Evasione fiscale, la verità dietro il mini-condono proposto da Salvini

Si torna a parlare in piena Manovra di introdurre un mini-condono. Il motivo è per contenere i danni dell'evasione fiscale. ma la verità è un'altra.

Si torna a parlare di proporre una sorta di mini-condono, limitato al momento per il settore edilizio. Una misura che avrebbe come obiettivo quello di ridurre il peso dell’evasione fiscale, ad oggi intorno ai 90 miliardi di euro l’anno, ma la verità è un’altra.

Sul piano fiscale, il Paese si ritrova da una parte un Fisco non molto elastico e aggiornato sulle dinamiche di mercato (e quindi sulla capacità di un’impresa di fare fatturato), e dall’altra una situazione in cui l’evasione fiscale viene combattuta a forza di condoni.

Anche perché si sta cominciando a perdere il conto in merito ai numerosi condoni fatti negli ultimi decenni.

Evasione fiscale, il mini-condono proposto da Salvini

Sul piano edilizio, l’evasione fiscale è quando non paghi gli oneri tributari in merito a pratiche di conformità o tassazioni sull’immobile.

Se il proprietario di una casa provvede a fare dei lavori senza seguire l’iter procedurale presso gli enti competenti, da una parte risparmia sulle spese previste per seguire tutto l’iter, ma da una parte commette evasione fiscale.

Più un vero e proprio abuso edilizio, visto che i lavori non sono stati registrati, e quindi risultano delle pertinenze che non esistono al Catasto.

A questo si aggiunge anche il mancato calcolo della metratura extra ai fini IMU.

Su tutto questo, il Governo vorrebbe proporre una sorta di mini-condono. Mini perché, come ha spiegato il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, al congresso degli ingegneri, andrà a “liberare i comuni di centinaia di migliaia di pratiche“, relative a “piccole irregolarità“. Ad esempio, spiega il ministro, grondaie, finestre, antibagno o verande.

Già c’era stata una proposta di un condono edilizio e sanatoria a marzo 2023, L’idea ora sarebbe di limitare questa sanatoria solo per abusi edilizi di minore entità, e non di andare a “salvare” edifici costruiti abusivamente in zone a rischio dissesto idrogeologico. Per quelli, come dice il ministro, ci sono solo la demolizione e la ruspa.

Quali sono gli effetti negativi del condono

Proporre un condono edilizio non è più una grande novità per gli italiani, e nemmeno per gli enti che vanno a stimare l’effettivo supporto delle sanatorie nella lotta contro l’evasione fiscale. Ormai tutti sanno cosa sia un condono edilizio.

Anche perché non sono mancate nel corso degli ultimi decenni. Oltre ai più celebri casi, come i tre condoni dei Governo Craxi I, Berlusconi I e II, anche nell’ultimo decennio si sono susseguiti delle sanatorie localizzate (si pensi a quella per Ischia dopo gli eventi del 2018, nel Decreto Genova).

E il guadagno erariale è stato complessivamente di 148,1 miliardi di euro. Quasi 50 anni di condoni e lo Stato non ha mai recuperato il 100% di quanto prometteva.

Come riporta la CGIA di Mestre, solo gli ultimi due grandi condoni (Berlusconi I e II) hanno permesso di portare nelle casse 12,2 miliardi di euro. Ma nel primo caso la copertura era del 71%, nel secondo caso del 34,5%.

Se si aggiungono anche i mini-condoni, tra il 2003 e il 2008 lo Stato ha recuperato solo 28 miliardi, e questo solo con concordati fiscali, chiusura delle liti e definizione dei ritardi, oltre alla regolarizzazione delle scritture contabili.

Eppure, sempre la CGIA di Mestre segnala come tutto ciò non abbia impedito di avere ogni anno quasi 90 miliardi di euro all’anno. E quasi più di 1.000 miliardi di euro di crediti inesigibili per l’Agenzia delle Entrate.

Il male del condono è quello di fare una riscossione crediti nella speranza che l’evento non accada più o che in futuro si ottenga qualcosa di più. I dati mostrano il contrario: la verità è che questo potrebbe stimolare le persone a non versare le tasse in maniera regolare, sperando di accedere nel futuro a condoni e sanatorie “a basso costo”.

Il problema del Fisco italiano

Ciò non toglie che parte della colpa sia anche del Fisco. Come sottolinea il Giornale, il mondo imprenditoriale non è più quello su cui si basa la riforma Cosciani del 1973-74, con la quale è stato definito il sistema delle entrate fiscali.

Ogni anno imprenditori e Partite IVA devono fatturare, e se l’anno prima hanno fatturato di più rispetto ad ora, e addirittura nell’anno corrente fatturano poco, lo Stato vuole comunque i soldi sul fatturato dell’anno prima, dato che il prelievo è ex-post.

Così però le aziende rischiano di deprivarsi di una fonte importante di contanti, al quale oggi non possono compensare con i prestiti, a causa degli altissimi tassi d’interesse.

Converrebbe allora far sì che autonomi e partite IVA subiscano il prelievo fiscale e contributivo sulla ritenuta alla fonte. Come succede oggi nella busta paga di un dipendente, pubblico o privato che sia.

Già così, col prelievo ex-ante, salvo qualche minimo conguaglio, si potrebbe togliere dai crediti in essere dell’AdE tutti i contribuenti etichettati come evasori fiscali, quando in realtà sono persone che non hanno potuto garantire il prelievo fiscale per mancanza di liquidità.

Una soluzione che potrebbe convenire, ma richiederebbe un Fisco molto più elastico e non ex-post, cioè che prevede l’acconto dopo 12 mesi. E soprattutto aggiornato, visto che tutti i pagamenti sarebbero nell’immediato, tutti tracciati dati i prelievi alla fonte.

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