Come recuperare i contributi versati, ecco i casi di restituzione dei soldi 

Come richiedere i contributi versati? È possibile ottenere il rimborso dall'INPS per i contributi silenti? Il passaggio inverso delle casse.

Hai versato dei contributi nelle casse professionali o all’INPS che non ti aiuteranno a maturare il diritto alla pensione e vuoi sapere se e come puoi recuperarli.

Non è semplice pensare che l’INPS accetti la restituzione dei contributi versati per errori di calcolo o, comunque, non buoni ai fini previdenziali. La questione appare abbastanza difficile, ma non del tutto ingestibile specie se il discorso cade sulle casse professionali.

Iniziamo nell’escludere la responsabilità degli operatori che non rientrano in questi casi, poiché non parliamo di errori di calcoli o argomentazioni simili. 

È, importante stabilire che nel sistema previdenziale esistono delle particolari termini di cui si ignora l’esistenza. È il caso dei contributi silenti un problema per molti lavoratori che li hanno versati senza riuscire a ottenere un vantaggio previdenziale. 

Per questo motivo, appare normale cercare dei metodi per recuperare i soldi dei contributi versati nelle casse professionali o all’INPS non utili o utilizzabili ai fini della liquidazione della pensione. 

Si possono recuperare i contributi versati, i casi di restituzione dei soldi

C’è la possibilità di ricevere i contributi versati, ma non utilizzati. Insomma, è possibile recuperarli monetariamente, ma si tratta di un’operazione legata strettamente ad alcune casse professionali che consentono questo passaggio inverso. 

Su domanda e se la Cassa lo permette è possibile ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di contribuzione non utilizzata per il raggiungimento di un trattamento previdenziale. In ogni caso, la restituzione segue le regole normative disposte dalla Cassa appartenente. 

Riforma pensione e le scelte mancate dei lavoratori

L’assenza della Riforma pensioni pensa sulle scelte dei lavoratori, per cui si comprende benissimo che c’è chi vedendo svanire una realtà previdenziale cerca di recuperare la parte versata in eccedenza o, comunque, quelle quote che non saranno mai considerate valide per il rilascio di un assegno pensione. 

Sebbene, l’agenda del Governo Draghi sia fitta d’impegni, al momento non vi sono indizi sulle intenzioni della nuova riforma nulla, nessuna indiscrezione se non un rimando alla presenza scelte, azioni e discussioni all’autunno. 

Le regole previdenziali ordinarie portano alla presenza di un montante contributivo anche se non discreto, considerando che per la pensione di vecchiaia occorrono appena 20 anni di versamenti.

Lo stesso non si può affermare per la pensione anticipata ordinaria, che chiude il cerchio lavorativo con 41 – 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva.

La verità è che in Italia si può andare in pensione in diversi modi, alternative che permettono di anticipare l’uscita da 57 fino a 66 anni. Mentre, c’è chi scivola senza alternative nella pensione di vecchiaia a 71 anni.

L’applicazione delle regole per la pensione di vecchiaia contributiva porta a cinque anni di versamenti. Laddove, sono previste le deroghe Amato scatta a 15 anni. Insomma, quel che appare fisso è l’età pensionabile non scindibile sotto i 67 anni di età. Esistono delle eccezioni che riducono quest’ultimo requisito e riguardano le opportunità riservate agli invalidi, ciechi e sordi. 

Le tante possibilità per la pensione che pochi sanno 

La realtà previdenziale è formata da diverse formule che permettono di ottenere un assegno previdenziale anche con 20 anni di contributi. Però, a questo requisito viene associato un’altra caratteristica che porta a 67 anni di età.

L’applicazione di deroghe ammorbidisce il requisito contributivo, ridotto a 15 o 5 anni di versamenti. Resta anche da valutare la possibilità di accedere a un trattamento previdenziale a 64 anni. A cui, è stata abbinata la presenza di un montante contributivo di 38 anni (Quota 102).

Per le lavoratrici, i requisisti anagrafici sembrano molto più vantaggiosi permettendo l’adesione al piano pensionistico donna a 58 o 59 anni di età. Anche in questo caso, c’è una quota contributiva da rispettare che fortunatamente non supera i 35 anni.

Tuttavia, la cattiva notizia per le donne è legata alla presenza del calcolo contributivo irreversibile applicato sul valore dell’assegno previdenziale.

Ci sono anche altre possibilità che permettono di ancorarsi a scivoli fino al pensionamento, sempre legati a un aspetto anagrafico di almeno 63 anni e uno contributivo differibile in base alla tipologia di lavoro. 

Perché versiamo in più i contributi o, meglio, quando la contribuzione si definisce silente 

Abbiamo visto che la strada per arrivare alla pensione non è una sola, ma bensì può essere legata a diverse scelte. È possibile che un lavoratore accumuli o versi una determinata quota di contribuzione, poi non utilizzata ai fini previdenziali.

I motivi legati alla presenza dei contributi silenti possono essere tanti, come ad esempio la presenza di una contribuzione versata in una cassa che non distribuisce poi l’assegno o, ancora se risultano insufficienti per la pensione e così via. 

Indubbiamente aver versato una contribuzione nelle casse o all’INPS senza poterla sfruttare per la pensione, rappresenta un danno economico.

Ecco, perché, diverse casse ammettono il processo inverso. Discorso diverso per l’INPS che se incassa non molla, anzi diventa un piacere non dovendoli trasformare in pensione. 

Prendendo in considerazione le varie ipotesi, appare chiaro che per non perdere nulla occorre innescare altre operazioni.

Infatti, è possibile richiedere all’INPS il cumulo, totalizzazione e ricongiunzione dei contributi. E, ancora di procedere con il riscatto dei buchi contributivi versando una contribuzione volontaria da sommare a quella già esistente considerata silente. 

Meccanismi che potrebbero risultare onerosi, per questo motivo, si consiglia sempre di valutare tutti i vantaggi o meno di ogni operazione prima d’inoltrarla all’INPS.

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