Mal di schiena in Smart working? Chiedi i danni al datore!

Come sono tutelate le malattie professionali e gli infortuni per chi è in smart working, come fare domanda e quali i ricorsi possibili.

A dicembre dello scorso anno le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori hanno firmato il primo protocollo di intesa per la gestione dello smart working nel settore privato. Le regole fissate saranno quelle da seguire in seguito per la contrattazione collettiva, che potrebbe arrivare a contratti leggermente diversi per settore, ma che comunque sarà ispirata alla stessa filosofia,

I punti messi nero su bianco sono quelli che riguardano le modalità di adesione al lavoro agile, i tipi di contratto che si potranno concludere, la formazione che dovrà essere fornita al lavoratore, a chi spetterà l’onere di pagare gli strumenti di lavoro. Inoltre il diritto alla disconnessione e quello altrettanto importante del datore di lavoro di controllare il puntuale svolgimento delle mansioni assegnate.

Non ultimo tra gli argomenti trattati è quello della tutela della salute dal lavoratore, sia in termini di prevenzione di eventuali infortuni che in quello del diritto al risarcimento in caso di danni permanenti o nel caso si sviluppi una malattia professionale. 

Tutto questo sarà coperto con un’assicurazione obbligatoria versata all’INAIL, come per i lavoratori che hanno modalità di lavoro classico.

Non avere un posto di lavoro fisso e che il capo può tenere sotto controllo però impone da un lato l’onere di formare il lavoratore sui rischi che potrebbe correre e dall’altro quello di essere puntuale e diligente nel seguire le istruzioni ricevute e nel tenere comportamenti che non lo sottopongano a pericoli evitabili.

Smart working: le regole

Lo smart working è normato nel nostro ordinamento dalla legge numero 81 del 2007 che all’articolo 18 lo definisce come

un’attività che viene svolta in parte nei locali dell’azienda e in parte all’esterno, senza che ci sia una postazione fissa.

Si tratta quindi di contratti del tutto assimilabili a quelli di lavoro subordinato, con degli orari spesso flessibili, ma comunque sempre fissati nel massimo di ore giornaliere o settimanali, salva la particolarità di svolgersi anche in luoghi diversi dalla sede dell’azienda: spesso in casa del lavoratore, ma anche in altri luoghi, purché in grado di garantire la sicurezza fisica di chi lavoro e quella dei dati eventualmente trattati.

Il protocollo di intesa del 2021 stabilisce che

la trasformazione di un contratto da classico ad agile può avvenire solo con un accordo tra le parti interessate e può essere sia tempo determinato che indeterminato. Nel documento dovranno essere indicati in modo espresso luoghi dove non potrà mai svolgersi il lavoro e i comportamenti che daranno luogo a sanzioni. Inoltre l’orario di lavoro gli strumenti da utilizzare e le modalità di controllo.

Altro punto è quello del diritto alla disconnessione: pur essendo un lavoro che non è strutturato su un orario preciso, ma su obiettivi da raggiungere il lavoratore agile ha diritto a delle fasce orarie di libertà e quando si trovi in ferie malattie o permesso può spegnare smartphone e computer.

In genere gli strumenti tecnologici per lavorare sono forniti dall’azienda, ma è possibile anche un accordo diverso, se sono previste modalità di rimborso delle spese sostenute, per l’acquisto di computer, e per i contratti telefonici o per la corrente elettrica.

Come è garantita la sicurezza in smart working

Il protocollo di intesa ha messo nero su bianco che anche chi si trovi in smart working deve essere tutelato nello stesso modo previsto per gli altri lavoratori dalla legge numero 81 del 2008. Si tratta della norma che ha regolamentato la sicurezza sui luoghi di lavoro stabilendo quali sono le precauzioni che debbano essere prese per evitare rischi inutili, tra l’altro ponendo l’accento anche sulla formazione e sulla responsabilizzazione dei collaboratori.

L’articolo 22 della legge numero 81 del 2007 dice che

il lavoro agile deve essere svolto solo in luoghi idonei ai sensi della normativa vigente. Al datore di lavoro spetta l’onere di assicurare questa idoneità,

e a questo scopo ogni anno consegna al lavoratore un’informativa scritta dove sono sottolineati i rischi in cui incorre il lavoratore, quest’ultimo ha l’obbligo di cooperare per evitare infortuni o malattie professionali.

Quando l’INAIL ci paga in smart working

Al datore di lavoro spetta l’onere di sottoscrivere presso l’INAIL un’assicurazione che copra chi si trova in smart working per gli infortuni sul lavoro e per le malattie professionali.

Il protocollo di intesa specifica che tra queste malattie ci sono anche quelle che derivano dall’uso di videoterminali. Infine garantita la copertura anche per gli infortuni in itinere, per quelli cioè che si verificano nel percorso fatto da casa fino al posto di lavoro.

Questo tipo di copertura è estesa al lavoro agile perché non deve essere necessariamente svolto a casa propria. Possibile che il lavoratore abbia la propria postazione anche in un luogo più o meno lontano. Attenzione però perché l’articolo 12 del decreto legislativo numero 38 del 2000 parla di

infortunio che si verifica nel normale percorso per recarsi al lavoro, per spostarsi da uno all’altra postazione di lavoro o a quello per recarsi nel posto dove si consumano i pasti.

