Non esistono pasti gratis

A volte viene da sorridere quando sento dire che i problemi economici di cui soffre il nostro Paese dipenderebbero da politiche di stampo “liberista”.

A volte viene da sorridere quando sento dire che i problemi economici di cui soffre il nostro Paese dipenderebbero da politiche di stampo “liberista”.

Chiarisco subito che non si tratta di avere posizioni più o meno “liberiste”, ciò che sappiamo con certezza è che in qualsiasi Stato l’intervento pubblico, in campo economico, non è solo necessario, ma assolutamente indispensabile, tuttavia il problema che ogni Stato è chiamato a risolvere è fin dove si deve spingere l’intervento pubblico?

Sappiamo, ed anche questo è fuori di dubbio, che il “pubblico” è necessariamente meno efficiente del “privato”, ciò è talmente evidente e comprensibile per cui non serve neppure perder tempo per dare una spiegazione.

Ma ci sono dei settori, così importanti per l’esistenza stessa di uno Stato, per i quali non si può ricercare “l’efficienza”, devono necessariamente essere gestiti da apparati pubblici.

L’esempio della “Difesa” è ovviamente il più evidente, ma la stessa cosa vale per la scuola, ed a proposito della scuola vorrei aprire una breve parentesi.

Chiaramente quantificare “l’efficienza” di un settore come quello scolastico è di fatto impossibile, calcolare quanto vale l’istruzione è un esercizio inattuabile, per non dire inutile, ma calcolare quanto costa, no, quello è fattibile.

Noi siamo portati a ritenere che la scuola pubblica sia gratuita, mentre quella privata sia molto costosa. Ebbene a parte far notare che, ad esempio, in Italia le tasse universitarie sono piuttosto onerose, anche limitandoci soltanto alla scuola primaria e secondaria, è ovvio che la scuola pubblica, così come tutti i servizi pubblici, viene finanziata con la contribuzione fiscale, insomma … attraverso il versamento delle tasse.

Non serve ricordare il celeberrimo detto attribuito a Milton Friedman, ossia “non esistono pasti gratis”, quel detto, se vogliamo, è una banalità, è lapalissiano che tutto abbia un costo.

E per calcolare quanto ci costa ogni studente, certo in maniera grossolana, approssimativa, possiamo prendere il bilancio del Miur, ossia del Ministero della Pubblica istruzione e dividerlo per il numero di studenti che frequentano la scuola pubblica.

Quindi facciamo questo semplice calcolo, il bilancio annuale del Miur è di circa 60 miliardi l’anno, gli studenti che frequentano la scuola pubblica sono 7 milioni e 600.000, quindi allo Stato, cioè a noi tutti, ogni studente ci costa circa 8 mila euro all’anno.

Chiudo la parentesi scuola che mi è servita solo per ribadire un concetto sul quale spesso non riflettiamo a sufficienza. L’apparato statale ha costi che devono essere finanziati dai cittadini.

Non c’è nulla di gratuito. 

Ed allora il bilancio statale, come qualsiasi bilancio, è fatto di entrate ed uscite, ebbene le entrate le conosciamo, sono quelle che noi chiamiamo tasse, ma sarebbe più corretto chiamarli tributi, le spese, anche quelle le conosciamo, sono tutte le uscite dovute al mantenimento dell’apparato pubblico.

Sarebbe auspicabile avere un bilancio in pareggio, ma sappiamo che non è così, in Italia, sempre, tutti gli anni, le uscite hanno superato le entrate, e ciò ha creato il problema del debito pubblico. Perché ho definito il debito pubblico un “problema”?

Beh, semplicemente perché occorre finanziarlo, ossia occorre trovare qualcuno che lo finanzi.

Normalmente dovrebbero essere i cittadini stessi a sottoscrivere con i loro risparmi i titoli emessi per finanziare il debito pubblico, e questo dovrebbe anche essere una rilevante fonte di investimento del risparmio, e dovrebbe anche risultare l’investimento a minor rischio, proprio perché garantito dallo Stato.

O meglio … garantito dalla Banca Centrale.

Tuttavia se questo debito continua a salire e quindi viene ritenuto più rischioso che accade? Accade, come sempre in finanza, che un maggior rischio deve essere maggiormente remunerato, in questo caso, quindi, i titoli del debito pubblico dovrebbero avere un maggior rendimento, insomma dovrebbe aumentare il tasso di interesse su questi titoli.

Ma se aumentiamo il tasso di interesse creiamo un’uscita aggiuntiva per le casse dello Stato, insomma siamo entrati in un loop.

Le maggiori spese fanno aumentare il debito, ma un debito più alto induci gli investitori a richiedere interessi più alti che faranno a loro volta aumentare ulteriormente il debito pubblico.

Andando avanti di questo passo è facile intuire le nefaste conseguenze.

Ed ecco allora l’idea geniale.

Se non si trovano cittadini/investitori disposti a sottoscrivere titoli del debito pubblico ad un certo tasso di interesse … allora facciamo acquistare quei titoli, che hanno un basso rendimento, alla Banca Centrale.

Quindi? Cosa accade? Accade che la Banca Centrale, da garante del debito pubblico diventa finanziatrice dello stesso. Capite? Il passaggio non è banale.

Al garante non sarà mai chiesto alcun intervento diretto se il debitore principale onora i suoi impegni, è quando il debitore principale non onora i suoi impegni che viene chiesto al garante di intervenire direttamente.

Ed allora se è la Banca Centrale a dover intervenire direttamente sottoscrivendo, anche solo in parte i titoli dello Stato, significa che la situazione è già abbastanza critica.  

Ed in effetti è lo stesso Keynes, l’economista che viene unanimemente riconosciuto come il maggior fautore dell’intervento pubblico nell’economia, è Keynes, dicevo, a sottolineare che l’intervento della Banca Centrale deve avvenire solo in casi molto particolari.

Ma non basta perché occorre fare un’altra riflessione, mentre i cittadini sottoscrivono i titoli del debito pubblico utilizzando i loro risparmi, quindi denaro reale, dove si approvvigiona la Banca Centrale? Cioè, dove va a prendere la moneta necessaria? 

Ovviamente da nessuna parte, se la crea, ma quella è destinata a diventare inflazione.

E d’altronde, cari ascoltatori, rifletteteci un attimo, se non fosse così, se la Banca Centrale creasse moneta in maniera illimitata e quella moneta fosse “reale”, saremmo tutti ricchi, potremmo permetterci tutti i lussi e soprattutto … non servirebbe andare a lavorare.

Purtroppo non è così, se vogliamo garantirci, non dico tutti i lussi, ma soltanto una vita dignitosa, c’è un solo modo, il lavoro.

Non pensiate che la Banca Centrale possa risolvere i nostri problemi.

Non esistono pasti gratis.

Redazione Trend-online.com
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