La gestione delle reti in ottica wholesale: vantaggi e strategie

In cosa consiste nello specifico la gestione delle reti in ottica wholesale e quali sono gli ostacoli che ci trova ad affrontare?

Infrastrutture e servizi sono entrambi elementi fondamentali per il comparto delle TLC e per la definizione di un modello di business che sia efficiente ma, soprattutto, funzionale al fine di migliorare le sorti del settore tecnologico delle reti di telecomunicazioni wireless e in fibra ottica del nostro paese.

Ma in cosa consiste il modello wholesale-only? Approfondiamo e cerchiamo di comprendere come funziona.

La filosofia alla base di questo modello di business prevede da un lato la presenza di un operatore che realizza, o che già possiede, un’infrastruttura di rete, dall’altro dei provider di connettività e di contenuti servizi che si appoggiano all’infrastruttura messa a disposizione dall’operatore il quale “affitta” la propria rete consentendo di veicolare i servizi di queste terze parti in favore degli utenti finali.

Un operatore non verticalmente integrato di questo tipo e che quindi non possiede un settore “retail, è ciò su cui si fonda il modello wholesale-only, vincente su molti fronti e già applicato anche in Italia da diversi operatori di rete fissa e mobile.

Vantaggi e strategie di gestione del modello

Uno dei vantaggi principali, se non il più importante, risiede nel passaggio da una competitività basata solo sulle tariffe, come oggi accade per gli operatori “verticalmente integrati” (ossia infrastrutture e servizi in capo allo stesso operatore), ad una competitività basata, soprattutto, sulla qualità dei servizi, resa possibile grazie ad una più ampia offerta degli stessi.

Infatti, l’applicazione del wholesale, sia alle infrastrutture delle reti in fibra ottica che a quelle delle reti radiomobili, consentirebbe a tutti gli operatori/provider di servizi di investire su contenuti e connettività operando in un regime di concorrenza che mette tutti nelle stesse condizioni di partenza senza alcuna discriminazione. Le infrastrutture di rete verrebbero così condivise e messe a disposizione dei service che volessero utilizzarle per garantire i loro servizi in ambito “retail” con offerte basate anche, e soprattutto, sul livello di servizio offerto agli utenti finali che possono essere sia privati (B2C) che aziende (B2B).

Altro vantaggio inerente alla gestione wholesale sarebbe poi quello di consentire agli operatori che possiedono già le infrastrutture di rete (in fibra ottica o wireless) di abbattere i costi di gestione interna relativamente alla manutenzione e consumo energetico delle stesse. In tal modo gli operatori sarebbero incentivati a trovare soluzioni di condivisione degli asset eliminando, così, la duplicazione non necessaria delle infrastrutture.

L’approccio e la filosofia del modello, osserviamo, sono applicabili sia alle reti in fibra ottica che a quelle che prevedono la fornitura di servizi attraverso una connessione wireless. Questo grazie, soprattutto, all’avvento del 5G che consentirà di avere, sulla scia di una diffusione capillare della dorsale in fibra, servizi equiparabili a quelli offerti dalle reti FTTH in favore dei clienti finali. In particolare per quelli che operano in mobilità che, in questo modo, riceverebbero una offerta di servizi ampia, di valore aggiunto e indipendente dal proprietario della rete.

Gli oggettivi vantaggi che questo modello di business garantisce, modello orientato ad ottimizzare i costi e a creare un regime di concorrenza più equo e strutturato tra le parti in causa, hanno determinato, negli ultimi anni, la definizione di strategie volte ad incentivare il wholesale-only in Italia oltre che nel resto d’Europa.

Strategie che hanno come scopo ultimo quello di soddisfare, entro il 2025 e a integrazione dell’Agenda Digitale 2030, gli obiettivi della Gigabit Society fissati dall’UE, ossia:

  • connettività di almeno 1 gigabit per i principali motori socioeconomici (scuole, poli di trasporto e principali fornitori di servizi pubblici);

  • copertura 5G ininterrotta in tutte le aree urbane e su tutti i principali assi di trasporto terrestre (strade, autostrade, stazioni ferroviarie, linee ferroviarie);

  • per tutte le famiglie europee, nelle aree rurali e in quelle urbane, l’accesso a una connettività Internet che offra una velocità di download pari ad almeno 100 Mbps, estensibile a velocità dell’ordine dei gigabit.

