Un precedente di borsa da evitare a tutti i costi

Il governatore Powell ha ribadito la necessità di raffreddare la domanda, anche se questo dovesse comportare qualche costo.

Il governatore Powell ha ribadito la necessità di raffreddare la domanda, anche se questo dovesse comportare qualche costo. Pazienza se l’economia dovesse entrare in recessione e se questo danneggerà il mercato azionario. L’importante è preservare il costo del credito.

In un intervento radiofonico, il governatore Powell ha chiarito ancora una volta il suo programma, qualora ce ne fosse ancora il bisogno: la domanda aggregata è eccessiva ed esuberante rispetto all’offerta, i salari salgono di conseguenza ad un ritmo insostenibile, e la Fed è risoluta a piegare il ritmo di crescita dell’inflazione. Anche se «questo comporterà un po’ di dolore».

La Fed non teme una recessione, non lavora per evitare un bear market; anzi, nella misura in cui questo producesse un effetto ricchezza negativo, sarebbe salutato con favore. Sorge il sospetto che le attenzioni della banca centrale americana casomai siano rivolte verso il mercato del credito, giudicato più degno di tutela del conto titoli degli investitori. Non a caso la marcia indietro di fine 2018 si manifestò proprio quando gli spread creditizi si impennarono; non certo per il mercato Orso azionario incombente.

Ebbene dall’inizio dell’anno i corporate bond USA perdono il 13.4% nella versione investment grade, il 10.4% quelli di minore qualità. Ma questo aggiustamento riflette interamente l’aumento dei tassi di interesse sui titoli governativi. Al netto dell’impatto sfavorevole dei Treasury, l’extra-perdita è virtualmente nulla.

Dunque la Federal Reserve procederà ad aumentare i tassi di interesse, nelle modalità e tempi già noti; e pazienza se ciò dovesse comportare un aumento dei rendimenti reali. Che comporta l’effetto collaterale sgradevole di una compressione dei multipli di mercato. Questo spiega il ribasso del mercato azionario: mentre gli EPS nel primo trimestre sono cresciuti di circa il 10% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, Wall Street soffre perché il Price/Earnings si è ridimensionato fino alle attuali 17 volte gli utili attesi. Un multiplo meno impegnativo rispetto a quello di fine 2021; ma pur sempre superiore al P/E raggiunto nel 2002-3 (13 volte gli EPS forward) e nel 2009 (11 volte).

Questo contribuisce a spiegare perché sia opportuno andare alla ricerca di “cigni neri”, non trascurando i rapporti di minoranza che emergono dalla valutazione dei modelli previsionali di cui disponiamo.

Lo scorso 2 novembre abbiamo proposto uno studio che si basava sul confronto fra le due misure della volatilità dello S&P500 e dei Treasury: con il VIX quieto, a differenza di un MOVE crescente: riflesso di un mercato dei bond già allora in fibrillazione. Il rapporto fra le due misure precipitava ai minimi degli ultimi 18 mesi: un setup, prima di ottobre, sperimentato solo altre 12 volte dal 1995 ad oggi.

Nel Rapporto Giornaliero di oggi ritorniamo doverosamente su quello studio, che propone un parallelo inquietante con un periodo storico che gli investitori farebbero bene a voler evitare a tutti i costi.

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