Boom di giovani NEET in Italia: non studiano e non lavorano

Boom di giovani NEET in Italia: non studiano e non lavorano. Andiamo ad esplorare insieme quali potrebbero essere le cause di questo problema.

Boom di giovani NEET in Italia: non studiano e non lavorano

I dati continuano a peggiorare di anno in anno. Nel nostro Paese i giovani NEET, i ragazzi che non studiano e non lavorano, sono addirittura 1/5 del totale. Il nostro è il numero peggiore dell’intera Unione Europea

Andiamo a vedere insieme chi sono i NEET e a cosa è dovuto questo costante incremento.

Boom di NEET in Italia, record in negativo nell’Unione Europea

Quasi 1/5 degli italiani di età compresa tra i 15 e i 24 anni passa le sue giornate senza fare qualcosa di concreto per il suo presente, oltre che per il suo futuro.

Il termine per definire questa categoria di giovanissimi è NEET, un acronimo che sta ad indicare giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano, dall’inglese Not in education, employment or training.

Il numero di questi ragazzi è aumentato drasticamente negli ultimi anni, soprattutto in concomitanza dello scoppio della pandemia di Coronavirus. Nell’anno 2020, infatti, la percentuale dei Neet è salita al 19% nel nostro Paese, superando di un punto percentuale i numeri dell’anno precedente: il 2019. 

Analizzando, poi, l fascia di età dei giovani adulti, tra i 25 e i 29 anni, la percentuale dei NEET aumenta ancora di più e raggiunge il 31.5 %, quasi il doppio se consideriamo la media dell’Unione Europea che si attesta intorno al 18.6 %.

Quali sono le cause principali del fenomeno in continuo aumento

Questo continuo aumento di giovani che non studiano e non lavorano non ha una sola causa, anzi. Le motivazioni che spingono i giovani a non studiare, non seguire percorsi lavorativi e non trovare un impiego sono davvero tante. 

Possiamo partire analizzando la situazione individuale di ciascuno di essi, individuando in primo luogo problemi di tipo familiare (la famiglia di appartenenza).

Molti giovani, infatti, arrivano da situazioni difficili, in particolare con problemi di natura socio-economica

È stato evidenziato negli anni, come i ragazzi che arrivano da nuclei familiari con problemi economici siano maggiormente soggetti all’abbandono scolastico. Tale situazione, inoltre, tende a tramandarsi da una generazione all’altra:

“diversi studi hanno indicato come l’abbandono precoce tenda a trasmettersi da una generazione all’altra.”

I ragazzi che abbandonano prima del termine gli studi si trovano in misura maggiore, rispetto ad altri che terminano gli studi, a rischio povertà, oltre che a rischio esclusione sociale

Inoltre, è stato evidenziato come la maggioranza di questi soggetti tenda a dipendere da programmi di assistenza sociale, come ad esempio, la misura del Reddito di Cittadinanza. 

Insomma, abbiamo capito che una situazione non rosea alle radici, dunque, del nucleo familiare di appartenenza, non renda favorevole il percorso di studi del giovane e, pertanto, anche il suo inserimento nel mondo del lavoro

Altre cause del fenomeno NEET: università più teoriche che pratiche

In altri casi, però, i giovani arrivano da famiglie con una situazione economica che potremmo definire “normale” e terminano i percorsi di studio, anche solo quelli obbligatori, ma non trovano ugualmente un impiego. Come mai?

Tra le cause c’è sicuramente la carenza di esperienza lavorativa degli stessi studenti. Le nostre scuole e le nostre università, in particolare, sono molto orientate alla teoria e poco alla pratica. 

Mi spiego meglio, con un esempio. Un giovane studente che vorrebbe diventare un giornalista, o un insegnante, acquisisce nel suo percorso universitario unicamente (o comunque per un buon 95%) una formazione teorica

La formazione teorica si basa sulla storia della materia, la sua evoluzione nel tempo e la sua dimensione attuale. Ma manca la formazione pratica

Per quelle poche, pochissime, volte in cui gli studenti sono chiamati ad agire, mediante ad esempio dei percorsi formativi come stage o tirocini, questi diventano un vero e proprio incubo. 