Uno sguardo al nostro paese

L’Italia presenta un quadro piuttosto complesso per quanto riguarda la gestione delle proprie infrastrutture di rete in un’ottica wholesale-only. Tutto ciò nonostante ci siano delle realtà che hanno già adottato questo approccio con dei business-case di grande interesse che fanno da apri-pista ad una applicazione del modello più strutturata e necessaria per supportare la full-digitalization a cui tendiamo da qui ai prossimi anni.

Nell’ambito della fibra ottica nel nostro paese sono presenti operatori di rete non verticalmente integrati e che, sin dalla loro costituzione, hanno utilizzato questo modello di business. Il più importante è Open Fiber che, con la sua infrastruttura, è, ad oggi, il più grande operatore wholesale-only in Europa. Abbiamo poi operatori come Fibercop che, pur operando come abilitatore di servizi per altri service provider in modo analogo alla sua diretta concorrente, rispetto a Open Fiber non può considerarsi un operatore del tutto indipendente in quanto è controllata per il 58% da TIM, suo azionista di maggioranza.

Nel caso di Fibercop, infatti, operando sia nel mercato wholesale che in quello retail, permangono potenziali conflitti di interesse che, per forza di cose, devono essere tenuti in debita considerazione.

Altro operatore che in Italia opera nel settore delle infrastrutture di reti in fibra ottica è Fastweb che, con la sua infrastruttura, si propone a OTT, operatori wireless, utilities, ecc. come unico interlocutore per offrire i servizi attraverso la propria rete in fibra e una efficiente piattaforma digitale. Ciò garantisce un accesso integrato all’intero “footprint” di mercato, al 5G e alle tecnologie più evolute messe a disposizione dei provider che ne avessero necessità per proporre i loro servizi.

Anche Fastweb, però, operando settore “retail” si viene a trovare nella stessa situazione di Fibercop.

Possiamo quindi affermare che, ad oggi, nel nostro paese abbiamo solo Open Fiber che opera in una vera e propria ottica wholesale-only relativamente alla fibra ottica.

Negli ambiti del wireless/radiomobile, un esempio evidente di operatore che nasce inizialmente in modo tradizionale (verticalmente integrato) è rappresentato da Linkem il quale, operando inizialmente come proprietario della infrastruttura della rete e nel settore “retail”, si è successivamente adeguato ai nuovi orientamenti del settore di riferimento che hanno visto più vantaggioso e vincente il modello wholesale-only rispetto a quello tradizionale ancora adottato dai principali operatori radiomobili presenti in Italia.

Linkem infatti, con la scissione del settore “retail” ha costituito, assieme a Tiscali, attraverso una fusione per incorporazione, la newco “Tessilis” della quale Linkem è azionista di maggioranza. L’azienda ha così cambiato nome ed è diventata “Opnet”, il primo esempio, almeno nominalmente, di rete radiomobile wholesale-only.

Nonostante, come già osservato, siano diversi gli operatori che hanno scelto di seguire il modello di condividere la propria rete, ciò che rende difficile la situazione nel nostro paese è il fatto che ad oggi sono ancora presenti diversi ostacoli legati alla presenza di più reti, sia in fibra ottica che wireless, e alla mancanza di un progetto “unico” di condivisione delle infrastrutture. Progetto che potrebbe ridurre i costi di gestione e garantire in modo efficace il proseguo del processo di digitalizzazione avviato negli ultimi anni.

La regolamentazione

L’Unione Europea, fortemente convinta che il modello di sviluppo delle reti in un’ottica wholesale sia il modello di business da seguire per raggiungere gli obiettivi prefissati, ha in questi ultimi anni costantemente aggiornato i propri modelli regolatori semplificando/incentivando la normativa e il sostegno economico allo sviluppo delle infrastrutture di rete condivise.

Tutto ciò anche considerando il modello del co-investimento, in discontinuità con l’approccio wholesale, considerato un’alternativa per incentivare la costruzione di nuove reti o la condivisione di quelle esistenti, se indipendenti.

Il modello del co-investimento aggirerebbe anche le problematiche inerenti al rischio di andare in conflitto con la disciplina delle “concentrazioni” che potrebbero verificarsi con l’adozione esclusiva del modello wholesale-only per un unico operatore che dovesse andare a gestire l’infrastruttura a livello nazionale.

