La Digital Transformation: analisi e sviluppo di un processo inarrestabile

Luci e ombre sulla Digital Transformation in Italia, dal PNRR un’occasione da non perdere.

L’Italia è tradizionalmente rappresentata come il Paese fanalino di coda della trasformazione digitale a livello europeo ma vi sono, al contrario, ambiti di sviluppo che testimoniano rilevanti miglioramenti e posizioni di leadership del nostro Paese. È l’indicazione che emerge dall’analisi condotta dall’Osservatorio Strategico sulla Trasformazione Digitale dell’Italia, un Think Tank di alto profilo scientifico finalizzato ad analizzare le dinamiche strutturali e congiunturali della digitalizzazione in Italia, che vede coinvolte The European House – Ambrosetti, la Fondazione IBM e numerose personalità scientifiche, accademiche e provenienti dal mondo del lavoro.

I ritardi più gravi sono nel capitale umano e nella formazione

L’Osservatorio parte da una constatazione. Ovvero che il progresso verso un’economia e una società digitale, come misurato dal Digital Economy and Society Index della Commissione Europea (ovvero l’indice composito di riferimento a livello europeo), vede l’Italia al 18° posto nella UE, con un punteggio di 49,3 (su 100), rispetto al 52,9 della Germania, al 53,3 della Francia e al 60,8 della Spagna. I ritardi del Paese con riferimento alla trasformazione digitale sono noti e afferiscono a diverse dimensioni: nell’ambito del capitale umano, per esempio, l’Italia si trova all’ultimo posto per quota di laureati in discipline ICT, con un valore pari all’1,4% (poco meno di un terzo rispetto alla media europea di 3,9%); considerando la connettività, solo due terzi delle famiglie italiane (66%) adottano la banda larga, posizionando il Paese al 24° posto nella UE con un gap di 12 punti percentuali rispetto alla media europea.

Sono numerosi gli indicatori che testimoniano il ritardo dell’Italia in questi ambiti, ma l’analisi condotta dall’Osservatorio relativamente ai principali indici di comparazione della digitalizzazione – in primis il Digital Economy and Society Index (DESI) – evidenzia ambiti non adeguatamente monitorati. A titolo di esempio, l’analisi della digitalizzazione tra i cittadini spesso trascura le differenze a livello territoriale, quelle connesse alle caratteristiche socio-demografiche (età, reddito, livello di istruzione), ma anche l’utilizzo di Internet per attività sociali e civiche. Sul fronte della P.A., non sono adeguatamente valorizzate le dimensioni relative alle tecnologie per la telemedicina e l’e-health, per istruzione, formazione e lavoro, oltre a quelle per l’e-government. Infine, l’analisi della digitalizzazione delle imprese non monitora la rilevanza di ambiti quali la diffusione dei pagamenti elettronici, l’esposizione ai rischi di cybersecurity e dello skills mismatch, ma anche le differenze a livello settoriale e la propensione al data sharing.

Dall’inclusione digitale e dalla cybersicurezza le note positive

In questa prospettiva, occorre sottolineare come vi siano ambiti di sviluppo che testimoniano i miglioramenti dell’Italia sul fronte della digitalizzazione e che non sono rappresentati negli indicatori tradizionali, per esempio:

  • Valore dell’e-commerce: aumentato di 2,4 volte tra il 2016 e il 2022 (da 19,8 miliardi di euro a 48,1 miliardi di euro);

  • Inclusione digitale: 350 milioni di euro per progetti di formazione e inclusione digitale tramite il Fondo per la Repubblica Digitale, con 4 bandi già lanciati per 43 milioni di euro;

  • Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID): circa 35 milioni di Identità Digitali nel 2023 (erano meno di 1 milione a fine 2016);

  • Transato cashless: aumentato di 205 miliardi tra il 2016 e il 2022 (+105% vs 2016);

  • PagoPA: +340 milioni di transazioni dirette alla P.A. su PagoPA nel 2023 (erano circa 700mila fine 2016);

  • Cybersicurezza: approvazione della Strategia nazionale e stanziamento di oltre 620 milioni di euro nel Pnrr;

  • Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE): 58 milioni (98% della popolazione) di FSE attivi al 2022 e 1,38 miliardi di euro previsti dal Pnrr;

  • Piano Scuola 4.0: 2,1 miliardi di euro per 100.000 classi innovative e laboratori per le professioni digitali del futuro;

  • Connettività: l’Italia è 1° in UE copertura

Nel 2023 peggiorano gli investimenti in Tlc

L’Osservatorio prende in esame una serie di parametri per verificare lo stato di avanzamento dell’Italia in termini di evoluzione digitale. Rispetto all’anno precedente, l’Italia ha registrato un miglioramento in 6 indicatori (su 154): frequenza di accesso a Internet per la popolazione in età lavorativa (da 88 a 90%), imprese che hanno definito o aggiornato le policy di sicurezza ICT negli ultimi due anni (da 33% a 41%), utilizzo di Internet degli over 65 sul totale (da 63% a 65%), utilizzo di Internet per livelli di istruzione (da 68% a 73%) e utilizzo di Internet per la partecipazione civica o politica (da 26% a 27%). Si registra inoltre un lieve miglioramento nei laureati in discipline ICT (da 1,3% a 1,4%), sebbene l’Italia si posizioni ancora all’ultima posizione nella classifica europea.

Al tempo stesso, è stato registrato un peggioramento in 5 indicatori: percentuale di investimenti in telecomunicazioni (da 4% a 2,5% del PIL), imprese che incontrano difficoltà nel reperire competenze ICT (da 2% a 3%), imprese che adottano misure per la sicurezza ICT (da 93% a 92%), imprese che informano i dipendenti sugli obblighi di sicurezza ICT (da 73% a 62%) e utilizzo di Internet per il reperimento di informazioni sanitarie (da 53% a 52%).

Infine, i dati sono rimasti invariati per 4 indicatori rispetto all’anno precedente: adozione della banda larga fissa (66%), imprese che erogano formazione ICT ai dipendenti (15%), intensità di utilizzo delle tecnologie ICT per la sostenibilità (60%) e indicatore di Open Data (92%).

Passi in avanti sulla connettività, bene la copertura 5G

Con riferimento alle macrocategorie di input, l’Italia registra un ottimo posizionamento nel dispiegamento della connettività (1° in Ue con riferimento sia alla copertura 5G, sia al rapporto tra la copertura 5G nelle aree rurali rispetto al totale), ma ancora bassi livelli di adozione della Banda Larga Fissa tra le famiglie (24° Paese nella Ue). Emergono gap più marcati nel capitale umano (con particolare riferimento alla frequenza di accesso a Internet per la popolazione in età lavorativa (26° posto nella Ue) ai laureati in discipline ICT (27°) e agli studenti che utilizzano Internet a scopi didattici almeno una volta a settimana (10°) e nella Digital Intensity (soprattutto per il rapporto tra le PMI e le grandi imprese con Digital Intensity alta o molto alta, con la quota di PMI che hanno una Digital Intensity alta o molto alta pari a un terzo della quota tra le grandi imprese).

Considerata l’importanza delle competenze ICT per sostenere il processo di digitalizzazione delle imprese italiane, risulta cruciale ridurre il gap nella formazione in ambito ICT fornita dalle aziende: dimensione in cui l’Italia si posiziona al di sotto della media UE, con una percentuale di imprese inferiore di circa 9 punti percentuali rispetto alla Germania. Per quanto concerne la cybersecurity, l’Italia registra un posizionamento migliore rispetto alla media europea in tutti e 3 gli indicatori (imprese che adottano misure per la sicurezza ICT (10° posto nella UE), imprese che hanno definito o aggiornato le policy di sicurezza ICT negli ultimi due anni (8°) e imprese che informano i dipendenti sugli obblighi di sicurezza ICT (9°).

