Meloni spinge sul presidenzialismo, anche a costo di scavalcare le opposizioni

Meloni sembra davvero pronta ad andare avanti anche senza un accordo con le opposizioni sul presidenzialismo. Ecco cosa accadrà ora.

Il presidenzialismo è sempre stato un tema estremamente caro al centro destra, e in particolare per Giorgia Meloni, che da diverse settimane ha espresso la ferma volontà di far passare la riforma costituzionale nel corso del suo mandato.

Se le opposizioni si dicono pronte ad una lotta altrettanto ferma, le nuove dichiarazioni di diversi membri della maggioranza fanno intuire che nelle prossime settimane si assisterà ad uno scontro sempre più duro.

Il presidenzialismo voluto da Meloni e le tre vie in campo

Nella giornata del 9 maggio si terrà il primo incontro fra maggioranza e opposizioni per discutere della proposta di modifica della costituzione, che renderebbe di fatto l’Italia una repubblica presidenziale e non più parlamentare.

Le opzioni messe sul piatto per il presidenzialismo da Giorgia Meloni sono principalmente tre:

  1. 1.

    Il presidenzialismo “puro”. In questo caso, si prevede l’elezione diretta del capo dello stato in veste di premier da parte dei cittadini.

  2. 2.

    Il presidenzialismo alla francese. In Francia, si ha un semi presidenzialismo, in cui il presidente della repubblica è eletto direttamente dal popolo, e poi procede ad eleggere il primo ministro sulla base dei risultati elettorali. Il potere esecutivo è dunque condiviso fra i due.

  3. 3.

    Una terza strada. La terza opzione vedrebbe un neoparlamentarismo, con un rafforzamento significativo dei poteri del primo ministro e la sua elezione diretta. Si tratta però dell’ipotesi meno probabile.

In ogni caso, è evidente che il cambiamento più significativo sarebbe quello del ruolo del presidente della repubblica, che vedrebbe in ognuno dei tre scenari una riduzione netta del proprio potere.

Non sembra invece esserci alcun dubbio sul fatto che il bicameralismo rimarrà invariato, con l’attuale soluzione di Camera e Senato.

L’obiettivo principale della riforma sarebbe garantire una maggiore stabilità ai governi italiani, ma dall’opposizione sono molte le voci che si stanno levando a sfavore della proposta.

A questo riguardo, colpiscono le parole di Antonio Tajani e Calderoli, che si sono detti pronti ad ascoltare e a riconoscere il diritto di protesta delle opposizioni, ma in caso di veti e muri sono pronti a procedere anche da soli.

In effetti, il centro destra detiene la maggioranza assoluta, per cui dopo due votazioni con esito positivo, secondo l’articolo 138 della costituzione, la riforma potrebbe passare.

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La voce delle opposizioni

In realtà però bisogna osservare come manchi un fronte compatto sulla questione da parte delle opposizioni, che hanno rilasciato dichiarazioni anche molto distanti sull’argomento:

  • Elly Schlein. La posizione più netta è quella del Pd, che si è fin da subito detto contrario a una riforma di tipo presidenziale.

  • Giuseppe Conte. Durissimo no anche dal leader del Movimento: “Con un capo del governo eletto dai cittadini, il capo dello Stato diventerebbe una figura che taglia nastri alle cerimonie”. Come il Pd, tuttavia, apre al modello del cancellierato tedesco.

  • Carlo Calenda. Una delle posizioni più aperte è invece quella di Calenda, che ricorda come il monocamerismo e un maggiore potere del premier facciano parte del suo programma.

  • Matteo Renzi. Molto dialogo anche da parte di Italia Viva, dove Renzi ribadisce il suo interesse per un “Sindaco d’Italia”.

Un referendum è davvero una buona idea?

Se davvero, come hanno annunciato Tajani e Calderoli, il centrodestra procederà a prescindere dalle opposizioni, ci sono buone possibilità che la riforma passi. In quel caso, si è già parlato di un possibile referendum popolare per valutare l’attuabilità o meno del procedimento.

Tuttavia, bisogna ricordare come gli ultimi due referendum che vertevano su una tematica simile, quello del 2006 indetto da Berlusconi e quello del 2016 voluto da Renzi, abbiano dato una netta risposta negativa.

Inoltre, non si tratterebbe in generale del primo tentativo di un accrescimento di poteri nelle mani del premier della storia d’Italia: nel 1983 la commisssione Bozzi propose la fiducia al solo premier, nel 1992 De Mita e Iotti proposero l’investitura diretta del premier da parte delle camere, e nel 1997 la commissione D’Alema propose l’elezione diretta del capo dello stato.

Una storia lunga, quella del presidenzialismo, che ora forse potrebbe essere di fronte a una svolta. Ma, come mostra la storia, niente è ancora detto.

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Margherita Cerri
Margherita Cerri
Redattrice, classe 1998. Appassionata di letteratura e di scrittura, mi sono laureata in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano con una tesi sul rapporto fra Italo Calvino e il gruppo Oulipo. Dopo alcune esperienze come aiuto bibliotecaria e insegnante, ho svolto un periodo di studio a Parigi, e infine mi sono unita a Trend Online tramite uno stage curriculare. Scrivo principalmente di cinema, spettacolo, attualità e viaggi. Motto: Qualunque cosa sogni d'intraprendere
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