Lavoro, il periodo di prova per chi ha un contratto a termine non potrà superare i 6 mesi

Lavoro, il periodo di prova per chi ha un contratto a termine non potrà superare i 6 mesi: ecco quanto è stato stabilito dal Dlgs Trasparenza.

La nuova struttura del decreto legislativo trasparenza è andata a modificare in modo più radicale e vincolante la normativa esistente sul periodo di prova lavorativo. In sostanza, le modificazioni attuate sono andate a rettificare i limiti della durata massima del periodo di prova, in particolare, per tutti quei lavoratori titolari di un contratto a termine. Andiamo a vedere nel dettaglio tutte le novità a riguardo.

Lavoro, il periodo di prova per chi ha un contratto a termine non potrà superare i 6 mesi

Come dicevamo poc’anzi, le modificazioni attuate dal decreto legislativo Trasparenza sono andate a rivedere le tempistiche dei periodi di prova per tutti quei lavoratori che hanno dei contratti a termine. Ci stiamo riferendo all’articolo 7, che stabilisce che quando viene sottoscritto un contratto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore, che tra le condizioni inserisce un periodo di prova, questo non potrà essere superiore a sei mensilità.

Inoltre, è stato stabilito che i vari contratti collettivi potranno andare a modificare la durata del periodo di prova, ma solo per una riduzione e non per una dilatazione. Nella normativa, però, non vengono specificati quali contratti di lavoro, dunque, il riferimento viene esteso a tutti i contratti collettivi:

  • nazionali;
  • territoriali;
  • aziendali. 

L’unica domanda che ci possiamo fare è se questa previsione potrà essere derogata concordando un periodo più lungo di prova, attraverso un accordo di prossimità. Per questa ipotesi non dovrebbero esserci elementi contrari, a patto che siano considerati tutti i presupposti previsti dalla legge per la stipula di un accordo di prossimità.

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Lavoro, massimo 6 mesi per il periodo di prova: il nuovo decreto legislativo

Questo nuovo provvedimento legislativo non va in alcun modo a stravolgere la normativa in atto, il cui regolamento è riportato nell’articolo 2096 del codice civile; questo dispone che la durata totale del periodo di prova del lavoratore viene disposta interamente dalla deliberazione delle parti – datore di lavoro e lavoratore – entro i limiti fissati dallo stesso contratto collettivo.

Il vizio del codice civile è proprio la mancanza di un riferimento alla durata massima che può raggiungere il periodo di prova di un lavoratore. In realtà il periodo massimo era stato stabilito in una norma abbastanza antica, ossia all’articolo quattro del Regio decreto 1825/1924. Inoltre, il periodo massimo di prova viene anche disposto in maniera indiretta dall’articolo 10 della legge 604/1966.

Quest’ultimo, per tutti i lavoratori che si trovano nel periodo di prova, stabilisce una dilatazione della tutela contro i licenziamenti nel momento in cui l’assunzione diventi conclusiva e, solamente se, siano passati sei mensilità dalla data di inizio del rapporto di lavoro.

Le nuove disposizioni non vanno in alcun modo ad intaccare, abrogando o rivoluzionando, la norma riportata dal codice civile. Pertanto, restano valide le prescrizioni di cui all’articolo 2096 – quando compatibili – e le ricostruzioni illustrative sviluppate dalla legge, sulla base della stessa.

Viene ulteriormente confermato il principio secondo il quale il patto si deve evincere da atto scritto e, in particolare, quello per cui il datore di lavoro è il prestatore di lavoro sono tenuti reciprocamente “a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova”.

Inoltre, la nuova norma non va nemmeno ad tre il principio secondo cui nel corso del periodo di prova ambedue le parti possono decidere di recedere dal contratto, senza alcun tipo di obbligo di preavviso o di indennità, oltre che quello per cui il periodo di svolgimento dell’attività lavorativa in prova si computa nell’anzianità dello stesso prestatore di lavoro.

L’articolo 7

Il comma 2 dell’articolo 7 agisce direttamente sul patto di prova nei rapporti a termine, caso che pare riferirsi anche al lavoro insomma ministrazione.

La norma stabile finisce che per questi precisi contratti di lavoro il periodo di prova dovrà essere stabilito, in misura proporzionale, tenendo conto di due elementi:

  • la durata stessa del contratto di lavoro
  • le mansioni che il lavoratore dovrà svolgere rispetto all’impiego affidatogli.

Rimangono i dubbi su questo ultimo concetto di proporzionalità, che si presta ad eventuali incertezze interpretative. Per questo motivo, è essenziale un intervento chiarificatore dei contratti collettivi, con lo scopo di evitare che sorgano ulteriori contrasti

Sempre nel comma 2 viene rimarcato un concetto cardine, implicito nella normativa e nella stessa legge: qualora il rapporto di lavoro dovesse essere rinnovato per svolgere i i medesimi compiti, il nuovo contratto di lavoro non potrà essere soggetto a un altro periodo di prova.

Infine, al comma 3 viene stabilito che in caso di eventi che implicano la sospensione del periodo di prova come, ad esempio, infortuni, malattie, paternità o maternità, il periodo di prova viene esteso per un periodo di tempo equivalente alla stessa durata dell’assenza dal posto di lavoro.

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