Tale modello prevede la condivisione delle infrastrutture di operatori verticalmente integrati attraverso:

  • Joint-Venture, nel caso in cui operatore e co-investitori siano comproprietari della infrastruttura che si andrebbe a realizzare;

  • Accesso reciproco, nel caso in cui operatore e co-investitori operino su aree geografiche separate e condividano gli accessi alle rispettive reti condividendo il rischio a lungo termine con costi di installazione e gestione delle infrastrutture di cui ciascuno è responsabile in modo indipendente;

  • Accesso unidirezionale, nel caso in cui un solo operatore realizza la propria rete di accesso e consente l’accesso a co-investitori esterni condividendo con questi ultimi il rischio a lungo termine attraverso un co-finanziamento o contratti di acquisto.

Un esempio di co-investimento è oggi rappresentato dalla joint-venture Iliad-W3 attraverso la costituzione della società Zefiro che ha, appunto, il compito di gestire in modo condiviso lo sviluppo delle reti 5G dei due operatori nelle aree più disagiate del paese.

Tale modello segue quello già applicato dagli operatori TIM e Vodafone che, con la nascita di INWIT, hanno condiviso negli anni scorsi le proprie reti di accesso radiomobile al fine di ottimizzarne la gestione razionalizzando i costi di sviluppo e di manutenzione.

Oggi, in Italia, il modello del co-investimento viene portato avanti soprattutto dagli operatori wireless in considerazione dell’elevata diversificazione delle reti e dell’elevato numero di operatori presenti sul territorio. Per la fibra ottica, invece, il modello wholesale-only sarebbe quello più gestibile e a cui si dovrebbe tendere nel momento in cui superassimo l’empasse sulla realizzazione della tanto discussa “rete unica” tra Open Fiber e Fibercop.

Quest’ultima sarebbe la soluzione più che auspicabile ai fini di realizzare, almeno per le reti in fibra, un’unica infrastruttura, meglio se a controllo pubblico, per evitare possibili conflitti con la disciplina delle “concentrazioni”.

Ipotesi più che plausibile e auspicabile considerando la strategicità che riveste questo asset per il nostro paese.

Scenari critici

Facciamo, infine, una analisi su possibili criticità che possono determinarsi in considerazione della crisi che attraversano nel nostro paese le reti abilitanti alla digitalizzazione, soprattutto quelle radiomobili.

Sono diverse le cause che hanno contribuito a determinare la complicata situazione degli operatori radiomobili in Italia.

Lo scenario che ci troviamo davanti, soprattutto per quanto riguarda gli operatori radiomobili, non è dei più rosei. Se il modello di business non cambia e continua a basarsi non sulla qualità dei servizi, la quale potrebbe essere garantita dal modello wholesale-only, ma solo su tariffe al ribasso e senza alcun controllo da parte degli organismi preposti, la via che rimane agli operatori è sotto gli occhi di tutti: vendere le infrastrutture per avere liquidità.

Così è orientata a fare TIM, così sta facendo W3 con il fondo svedese di private equity EQT.

Siamo però certi che questa sia la strada da percorrere?

Andrebbero, infatti, presi in considerazione alcuni importanti aspetti legati a quanto sta accadendo:

  • la creazione di NewCo a controllo straniero che andrebbero a gestire le infrastrutture di rete del nostro paese non fa sicuramente bene all’Italia, sono asset strategici che dovrebbero essere a controllo pubblico;

  • lo scorporo delle reti dagli operatori che, seguito della vendita si trasformerebbero in ServiceCo, genererebbe sì cassa nell’immediato ma non garantirebbe loro la capacità di offrire servizi competitivi rispetto ai propri competitor nel momento in cui l’approccio wholesale-only diverrà quello predominante nel prossimo futuro. La competizione sarà sempre più elevata e il rischio è quello che non siano in grado di essere competitivi sul mercato.

Bisognerebbe valutare con attenzione questi aspetti e avere una vision di più ampio respiro che consenta il “monetizzare” il valore delle reti mantenendole al proprio interno e “aprendole” a terze parti che in questo modo gestirebbero indipendentemente il settore “retail” dei servizi. Diventerebbero così infrastrutture “aperte” e abilitanti ad un regime di concorrenza più equo, trasparente ma soprattutto basato sulla qualità e non sui prezzi. 

Redazione Trend-online.com
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