Il Proof of Stake è sostenibile? Un tema complicato!

L'esistenza di una criptovaluta dipende da una tecnologia complessa che determina in primis la nascita della moneta digitale, e successivamente il suo.

L’esistenza di una criptovaluta dipende da una tecnologia complessa che determina in primis la nascita della moneta digitale, e successivamente il suo corretto funzionamento. Questa tecnologia è la blockchain: il libro mastro di raccolta informazioni e gestione delle transazioni.

Affinchè questo libro digitale risulti sicuro e affidabile occorre che venga applicato un meccanismo di validazione che risolva il problema principale delle monete digitali: la doppia spesa. Gli sviluppatori adottano diversi sistemi tra cui i meccanismi di consenso Proof of Stake e Proof of Work, Proof of Space and Time e molti altri.

I meccanismi di consenso più popolari sono proprio il Proof of Stake (PoS) e il Proof of Work (PoW). Il PoW è il più antico ed è quello che genera più impatti a livello ambientale per il suo consumo di energia, mentre il PoS nasce 4 anni dopo per proporre una soluzione più ottimale – energeticamente parlando.

Infatti il protocollo Proof of Stake richiede meno energia elettrica per funzionare ma parlando di impatti crea nuovi scenari che purtroppo non rientrano nel concetto di sostenibilità. Quali sono quindi i pro e i contro del PoS? E sotto quali aspetti NON può essere considerato sostenibile?

Proof of Stake e sostenibilità: la nascita del protocollo

Il protocollo Proof of Stake nasce 10 anni fa come una nuova alternativa al meccanismo di consenso Proof of Work: il concetto di validazione delle transazioni subisce una trasformazione e non è più la risoluzione di un complesso calcolo matematico ma adotta una nuova procedura.

Una soluzione parziale ad una debolezza del Proof of Work perchè il consumo energetico necessario per il mining di queste criptovalute è davvero esigente, e aumenta esponenzialmente al crescere del valore della moneta digitale.

Idealmente se il 100% – o una buona parte – del mining avvenisse in modo “pulito”, ossia utilizzando fonti di energia rinnovabile e rispettando rigide regole socio-ambientali, allora non ci sarebbe tanto rumore nel web. Esperti della comunità scientifica dimostrano che per come è impostato, questo protocollo non è sostenibile.

Il Proof of Stake si può definire socio-ecosostenibile?

Prima di entrare nel dettaglio nel protocollo occorre avere chiaro il concetto di sostenibilità. Questo termine è così ampio e complesso che non c’è una definizione universalmente riconosciuta. Ad ogni modo in questo articolo il concetto di base sarà il seguente:

Partendo dai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dalle Nazioni Unitesi può dedurre che “la sostenibilità” viene sostenuta da tre pilastri principali:

  • il pilastro ambientale, che tocca la tutela dell’ecosistema,
  • il pilastro sociale, con un’attenzione particolare al rispetto dell’essere umano,
  • il pilastro economico, che mira ad una crescita e al miglioramento della qualità della vita nel rispetto dell’ambiente e della comunità.

Proof of Stake e sostenibilità: come funziona il protocollo

Per capire come funziona il protocollo possiamo fare riferimento alla spiegazione data da cryprogeek:

“In una rete PoS, la partecipazione è determinata dal possesso delle coin. Quindi chi vuole essere selezionato per aggiungere blocchi a una blockchain PoS deve mettere in staking una certa quantità della criptovaluta di quella blockchain.”

Con staking si intende il fatto di dover bloccare una certa quantità di criptovalute per ricevere una ricompensa. Questa nel protocollo Proof of Work veniva data al minatore di criptovalute che indovinava il complesso calcolo matematico.

La possibilità di essere selezionato per produrre il blocco successivo e ricevere ricompensa, nel caso del Proof of Stake viene attribuita aleatoriamente MA coloro che hanno più probabilità di riceverla sono le persone che mettono in staking una quantità ingente di criptovalute.

Ci sono anche altri fattori che vengono presi in considerazione per non favorire i più ricchi, rendendoli ancora più ricchi, ma questa purtroppo è quello più adottato. Questo breve video di Pointbite – Technology & Economics, mostra perchè il Proof of Stake può essere considerato un fallimento della creazioni di criptovalute “green”.

Proof of Stake e sostenibilità: gli aspetti positivi

Un vantaggio è che nel Proof of Stake non è necessario il processo di mining, e quindi non si richiede la potenza di calcolo e la velocità di supercomputer della Proof of Work. Quindi dal punto di vista energetico risulta più efficiente. 

Andando al di là del consumo energetico, sappiamo che quando parliamo di impatto ambientale facciamo riferimento alle componenti necessarie per alimentare i supercomputer e tutte le attrezzature specializzate come quelle che si occupano del raffreddamento. Tutto questo verrebbe eliminato.

Un altro beneficio della Proof of Stake è la velocità di transazione: infatti con questo protocollo potrebbero essere validati molti più blocchi al minuto e questo garantirebbe un’alta velocità di circolazione e di scambi che non sarebbe possibile con il Proof of Work.

