Mercati spaventati da inflazione e recessione

Il recente crollo delle borse ha diverse componenti, quali sono le forze che agiscono sui mercati e quale potrebbe essere il risultato

Mercati spaventati da inflazione e recessione, l’Italia resta un vaso di coccio? Ecco le sfide per il futuro

Il recente crollo delle borse ha diverse componenti, cerchiamo di capire quali sono le forze che agiscono sui mercati e quale potrebbe essere il risultato di queste pressioni.

Inflazione, incubo degli investitori

Il primo elemento da considerare è sicuramente quello dell’inflazione. I prezzi al consumo, ma anche quelli alla produzione, sono in aumento in tutti i principali paesi. 

Gli ultimi dati al riguardo, usciti oggi, da soli bastano per fare capire quanto rilevante sia il fenomeno e non solo nell’Occidente.

Secondo quanto comunicato dal Bureau of Statistics (l’ente di statistica di Canberra), l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto in Australia del 3,5% annuo nel terzo trimestre 2021, maggiore incremento dal 2014, contro il 3,0% del precedente periodo (3,8% nel secondo trimestre, quando aveva registrato l’espansione più netta dal 2008). 

Il dato è superiore al 3,2% del consensus di Reuters. Su base sequenziale l’inflazione è invece salita all’1,3% dallo 0,8% dei precedenti due periodi (0,6% nel primo trimestre), contro l’1,0% atteso dagli economisti. 

Anche a Singapore i prezzi al consumo sono in rapida crescita, ai massimi degli ultimi otto anni, tanto che la Monetary Authority ha alzato la parte alta della banda di oscillazione della moneta locale, una mossa che equivale ad un rialzo dei tassi.

Ed è ancora nella memoria di tutti gli investitori il recente dato relativo agli Usa, il peggiore in termini di inflazione dal 1982, quello che a dicembre ha visto un aumento del 7% su base annua.

L’inflazione deprime i consumi

I mercati temono che l’aumento dell’inflazione, negli Stati Uniti ma anche a livello globale, possa pesare sul reddito reale e condizionare quindi negativamente la domanda. Da non dimenticare che i Pil Usa è composto per la maggioranza da consumi privati, un calo della domanda comporta quindi inevitabilmente una contrazione dell’economia.

Qualche indizio in questo senso lo si coglie già. Negli Usa Markit ha reso noto che nel mese di gennaio l’Indice PMI Manifatturiero (flash) è atteso a 55 punti in forte rallentamento dai 57,7 punti del mese precedente, sui minimi da 15 mesi. In calo l’indice dei servizi, a 50,9 punti da 57,6 precedenti. L’indice Composite è atteso a 50,8 punti da 57 punti precedenti.

Le banche centrali costrette ad intervenire

In risposta alla crescita dei prezzi le banche centrali si stanno attrezzando. 

Oggi parte il meeting di due giorni del Federal Open Market Committee (Fomc) della Fed statunitense. Dal Fomc non sono attesi interventi ma ulteriori indicazioni del possibile ritorno a una stretta monetaria nella successiva riunione di 15-16 marzo.  

Gli aumenti dei tassi, previsti da parte della Fed ma già attuati in alcuni paesi chiave, come Corea del Sud e Regno Unito, possano contribuire, in concomitanza con l’aumento dell’inflazione, a fare sgonfiare la domanda e a portare, se non ad una recessione, almeno ad un rallentamento del tasso di crescita dell’economia.

Riassumendo quindi inflazione e tassi rischiano di influenzare negativamente il fronte della domanda.

La Omicron complica le cose

Di natura diversa invece l’influenza del Covid-19. La variante Omicron non pesa tanto per le restrizioni che impone, la tendenza generalizzata, a parte che in Cina, e di non imporre vincoli agli spostamenti, ma crea problemi di manodopera e alla catena di approvvigionamento. I lavoratori malati sono fermi così come gli autotrasportatori. Questo fenomeno rischia di condizionare l’offerta e inasprire quindi le pressioni inflazionistiche: meno offerta uguale a maggiore disponibilità a pagare di più quei beni che diventano scarsi. Attualmente tuttavia l’inflazione è già aumentata e sta condizionando già probabilmente la domanda, le pressioni derivanti da un calo dell’offerta potrebbero quindi venire compensare dal calo della domanda di cui sopra.