Nella sostenibilità, l’Italia si posiziona sopra alla media europea nel tasso di penetrazione degli Smart Meter (4° nella UE, con il 99%) anche se risulta poco valorizzato l’apporto della tecnologia all’interno delle aziende: l’Italia è infatti al 15° posto nella Ue per quota di imprese che utilizzano l’Internet of Things per la gestione dei consumi energetici (8%) e al 19° posto per intensità di utilizzo delle tecnologie ICT per la sostenibilità. Per quanto riguarda l’inclusione sociale l’Italia è sotto alla media UE in 2 indicatori su 4, connessi ai divari di utilizzo di Internet per fascia di età e livelli di istruzione. Nella stessa dimensione, l’Italia registra un buon posizionamento per l’utilizzo di Internet per la partecipazione civica o politica (27% dei cittadini, 3° valore più alto nella UE) e per l’utilizzo di Internet per reperire informazioni sanitarie: dato superiore alla media europea (sebbene l’Italia risulti 17°).

Infine, nella dimensione relativa agli ecosistemi si registra un posizionamento eterogeneo: l’Italia è 7° posto nella Ue per integrazione degli Open Data (con un punteggio di 92 su 100), ma è anche 22° per quota di imprese con processi di business automaticamente integrati con quelli di clienti/fornitori (11%).  Oltre a queste criticità, i dati dell’Osservatorio segnalano nel Paese un tema di consapevolezza da parte del sistema socio-economico sul ruolo degli strumenti digitali e di Internet. Da questo punto di vista, infatti, solo per il 36% degli italiani la digitalizzazione porterà più vantaggi che svantaggi nel prossimo futuro: un valore inferiore di 5 punti percentuali rispetto alla media europea (41%) e di 31 punti rispetto al best performer (Finlandia, 67%).

Italia in linea con il PNRR ma iniziano ad emergere criticità

L’Italia è il Paese, tra le principali economie dell’Unione Europea, con il livello di PIL pro-capite più basso rispetto ai livelli del 2000, ben al di sotto dei tassi di crescita medi registrati a livello di Unione Europea. Fatto 100 il Valore Aggiunto per occupato del 2000 (a prezzi costanti), nel 2022 questo era pari a 101,6 in Italia, 114,6 in Spagna, 114,9 in Francia e 124,1 in Germania. La tendenza dell’Italia è in gran parte dovuta alla produttività multifattoriale, definita come la componente residuale della crescita non connessa a variazioni di efficacia di lavoro e capitale, ma piuttosto riconducibile a pratiche manageriali, digitalizzazione, regolamentazione e spillover positivi in termini di ambiente economico.

In Italia, tale componente fornisce addirittura un contributo negativo alla crescita del Pil (-0,1 punti percentuali di media tra il 2000 e il 2022), in controtendenza rispetto a tutti gli altri Paesi benchmark. In questo contesto, occorre sottolineare come esista una forte correlazione positiva tra digitalizzazione e produttività: in un arco temporale di 5 anni, la digitalizzazione ha il potenziale di generare un livello di produttività multifattoriale superiore del 3,5% per un’impresa media. In questo contesto, il PNRR rimane un’opportunità fondamentale, specialmente per l’Italia, per la digitalizzazione dell’intero sistema-Paese.

I fondi destinati al digitale, presenti nel PNRR italiano, sono infatti maggiori rispetto a quelli di Francia, Germania e Spagna messi assieme. Secondo una riclassificazione di tutti i PNRR dei principali Paesi operata da The European House Ambrosetti, l’Italia destina alla digital transition più di 48 miliardi di euro, mentre Spagna, Francia e Germania “solo” 41,3 miliardi (con quote rispettivamente di 19,6 miliardi, 8,4 miliardi e 13,3 miliardi). Dalle stime di The European House – Ambrosetti, gli impatti strutturali abilitati dal PNRR sono estremamente rilevanti e potranno ammontare, nel 2027, al +1,9% del PIL annuo e rimarranno persistenti fino al 2036 (con un impatto cumulato potenziale del +13%). In particolare, la digitalizzazione della P.A. e la maggiore produttività delle imprese, abilitata dalle tecnologie e dal digitale, potranno pesare per il +1,2% annuo del PIL, fornendo quindi un importante impulso per il rilancio e la competitività del sistema-Paese.

