Lo spread è sceso, ma il costo del debito pubblico è aumentato

Coloro che hanno in essere un mutuo a tasso variabile avranno senza dubbio constatato che l’importo delle rate è decisamente aumentato.

Coloro che hanno in essere un mutuo a tasso variabile avranno senza dubbio constatato che l’importo delle rate è decisamente aumentato.

Ed il motivo è noto a tutti.

La rata del mutuo è determinata dalla somma di due componenti, una parte riguarda la restituzione del capitale ed una parte riguarda il pagamento degli interessi.

Ed avrete senza dubbio notato che l’incremento avuto dalla rata è ovviamente dovuto esclusivamente all’aumento della quota interessi.

L’interesse applicato è, a sua volta, determinato dalla somma di due componenti, una parte fissa ed una variabile.

La parte fissa è di fatto il guadagno della Banca ed è denominata spread, normalmente va dall’1 al 2%, la parte variabile è data dall’euribor che è un tasso interbancario.

L’euribor, semplicisticamente, potremmo ritenerlo il tasso di interesse al quale le Banche si scambiano i soldi fra di loro, perché avviene continuamente che le Banche si facciano dei prestiti, l’una con l’altra, che naturalmente prevedono un certo tasso di interesse.

Per la precisione l’euribor non è il tasso medio dell’intero mercato interbancario, ma solo delle 20 più grandi Banche europee, comunque Euribor è un acronimo che sta per Tasso interbancario di offerta in euro che viene calcolato ogni giorno.

L’euribor durante gli anni del Quantitative easing era addirittura arrivato ad essere negativo, persino oltre mezzo punto percentuale.

L’euribor è diventato negativo nel corso del 2015 ed è rimasto negativo fino al mese di luglio del 2022, il tasso effettivo che si applicava quindi sui mutui dal 2015 al 2022 era molto contenuto, di fatto inferiore alla parte fissa, ossia lo spread, in quanto, come ho detto il tasso di interesse effettivamente applicato è determinato dalla somma algebrica dello spread e dell’euribor che, essendo negativo, in quegli anni, andava a ridurre il tasso effettivo.

Poi l’aumento repentino del tasso di riferimento da parte della Bce ha fatto sì che anche l’euribor tornasse ad essere positivo, ed ora è arrivato a sfiorare il 4%.

Quindi le rate sono evidentemente aumentate in maniera più che consistente, mettendo in difficoltà diverse famiglie.

Ma l’aumento dei tassi di interesse, non ha causato problemi solo a coloro che hanno in essere mutui a tasso variabile. Il problema ha investito ovviamente anche la finanza pubblica.

E’ infatti vero che la stragrande maggioranza del nostro debito pubblico è in BTP, ossia in titoli a tasso fisso, ma la durata media dei titoli del nostro debito pubblico è 7 anni, quindi un settimo dei nostri BTP sono in scadenza ogni anno.

Dato che stiamo parlando all’incirca di un debito di 2.800 miliardi ciò significa che ogni anno sono in scadenza titoli per circa 400 miliardi di euro, e questi quindi devono essere rinnovati a tassi decisamente più elevati rispetto al passato.

Questo aspetto non viene quasi mai messo in evidenza dai media nazionali che invece preferiscono parlare dello spread.

Occorre fare subito una postilla, viene utilizzato lo stesso termine inglese spread ma per identificare due cose diverse, prima abbiamo parlato di spread intendendo un tasso applicato dalla Banca, in questo caso, con il termine spread, invece, intendiamo la differenza fra i tassi applicati sui nostri titoli del debito pubblico a tasso fisso e durata di dieci anni (i BTP decennali) e gli analoghi titoli tedeschi (i Bund decennali).

Lo spread quindi non ci dice quanti interessi stiamo pagando mediamente sui titoli del nostro debito pubblico, ci dice a quanto ammonta la differenza di interessi pagati rispetto alla Germania.

Ed allora andiamo invece a vedere quanto stiamo effettivamente pagando il nostro debito pubblico.

Naturalmente possiamo solo comunicarvi il dato ufficiale, quello comunicato dal Mef, ossia dal nostro Ministero dell’Economia e della Finanza, che ci comunica annualmente i costi medi all’emissione dei titoli del nostro debito pubblico.

Ritengo però che sia più interessante fare tutta la cronistoria dall’entrata nell’euro.

Era infatti nel 2000 che avevamo il dato più alto 4,79%, poi hanno cominciato a diminuire fino al 2005 quando siamo arrivati al 2,47%, poi nuovamente un rialzo fino al 2008 anno della crisi finanziaria, tassi che sono arrivati a superare seppur di poco il 4%, poi sono tornati a scendere, una veloce impennata nel 2011, ricordate il golpe Monti, quindi una continua discesa fino al 2021 quando i costi medi all’emissione dei titoli di Stato sono arrivati allo 0,10%.

Capite che si trattava di un mercato totalmente manipolato, in quegli anni, gli anni del Quantitative easing nessun italiano acquistava titoli dello Stato.

Poi, negli ultimi due anni, l’impennata, i costi medi all’emissione dei titoli di Stato sono passati dallo 0,10% del 2021 all’1,71% nel 2022 ed al 3,76% nel 2023.

Così si spiega anche perché, soprattutto nel 2023, sono tornati a comprare titoli dello Stato le famiglie ed i risparmiatori.

Ed allora è bene evidenziare che “vantarci” perché nel corso del 2023 il nostro spread è diminuito, ossia la differenza fra i rendimenti dei nostri BTP e i corrispondenti Bund tedeschi si è ridotta, è un po’ riduttivo, visto che sempre lo scorso anno il costo del nostro debito pubblico è invece notevolmente aumentato.

Chiariamo, non voglio passare per disfattista, meglio aver ridotto lo spread rispetto alla Germania piuttosto che aumentarlo, ma ciò è avvenuto più per demeriti della Germania che non per meriti nostri.

Ed in ogni caso parlare solo dello spread è fuorviante.

Sarebbe auspicabile quindi che i tassi tornassero a scendere, naturalmente non ai livelli del 2021 quando erano totalmente manipolati, ma insomma sarebbe auspicabile che tornassimo a pagare interessi più bassi.

Il nostro Ministero dell’Economia e della Finanze paga interessi sul debito pubblico, non paga spread, e questi interessi, come visto, sono notevolmente aumentati, mettendo in crisi il Ministro Giorgetti.

Certo noi tutti sapremmo dargli un consiglio su come trovare fondi con i quali poter pagare interessi sul debito pubblico, naturalmente mi riferisco ad un bel taglio drastico alle spese per la Nato.

Giancarlo Marcotti
Giancarlo Marcotti
Giancarlo Marcotti è laureato in Scienze Statistiche ed Economiche all’Università di Padova. Nella sua attività professionale ha collaborato con importanti Istituti Finanziari, ricoprendo diversi ruoli. Giancarlo Marcotti è Direttore Responsabile di Finanza In Chiaro, oltre che curatore della rubrica I Mercati e redattore della sezione portafoglio nella quale, giornalmente, riporterà le scelte di investimento effettuate. Giancarlo Marcotti cura la trasmissione Mondo e Finanza su Youtube di Money.it.
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