Ma se ci fermiamo a pensare al fatto che le persone che ricevono ricompense sono le stesse che monopolizzano il mercato e che possiedono una percentuale molto grande delle cripto in circolazione non stiamo uscendo dal concetto innovativo di un mercato decentralizzato?

Proof of Stake e sostenibilità: gli aspetti negativi

Fondamentalmente la persona che mette in stake più criptovalute verrà selezionata più spesso come candidata per validare una nuova transazione. Se qualcuno cerca di fare furbetto, la somma di criptovalute messa in blocco verrà persa, questo garantisce alle persone di fare molta attenzione alle loro mosse.

A livello ambientale questo meccanismo risolve il problema del consumo energetico perchè non c’è una competizione tra i minatori ma ci sono nuove figure, i validatori, che non devono utilizzare dei supercomputer per minare le transazioni e validarle e, ovviamente, ricevere una ricompensa.

A livello di sicurezza presenta invece alcune complicazioni perchè questo sistema è più facilmente hackerabile e manipolabile. E se pensiamo che una singola persona potrebbe arrivare a possedere più del 50% dei token totali cosa succederebbe?

Questo è conosciuto come “un attacco del 51%” e si verifica quando una persona o un gruppo prende il controllo di più della metà di tutta la potenza di calcolo o dell’autorità di convalida di una rete di criptovaluta. Avere il controllo maggioritario della blockchain di una criptovaluta consente a quel gruppo o persona di creare e manipolare transazioni.

Proof of Stake: la sostenibilità economica

Molti economisti sostengono il fatto che bloccare una quantità di criptovalute sia un beneficio in quanto permette di togliere una parte dell’offerta globale dal mercato aumentando di conseguenza il valore della moneta. Questo dovrebbe ridurre il rischio di un attacco del 51%.

Ma perchè dovrebbe essere importante il valore di una moneta virtuale se questa è monopolizzata da poche persone? Le stesse a cui il resto della comunità affida le proprie per la validazione? 

Tornando ai pilastri della sostenibilità, il Proof of Stake NON è economicamente sostenibile dal momento che toglie dalla circolazione una parte delle monete e le accumula. Infatti se una somma di monete viene accumulata non è un bene per il mercato.

Inoltre solo pensare che il fatto di possedere un’ingente quantità di criptovalute e bloccarle ti permetta di ricevere grandi ricompense è ancora più strano. Secondo la legge dei rendimenti marginali decrescenti:

“Ogni unità aggiuntiva di un determinato fattore della produzione, fermi restando tutti gli altri fattori, produce dei rendimenti via via minori.”

Questo meccanismo funziona solo in condizioni di estrema sicurezza e se i token posseduti vengono rimessi in circolazione. Per di più non ci deve essere competizione tra i grandi detentori. Condizioni che sono molto lontane dalla vita reale. 

Proof of Stake: la sostenibilità sociale

Secondo il pilastro della sostenibilità sociale, una criptovaluta dovrebbe rispettare una comunità secondo i principi di equità e libero accesso. Venendo a mancare la sostenibilità economica, di conseguenza anche la sostenibilità sociale collassa.

Se si favorisce la centralizzazione delle finanze allora l’equità non verrebbe più garantita. Il libero accesso resta un punto a favore ma pensare che un piccolo investitore possa competere con i grandi colossi che controllerebbero il mercato è una follia.

Se la persona che possiede più capitale riceverà più ricompense allora l’ago della bilancia penderà totalmente verso coloro che possederanno più criptovalute. Rispetto al Proof of Work, questo protocollo è più limitante e segue nuovamente le dinamiche degli intermediari che vediamo tutti i giorni come le banche.

Proof of Stake e sostenibilità: una criptovaluta o un investimento?

Qui sorge un dubbio lecito: gli sviluppatori che optano per il protocollo Proof of Stake stanno cercando di creare una moneta digitale, che rispetti quindi i principi basici di una criptovaluta, oppure uno scenario di investimento?

Le strategie adottate dal protocollo Proof of Stake sono: il blocco di una parte del capitale, aumento delle imposte per le transazioni e l’aumento del valore di mercato di ciascun token. Praticamente il terreno fertile per coloro che vogliono investire e trarre un guadagno.

Se l’obiettivo del Proof of Stake fosse essere una criptovaluta al 100%, allora dovrebbe facilitare la circolazione e l’acquisizione dei token con l’uso degli stessi e non con il loro blocco. Una criptovaluta ideale dovrebbe essere libera e non generare impedimenti nella sua acquisizione.

Se il Proof of Stake riduce al minimo il consumo di energia elettrica, al tempo stesso spreca grandissime somme di denaro per mantenerle ferme. 

Il protocollo Proof of Stake NON può essere venduto come sostenibile dal momento che non rientra tra i parametri fondamentali per essere definito tale. Gli sviluppatori che adottano questo sistema per proporre al mercato una criptovaluta green stanno creando nuovi scenari di centralizzazione delle risorse.

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