Non ogni infortunio che si verifica quando ci stiamo spostando ci verrà pagato ma solo quelli che avvengono sul tragitto normale e stando all’interpretazione dell’INAIL su quello più breve e se possibile fatto privilegiando i mezzi pubblici invece dell’auto.

Non sarà pagato il mal di schiena dovuto a una caduta sul marciapiede, avvenuta perché abbiamo deciso quel giorno di lavorare al parco, invece che in casa come concordato. Parimenti se abbiamo deciso di deviare dal percorso normale per fermarci a fare la spesa, un tamponamento con colpo della strega non andrà a carico dell’INAIL. 

Per quanto riguarda gli infortuni sul posto di lavoro le regole sono anche quelle da seguire in azienda. Il lavoratore è pagato solo se ha rispettato le norme di sicurezza che gli sono state fornite, non se è stato palesemente incauto o si è sottoposto volontariamente al rischio. Una cosa è se la sedia che ci ha fornito il nostro capo all’improvviso si sfonda e noi franiamo sul pavimento, altra se ci stavamo dondolando su due gambe e perdiamo l’equilibrio.

Come dimostrare di avere una malattia professionale

Altra questione è quella della malattia professionale perché non è di immediata evidenza come un infortunio e a volte è difficile collegarla alle mansioni che si svolgono sul posto di lavoro. Si tratta comunque di qualcosa contro cui è assicurato anche chi si trova in smart working.

L’INAIL definisce come malattia professionale come una patologia la cui causa si riscontra nel tipo di lavoro svolto, eventualmente aggravata da altri fattori, e che agisce in modo lento e progressivo sull’organismo. Può essere determinata sia dal tipo di mansioni svolte che dal luogo dove si svolgono.

Ci sono malattie cosiddette tabellate, che sono inserite in due tabelle: una per l’industria e una per l’agricoltura per le quali serve dimostrare solo di avere svolto quel tipo di lavoro e di avere contratto la malattia. Non si dovrà invece provare anche il rapporto di causa effetto tra i due eventi.

Chi svolga lavori diversi o contragga malattie non inserite in una tabella ha comunque il diritto a vedersi risarcire i danni, e ad avere in modo gratuito assistenza sanitaria e riabilitative, però deve dimostrare di avere una malattia e che questa è stata causata dalle mansioni svolte o dal luogo in cui ha lavorato.

Come fare la domanda per malattie professionali da smart working

Chi ritenga di avere una malattia professionale e si trovi in smart working deve seguire le stesse regole dettate per tutti i lavoratori. Il primo passo è quello di rivolgersi al proprio medico curante, oppure al medico del lavoro e sottoporsi a una visita. Sarà uno di questi medici a diagnosticarla e a consegnarli un certificato.

Deve di seguito denunciare la malattia al proprio datore di lavoro entro 15 giorni dal giorno in cui si è palesata. Il mancato rispetto di questo termine comporta la perdita del diritto di essere risarcito per i giorni antecedenti alla domanda.

Alla denuncia dovrà allegare anche il certificato medico che attesta la malattia. Nel caso avesse la necessità di essere ricoverato i referti saranno inviati direttamente dalla struttura sanitaria sia all’azienda che all’INAIL.  

Entro cinque giorni dal giorno in cui ha ricevuto la denuncia il datore di lavoro ha l’obbligo di informare l’INAIL. Nel caso non lo facesse sarà sottoposto a una sanzione e il lavoratore potrà fare la segnalazione in autonomia.

Chi avesse i primi sintomi della malattia dopo aver smesso di lavorare, ha comunque diritto al pagamento dei danni, ma dovrà attivarsi in autonomia per presentare la denuncia utilizzando i moduli predisposti dall’INAIL, dove andranno indicati propri dati, quelli del datore di lavoro, la retribuzione, l’orario di lavoro e il settore dell’attività e le mansioni svolte.

Se la domanda è stata presentata in modo regolare al lavoratore sarà fissato un appuntamento con un medico dell’INAIL che lo sottoporrà a una visita preliminare e se necessario ad altri accertamenti. Alla conclusione di tutti gli accertamenti sarà avvisato dall’accoglimento o meno della domanda che non è sempre scontato.

Se la risposta sarà positiva sarà anche informato dell’indennizzo a cui ha diritto e potrà iniziare a usufruire anche dei servizi di cura e di riabilitazione necessari.

L’indennità sarà riconosciuta a partire dal quarto giorno da quello dell’inizio della malattia in proporzione alla paga degli ultimi 15 giorni. In caso di danno biologica sarà previsto un ulteriore indennizzo basato sulla percentuale dalla menomazione.

Chi si vedesse respingere la domanda, avrà tempo tre anni per presentare ricorso presso l’istituto. Le spese per il riesame saranno completamente a carico del richiedente, il cui stato di salute sarà nuovamente esaminato nel corso di una visita collegiale alla quale parteciperanno in contraddittorio il medico dell’INAIL e il medico del ricorrente che ha redatto il primo certificato. 

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