostegno di questa previsione. Innanzitutto l’inversione di rotta rispetto alla guerra dei prezzi che ha falcidiato ricavi e margini. Un aumento dei prezzi sarebbe già stato avviato in “oltre 100 casi” in Europa nel corso del 2023. Il tutto avrebbe supportato la crescita dei ricavi da servizi fino al 2% nel terzo trimestre del 2023, mettendosi definitivamente alle spalle i cali compresi fra il -0,9% e il -2% del periodo legato al Covid (secondo trimestre 2020-primo trimestre 2021), prima di una crescita un po’ più sostenuta solo a partire dal secondo trimestre 2022. A livello territoriale la performance peggiore è attesa per Grecia (-2%), Svizzera (-1%) e Germania (0%).

In crescita tutti gli altri Paesi, a partire dal +1% di Italia e Francia fino ad arrivare al +5% del Portogallo, nel terzo trimestre 2023. A conferire maggiore smalto al sentiment sul mercato, contribuisce poi la vivacità che si percepisce in chiave M&A che fa sperare in un consolidamento in grado di prendere quota. La fusione tra Orange e MasMovil in Spagna è sotto osservazione per capire quale potrà essere la linea seguita dalla Commissione UE, finora molto rigida. Intanto il focus ora è spostato anche sui destini di Vodafone in Italia, dove l’operazione Netco di Telecom Italia ha rappresentato un fattore positivo per le valutazioni di mercato del settore.

Il contesto delle M&A in Europa

Non c’è dubbio che in Europa si sia riaperta la stagione delle aggregazioni: una stagione che vede Vodafone come protagonista. Sotto la guida del nuovo CEO Margherita Della Valle, il gruppo ha cercato opzioni per le sue attività in Italia, Spagna e Regno Unito. Nel Regno Unito, la proposta di fusione tra Vodafone UK e Three UK continua a procedere con l’approvazione normativa ancora in sospeso. La transazione pianificata è stata infatti autorizzata dalla Commissione Europea, ma tutti gli occhi sono puntati sull’Autorità britannica per la concorrenza e i mercati (CMA), che sarà chiamata a deliberare sulla congruità della joint venture tra il Gruppo Vodafone e CK Hutchison. Nelle aspettative di Vodafone la fusione si dovrebbe concludere entro la fine di dicembre 2024. Vodafone deterrebbe quindi il 51% delle attività combinate e CK Hutchison il 49%.

Oltre alla situazione britannica c’è anche quella spagnola dove Vodafone ha accettato di vendere il 100% della sua società operativa alla società di investimento nel settore delle telecomunicazioni Zegona Communications. In Italia, invece, nessuna decisione è stata ancora presa sulla proposta avanzata da Iliad che punta a rilevare gli asset di Vodafone. Ugualmente anche Swisscom potrebbe rientrare nella partita. Anche in Spagna il comparto delle Tlc è in evoluzione e a giorni si attende che la Commissione Europea si pronunci sull’approvazione, o meno, della proposta di fusione tra Orange Spain e Masmovil.

In questo caso, i due operatori hanno recentemente concordato di vendere le attività dello spettro alla Digi Communications con sede in Romania per ottenere l’approvazione della fusione. In altri mercati, Deutsche Telekom e la controllata greca OTE Group hanno concordato di vendere Telekom Romania Mobile Communications (TRMC) a Quantum Projects Group, controllato da Adrian Tomșa, proprietario del gruppo mediatico rumeno Clever Media Network (CMN). La transazione è soggetta all’approvazione del governo rumeno. In Portogallo, il gruppo Iliad e il gruppo stc dell’Arabia Saudita sarebbero interessati ad Altice Portugal. Accanto alle operazioni di vendita e di aggregazione c’è anche da considerare l’attività di acquisizione di quote in alcuni dei maggiori operatori europei.

Ad esempio, il governo spagnolo ha recentemente segnalato l’intenzione di acquisire una quota fino al 10% nel gruppo Telefónica per bilanciare gli interessi sauditi nell’operatore. A settembre il gruppo saudita Stc Group ha acquisito una partecipazione di minoranza nell’ex operatore spagnolo. L’operatore saudita possiede attualmente una quota del 4,9% ed è destinata ad aumentare questa quota al 9,9% qualora ricevesse l’approvazione normativa.

Conclusioni

Nei prossimi mesi si annunciano cambiamenti profondi per le Telco italiane. Sul versante delle infrastrutture il dossier Netco è quello in fase più avanzata ma non c’è al momento alcuna chiarezza sugli esiti del processo di cessione, a valle del quale si aprirà poi uno scenario di ulteriore possibile aggregazione con gli asset di Open Fiber.

Ugualmente complesso è lo scenario delle M&A nel settore dei servizi dove Iliad sembra intenzionata a giocare un ruolo rilevante. Vodafone sembra aver imboccato la strada della progressiva uscita dal mercato italiano e anche Swisscom potrebbe rientrare nella partita. Da non sottovalutare la posizione di Telecom che, per bocca dei suoi vertici, ha annunciato di voler giocare un ruolo attivo nella fase di aggregazione che si apre a livello nazionale e internazionale dopo la cessione della rete.

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