La maggior parte dei pochi che svolgono tirocini e stage si trova a svolgere la professione di segretario/a e ad effettuare i “lavori scomodi” che nessuno vuole fare

Ma questo non è un fenomeno che si riscontra solo nelle università, ma anche nelle scuole superiori, durante l’ex alternanza scuola-lavoro

Come possiamo insegnare ai giovani una professione, per una facile introduzione nel mondo del lavoro una volta finiti gli studi, se gli insegnamenti sono astratti e la pratica non corrisponde al mestiere che si vuole imparare?

Aggiungiamo anche che, nella stragrande maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, gli stage e i tirocini sono retribuiti. In Italia no, e quei pochi posti di lavoro che danno un compenso non si lanciano oltre i 600 euro. I ragazzi vengono impiegati per sei mesi, full time (8 h di lavoro su 5 giorni, a volte anche di più), per svolgere mansioni per cui non hanno studiato, senza alcun riconoscimento.

Ed ecco, quindi, un’altra causa che porta al fenomeno dei NEET

Il mondo del lavoro e i NEET. Lo sfruttamento del personale

Arriviamo, poi, al termine degli studi e al momento in cui i giovani iniziano a mandare i propri curriculum vitae alle aziende con cui vorrebbero lavorare. 

Leggiamo le offerte di lavoro. Nella maggior parte di queste appare una scritta: “Esperienza minima 2 anni”, se ci va bene, altrimenti “esperienza minima 5 anni nel ruolo per cui ci si candida”. 

Come può un giovane neolaureato, con uno stage alle spalle non retribuito, per una posizione differente a quella per cui ha studiato, avere un’esperienza di questa portata alle spalle? Semplice, non può.

In altri casi, però, le aziende si “offrono” di inserire nell’organico anche giovani senza esperienza, ma specificano nell’annuncio “stage non retribuito”. 

Ho letto personalmente alcuni annunci di lavoro in rete, in cui si richiedevano giovani con:

  • un diploma di laurea;
  • almeno 5 anni di esperienza;
  • due o più lingue parlate fluentemente,

per una posizione di “stage non retribuito” full time. Come può un giovane essere motivato ad inviare una candidatura e a trovare un impiego, in questo modo?

Considerando che, dopo 5 anni di università, un giovane ha un’età compresa fra i 24 e i 26 anni, quando diventerà autonomo? Quando inizierà a guadagnare e a staccare il proprio cordone ombelicale dalla famiglia?

Ecco un’altra causa, l’ennesima, del fenomeno dei NEET.

I giovani sognano l’estero. L’Italia non è un Paese per loro

I giovani di oggi, infatti, si sentono sfruttati e senza competenze. Dopo alcune candidature e alcuni fallimenti gettano la spugna e si ritrovano in casa, senza un impiego e senza la volontà di continuare a studiare

In molti, già dalle scuole elementari e medie, sognano il proprio futuro all’estero, fuori dal Bel Paese, forse perché hanno già capito che l’Italia non è un Paese per loro, un paese per giovani promettenti.  

E per averne la conferma, ci basta dare un’occhiata al report Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2021 e vedere i dati relativi agli investimenti dello Stivale per l’istruzione:

“Gli investimenti dell’Italia nell’istruzione sono tra i più bassi dell’UE. Nel 2019 la spesa dell’Italia per l’istruzione è rimasta ben al di sotto della media UE, sia in percentuale del PIL (il 3,9 % contro il 4,7 % dell’UE) sia in percentuale della spesa pubblica totale (l’8 % contro il 10 % dell’UE). La spesa pubblica per l’istruzione terziaria (8 % della spesa totale) è la metà della media UE (16 %) e rimane la più bassa dell’UE.”

Se volete altre informazioni riguardanti la situazione della Scuola in Italia vi consiglio la lettura di questo articolo: Scuola: l’Italia è sotto la media UE! Ecco i dati.

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