45 anni dalla legge 194: l’aborto è davvero un diritto garantito in tutta Italia?

Sono passati 45 anni dall'approvazione della legge 194 sull'aborto, ma molti sono gli ostacoli dinanzi alle donne che vogliono esercitare un diritto.

Un tema di grande attualità e di polemica in Italia e in tutto il resto del mondo è quello dell’aborto, definibile come qualsiasi interruzione della gravidanza prima del suo termine fisiologico.

Diverse sono state le lotte che hanno portato all’approvazione della legge 194 e la situazione con gli anni ha registrato dei casi particolari, differenziandosi di regione in regione.

Legge 194 sull’aborto: la strada che ha condotto all’affermazione del diritto

Dopo anni di aspre battaglie, la legge 194 che riconosce alle donne il diritto di interrompere volontariamente la gravidanza, viene approvata il 22 maggio 1978.

45 sono gli anni che ci distanziano da questa giornata e la storia della 194 parte da lontano: nel 1971, infatti, la Corte Costituzionale dichiara illegittimo l’articolo 553 del codice penale, che riconosceva reato la propaganda dei contraccettivi.

Contemporaneamente, viene presentato il primo progetto di legge per l’interruzione della gravidanza, che verrà accantonato e mai discusso.

Il vero e proprio cambiamento arriverà nel 1975, quando il socialista Loris Fortuna presenta un nuovo progetto di legge con l’appoggio dei Radicali e del Movimento di Liberazione della Donna.

Negli anni successivi, saranno sei le proposte di legge sull’aborto e verrà approvata nel 1978 quella avanzata dai partiti di sinistra, liberal-capitalisti e radicale.

L’aborto è un diritto delle donne: l’istituzione delle legge 194

Fino alla metà degli anni ’70, l’aborto era considerata una pratica illegale ed era perseguibile penalmente: per questo motivo, molte donne si sottoponevano alle barbarie delle ostetriche improvvisate, recando gravissimi danni alla loro salute.

L’istituzione di questa legge è fondamentale non solo per esprimere un diritto delle donne, ma anche perché permette di effettuarlo in strutture pubbliche, garantendo parità di diritto per chi non dispone di adeguate condizioni economiche.

L’aborto può essere effettuato entro i primi 90 giorni se si tratta di scelta volontaria o entro 180 giorni dall’ultimo mestruo se si tratta di aborto terapeutico.

La donna, l’unica titolare del diritto di interruzione della gravidanza, gode di un tempo di riflessione di sette giorni dopo la visita medica per decidere se procedere o meno con la procedure.

Nonostante la legge 194 affermi come l’aborto sia un diritto, non sempre le donne trovano la strada spianata una volta deciso di intraprendere questo percorso.

L’ostacolo degli obiettori di coscienza: l’aborto è davvero un diritto?

Nonostante l’istituzione della legge 194, le donne fronteggiano delle grosse difficoltà nell’accedere ai servizi per l’interruzione della gravidanza, soprattutto a causa dei medici obiettori presenti nel nostro Stato.

Non tutti i medici sono propensi a praticare l’aborto e coloro che si astengono sono il 70% dei ginecologi, dichiarandosi così obiettori di coscienza, rifiutandosi di ottemperare a un dovere contrario alle proprie conoscenze etiche, morali o religiose.

L’obiezione di coscienza non opera se, in circostanze di urgenza, l’intervento è indispensabile per salvare la vita della donna.

La legge 194 garantisce l’obiezione di coscienza, ma non specifica come assicurare questa possibilità garantendo allo stesso tempo l’aborto: così facendo, la legge lascia spazio a disinteresse e approssimazione.

L’aborto in Italia: i dati nelle regioni italiane

Molti hanno avuto paura che il diritto all’aborto potesse sfumare con la presidenza di Giorgia Meloni, anche perché il diritto ha ancora delle difficoltà di affermazione in tutta Italia.

Non in tutte le regioni l’aborto è garantito allo stesso modo: le differenze sono molteplici e riguardano soprattutto la percentuale di aborti farmacologici sul totale delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG).

Le regioni del nord e del centro Italia hanno un tasso di abortività rispettivamente di 6,3 e 6,4, mentre le regioni del sud e le isole hanno un tasso più basso, pari al 5,6 e 4,9.

Le eccezioni riguardano la provincia Autonoma di Bolzano (4,6), il Veneto (4,6) e le Marche (4,9) nel Centro-Nord e la Puglia (7,2) al Sud.

Per quanto riguarda il ricorso all’aborto farmacologico, non c’è molta differenza tra nord e sud, ma non si potrebbe dire lo stesso per la presenza degli obiettori di coscienza.

Le regioni del nord hanno infatti meno obiettori, seguono quelle del centro e si distaccano per un numero più altro le regioni del sud.

Le donne devono inoltre far fronte a un altro ostacolo, riguardante i tempi d’attesa.

I tempi di attesa per effettuare l’aborto

L’aborto in Italia rientra nei servizi e nelle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto sempre a offrire: l’interruzione della gravidanza ha sempre carattere d’urgenza, ma in alcune regioni il tempo d’attesa è superiore ai 7 giorni dopo la visita ginecologica.

La percentuale di IVG effettuate entro 14 giorni dal rilascio del documento è leggermente aumentata, mentre diminuisce se sono 3 le settimane d’attesa.

Percentuali elevate di tempi d’attesa devono essere valutate attentamente, in quanto possono segnalare la difficoltà di applicazione delle legge.

Diversi sono gli ostacoli che le donne devono superare: sono ancora molte le manifestazioni con cui si scende in piazza per poter esercitare quello che sulla carta è un diritto delle donne, eppure non sempre viene considerato tale.

Leggi anche: Non solo Marche, ecco le Regioni dove è difficile abortire con più obiettori di coscienza

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