Riforma Pensioni, sempre più difficile trovare la quadra: ecco le ultime ipotesi in campo

Sempre più difficile portare in cantiere la Riforma delle Pensioni. Sempre di meno sono le ipotesi avanzate dal Governo per migliorare il sistema.

Sono rimaste ormai poche le ipotesi per la Riforma delle Pensioni, almeno quelle che possono essere realizzate con le attuali casse dello Stato.

Rimane sempre più difficile trovare la quadra in merito al futuro dei trattamenti previdenziali, sempre più vicini invece all’inversione a U, al ripristino della Legge Fornero per tutti i lavoratori. Senza più Quote od Opzioni anticipatorie.

Da mesi il Governo Meloni sta valutando diverse ipotesi di riforma, ma nessuna di queste sembra applicabile, né tantomeno economicamente sostenibile per l’erario.

La questione previdenziale è decisiva anche per i lavoratori stessi, per garantire un ricambio generazionale continuo ed equilibrare il rapporto lavoratori-pensionati, ormai sempre più prossimo allo sbilanciamento, con più pensionati rispetto ai lavoratori.

Riforma Pensioni, sempre più difficile trovare la quadra: ecco le ultime ipotesi in campo

Il Governo Meloni sta battendo ogni strada per capire quali siano le soluzioni migliori per riformare il sistema pensionistico nazionale.

Ovviamente senza andare a discapito dei lavoratori. Per questo continuano ad oltranza le trattative con le principali sigle sindacali (CISL, CGIL e UIL) per trovare la quadra all’annosa questione della Riforma delle Pensioni.

Purtroppo al momento il Governo non sta incassando soluzioni, ma solo problemi. Sembrava ormai fatta per Quota 41, un’ipotesi previdenziale che per quelli del Governo sembrava fattibile per i bilanci del 2024.

In realtà per quelli della Ragioneria Generale di Stato Quota 41 è tutto meno che fattibile: solo il primo anno di applicazione della misura prevede una spesa stimata dai 3 ai 4 miliardi di euro.

Rimangono come ipotesi la valorizzazione degli anni contributivi da riscatto della laurea/leva obbligatoria e da disoccupato. In pratica l’introduzione di un assegno base per chi ha oggi 40 anni. È un’ipotesi che trova il placet dei sindacati, meno della Corte dei Conti.

Sarebbe una soluzione molto utile per chi ha raggiunto i 40 anni d’età ma si trova ancora in una condizione lavorativa precaria. Ma non è assolutamente sostenibile per le casse dello Stato, così come l’ipotesi di destinare il TFR alla previdenza integrativa.

Anche in questo caso la previdenza integrativa potrebbe venire incontro al risparmiatore, che potrà assicurarsi una maggiore rendita pensionistica mensile, anche se si ha avuto una carriera discontinua.

Ma così facendo non si andrà invece a colpire il cuore del problema, ovvero il magro montante contributivo che rischieranno in futuro i giovani, che a malapena raggiungono i 100.000 euro, insufficienti per garantire l’erogazione di un assegno mensile.

Come sarà la prossima riforma delle pensioni

Tolte le ipotesi accennate poco sopra, la Riforma delle Pensioni dovrà fondarsi prima di tutto sul rinnovo o meno delle 3 principali uscite previdenziali anticipatore, ovvero Quota 103, Ape sociale e Opzione Donna.

Salvo proroghe, esse cesseranno di essere operative dal 31 dicembre 2023. Anche se fino a poco tempo fa tra le ipotesi più realizzabili c’era Quota 103.

In realtà sono tutte costose e dai requisiti sempre più stringenti, il Governo è dubbio a rinnovarle per il 2024, anche se questo significherebbe rimangiarsi la parola sul fatto di sostenere il più possibile l’uscita anticipata dal lavoro.

Il problema è sempre di tipo finanziario: tutte e tre richiedono un notevole stanziamento di fondi per la Manovra di Bilancio. E con in ballo anche il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, l’aumento degli stipendi dei lavoratori statali, e l’abbassamento della pressione fiscale, difficilmente ci saranno soldi in più per il futuro.

Già il Governo ha dovuto dire di no a Quota 41 per il 2024, sebbene rimanga speranzoso per il 2025 e per il 2026. Probabilmente dovrà dire di no ancora, ma stavolta ad alcune categorie di lavoratori che desidererebbero andare in pensione tra i 62 e i 63 anni.

Finanziare un’uscita anticipatoria è una vera e propria impresa per l’erario, soprattutto se devi anche affrontare altri finanziamenti, non ultimo l’inderogabile perequazione/conguaglio di fine anno.

Facciamo presente il fatto che a giugno l’indice FOI, quello dell’inflazione registrata sui consumi di Famiglie Operaie e Impiegati, ha segnalato un +6,4% annuo. Se rimane stabile, il Governo dovrà autorizzare un adeguamento pensionistico vicino a tale cifra.

E tutto ciò complicherà notevolmente il tentativo del Governo Meloni di garantire non solo le riforme, ma anche le pensioni per chi uscirà nel 2024.

Chi andrà in pensione nel 2024

Teoricamente potranno andare in pensione nel 2024 tutti coloro che maturano i requisiti anagrafici e contributivi stabiliti dalla Legge Fornero nel 2012:

  • 67 anni d’età per chi ha 20 anni di contributi versati (se meno, servono 71 anni d’età);

  • 41-42 anni e 9 mesi di contributi versati.

Pertanto, tutti quelli nati nel 1957 (o nel 1953) potranno andare in pensione, oppure anche più giovani se hanno moltissimi anni contributivi versati. O se soffrono di handicap. Ci sono delle uscite agevolate nel caso di soggetti affetti da malattie disabilitanti, o se beneficiari di invalidità civile, ma bisognerà consultare prima l’INPS per avere conferma dei benefici da legge 104.

Tutto ciò sarà la norma dal 2024 qualora il Governo non riesca nemmeno a prorogare Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale.

Ma questo si vedrà nei prossimi mesi. Il confronto tra governo e sindacati sulla previdenza non è ancora finito.

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