Rallenta la crescita della Cina

Ancora sul fronte dell’offerta potrebbe dimostrarsi rilevante il rallentamento dell’economia cinese, che rischia di frenare l’offerta globale. 

Il PIL cinese nel quarto trimestre del 2021 è cresciuto solo del 4% rispetto all’anno precedente, superando le previsioni di crescita del 3,8% ma al di sotto dell’espansione del 4,9% vista nel terzo trimestre (dati diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica).

Anche nel caso di una crescita meno spedita della Cina l’effetto rischierebbe di essere inflazionistico, comportando una diminuzione dell’offerta, e lo sarebbe sicuramente se, come già spiegato, l’inflazione non fosse già aumentata e i rialzi dei tassi non si fossero già realizzati, o almeno i mercati non avessero già iniziato a scontarli. Difficile in queste condizioni determinare un effetto netto.

Le tensioni in Ucraina pesano sull’inflazione

Recentemente a questi elementi si sono aggiunte le tensioni crescenti tra la Russia e le altre nazioni sull’Ucraina. Anche se è poco probabile che i due blocchi arrivino effettivamente alle mani, i comportamenti di entrambi influenzano il mercato energetico dell’Europa e mettono ulteriore pressione sui prezzi. 

In ragione di questi aumenti del costo dell’energia per quanto tempo la Bce ancora riuscirà a rimanere ferma sulle sue posizioni di politica monetaria accomodante? 

La Bce alzerà i tassi nel 2022?

Deutsche Bank scommette su un rialzo del costo del denaro di 25 punti base già a dicembre 2022, le attese precedenti erano per un rialzo di 10 punti a dicembre 2023. Inoltre il governatore della Banca di Francia Francois Villeroy de Galhau ha dichiarato che la Bce farà tutto ciò che è necessario per riportare l’inflazione verso il 2% e che dovrà progressivamente normalizzare la sua politica monetaria. Questo significa che anche l’area euro dovrà confrontarsi con condizioni meno favorevoli delle attuali, un aumento dei costi derivante sia dall’andamento delle materie prime sia del livello dei tassi. 

Bankitalia vede nero

L’Italia rischia di sostenere il peso di questi cambiamenti più di altri: il differenziale Btp-Bund è tornato intorno ai 140 punti base, una brutta notizia per un paese dove il rapporto debito/pil è intorno al 150%. Il tasso di inflazione già dicembre ha fatto segnare un +3,9% rispetto a un anno prima, il massimo dall’agosto 2008, inoltre Bankitalia stima che il prodotto interno possa aumentare solo del 3,8% contro il +4,7% ipotizzato dal governo. I forti incrementi delle bollette avranno sicuramente effetti negativi sulla domanda. E sarebbe sbagliato gioire dell’inflazione elevata, come verrebbe da fare essendo l’Italia un forte debitore: all’inizio effettivamente il prodotto nominale si gonfia per effetto dell’aumento dei prezzi, ma presto quello reale inizia a calare a causa della minore domand e allora i mercati pretendono ritorni maggiori (un maggiore costo del debito) per accordare un prestito.

E’ il momento della calma

Gli investitori devono armarsi di pazienza, le turbolenze che si sono viste sui mercati finanziari in questa prima parte del 2022 non sono destinate a risolversi in tempi brevi, meglio quindi assumere per quanto possibile un atteggiamento neutrale in attesa che i mercati trovino un nuovo punto di equilibrio dal quale poi ripartire. Comprare sulla debolezza potrebbe rivelarsi una strategia molto pericolosa in questa fase, è forse opportuno attendere che le quotazioni dei principali indizi azionari si stabilizzino sopra i massimi del 2021 prima di tornare ad adottare strategie rialziste.

(Alessandro Magagnoli)

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