Focalizzandosi sulla Missione 1, il Paese risulta in linea con le scadenze poste in essere dal Piano. Dei 220 milestones e obiettivi totali relativi alla Missione sulla Digitalizzazione, 56 sono stati completati entro la fine dell’anno passato. A giugno di quest’anno, altre 10 condizioni erano a scadenza, e, secondo i dossier sul monitoraggio dell’attuazione del PNRR (aggiornato al 14 luglio 2023) l’Italia, in generale, sta rispettando le scadenze proposte.

Va comunque sottolineato che, secondo la relazione sullo stato di attuazione del PNRR di fine maggio 2023, stanno emergendo alcuni “profili di attenzione” evidenziati dalle Amministrazioni Centrali per alcuni interventi previsti. Più nello specifico sono stati evidenziate 4 principali tipologie di criticità, ovvero: aumento dei prezzi, interruzione delle catene di approvvigionamento e scarsità di materiali; squilibri tra domanda e offerta, carenza di manodopera ed impreparazione del tessuto produttivo; difficoltà normative, amministrative e gestionali; ridefinizione degli impegni.

Secondo la relazione sul Piano sono 11 le misure della Missione M1 con punti di criticità. Tra queste figurano le connessioni a Internet Ultraveloci con riferimento al Piano Italia 5G, la gestione Dati e interoperabilità con riferimento al Single Digital Gateway (difficoltà normative e ridefinizione degli impegni), le connessioni ad Internet Ultraveloci con riferimento al Piano Italia 1 Gbps (squilibri tra domanda e offerta e impreparazione del tessuto produttivo, difficoltà normative) e i servizi digitali e cittadinanza digitale (squilibri tra domanda e offerta e impreparazione del tessuto produttivo).

Dal PNRR le risorse per completare la trasformazione digitale

Focalizzandosi sullo stato di avanzamento dei singoli investimenti relativi alla Missione 1, tra tutte le sue 3 componenti, ne emerge come il 75% degli investimenti sia attualmente in corso, l’8,9% sia da avviare, l’11,1% sia in ritardo, e una quota pari al 4,4% sia attualmente completata. Gli investimenti attualmente in ritardo fanno riferimento specifico all’abilitazione al Cloud per le PA locali e alla digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali e alla strategia digitale per le piattaforme e per il patrimonio culturale.

Va infine ricordato come il PNRR abbia un ruolo chiave anche nel raggiungimento di alcuni obiettivi di digitalizzazione delle imprese e dei servizi pubblici del Digital Compass 2030, la bussola digitale per il decennio digitale dell’UE. Il Digital Compass si sviluppa intorno a quattro punti cardinali: trasformazione digitale delle imprese, digitalizzazione dei servizi pubblici, competenze digitali, infrastrutture digitali sicure e sostenibili. Si stima che circa 25,4 miliardi di euro contribuiscano direttamente al raggiungimento dei target digitali UE al 2030. Dalle proiezioni, gli interventi del PNRR contribuiranno a superare con successo i target connessi alla trasformazione digitale delle imprese e alla digitalizzazione dei servizi pubblici.

Conclusioni

Dal rapporto sulla Digital Transformation in Italia emerge un quadro frastagliato. Se da un lato sono numerosi i settori in cui il nostro Pese ci colloca su livelli alti e, in alcuni casi, anche superiori alla media europea, dall’altro non si possono trascurare i ritardi che sono stati accumulati in settori strategici per la ‘rivoluzione digitale’ italiana. Le lacune che si riscontrano poi in settori chiave come quelli della formazione e del reclutamento di capitale umano capace e formato non lasciano ben sperare in vista dei prossimi, decisivi, passaggi. Resta da giocare, tuttavia, la carta PNRR da cui il sistema Italia può trarre grandi benefici.

L’insieme delle risorse stanziate potrebbe bastare da solo per far compiere un grande balzo all’Italia nell’avvicinamento alle best practise europee, recuperando il gap accumulato negli ultimi anni. Resta da capire come si vorrà procedere nell’utilizzo di 48 miliardi che il PNRR destinati al comparto dell’ICT e della Digital Transformation dal momento che solo una gestione ‘qualitativa’ e centrata rispetto agli obiettivi di sviluppo e integrazione di questo fondamentale comparto nel tessuto delle imprese e della PA italiane potrebbe generare valore e sviluppo nel nostro paese.   

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