Il lavoro del reporter di guerra, novità e rischi!

Un lavoro tornato purtroppo alla ribalta a seguito delle drammatiche vicende di queste settimane, stiamo parlando dei reporter di guerra. Vediamo come

Un lavoro tornato purtroppo alla ribalta a seguito delle drammatiche vicende di queste settimane, stiamo parlando dei reporter di guerra. Nel tempo diminuiti, ora tornati al centro dell’attenzione con l’invasione russa dell’Ucraina orchestrata da Putin. In una guerra gli inviati sul campo sono fattore cruciale. 

L’Europa sprofonda nel baratro della guerra. Giornali e media mondiali rinnovano i finanziamenti in persone e mezzi per tessere le fila del racconto della guerra, narrazione da e sul luogo. L’invasione dell’Ucraina si è rivelata mediaticamente una svolta. Il lavoro di reporter di guerra sembrerebbe ripartire da qui.

In tempi non troppo lontani si erano occupati di conflitti dal minore appeal mediatico, mentre al contempo la crisi economica della stampa tagliava nel complesso investimenti al loro operato.

Gabriele Cannone, in un video caricato sul suo canale Youtube, racconta il mestiere di giornalista di guerra:

Un lavoro tornato di moda, il reporter di guerra

Fino a una trentina di anni addietro le guerre erano raccontate perlopiù da personalità competenti e al servizio di qualunque giornale con una certa importanza. Si tratta dei celebri “inviati di guerra”. Figure sparse per le lande più disparate del globo, in genere con tanta esperienza e aventi rapporti solidi con colleghi incrociati nei diversi continenti nel corso del tempo

Attualmente, per la contrazione delle spese, si tratta di figure difficilmente rintracciabili. I reporter di guerra sono rari, una comunità che si è ristretta a pochi individui appartenenti alle riviste più quotate, specie economicamente. 

Il lavoro dei reporter nel 2021 e l’arrivo in Ucraina

Stando a Uppsala Conflict Data Program nel corso del 2021 vi sarebbero stati all’incirca 23 fronti che avrebbero mietuto oltre mille vittime. Dal punto di vista mediatico l’appeal delle guerre variano di volta in volta.  

Dal punto di vista giornalistico, a dominare la scena sui campi da battaglia sono i freelance, operatori indipendenti. Questi giornalisti si sono mossi in maniera autonoma e così hanno raggiunto le zone interessate. Solo dopo hanno rivenduto servizi, articoli, video e fotografie a diversi attori dell’universo dei media. Tanti di questi giornalisti hanno fatto tappa anche in Ucraina

Sono tantissime le motivazioni alla base delle partenze dei vari reporter. In prima istanza la semplicità (relativa) di recarsi in loco. La prorompente richiesta da parte di magazine e media, che, come era logico immaginare, hanno stravolto i palinsesti e allargato le foliazioni. Il digitale ha giocato un ruolo chiave. Si pensi alla promozione tramite video, podcast, newsletter, social network.

Il lavoro degli inviati dipendenti, il mestiere del corrispondente di guerra

Numero piuttosto elevato anche quello dei cronisti dipendenti al servizio di giornali riconosciuti. Questi addetti appartengono perlopiù alle redazioni Esteri, contando esperienze saltuarie dai territori di guerra.

Un mestiere che fa storia, il corrispondente di guerra. I suoi albori si rintracciano nelle cronache di William Howard Russell dalla guerra di Crimea (1853-1856).

Vi è stato chi l’ha tramandato con accezione romantica, sebbene abbia vissuto una progressiva trasformazione, sì accessibilità, ma anche estremo pericolo. Cosa è richiesto? Addestramento ad hoc, strumentazione specifica, abilità di movimento in ambienti eterogenei e imponderabili, esperienza e sostegno esterno, in loco e in patria.

Prontuario per il lavoro di reporter di guerra

Vi è chi raccoglie linee guida fondamentali per il lavoro di reporter di guerra. Il soggetto in questione è il CPJ (Committee to Protect Journalists). Si tratta di un ente non profit d’oltreoceano. L’istituti statunitense si batte per la tutela dei giornalisti e per la libertà di stampa.

La riduzione del rischio passa da alcuni essenziali elementi. Si pensi a un corso di formazione, un’assicurazione ad hoc, solide relazioni con colleghi in loco e in patria, un equipaggiamento consono, la consapevolezza puntuale del luogo e delle forze in lotta.

Ugo Lucio Borga è un fotoreporter rodato all’esperienza bellica da oltre dieci anni. Insieme a Cristiano Tinazzi, ha dato vita nel 2015 il “War Reporting Training Camp”, centro di preparazione e formazione di base per gli aspiranti cronisti di guerra. Un corso della durata di sei giorni, località Val d’Aosta. Teoria e pratica. 

Si affrontano le occorrenze primarie del lavoro in zona di guerra: primo soccorso per lesioni di natura bellica; rianimazione; apprendimento del meccanismo e della balistica delle differenti tipologie di armi e di ordigni anche artigianali; tutela informatica delle indicazioni raccolte; cura delle crisi psicologiche; sopravvivenza e fuga; cautele per eludere i pericoli di sequestro o per la sua gestione; diminuzione della soggezione a fonti energetiche e a attrezzature digitali.

Insomma, è fondamentale riuscire a cavarsela.

Necessaria una strumentazione impeccabile: equipaggiamento di primo soccorso (lacci emostatici e aghi di sutura), giacche antiproiettile, elmetti e lenti a protezione. Occhio all’abbigliamento, evitare indumenti che possano confondere i militari, tra questi i kit tecnici ormai veste informale dei contractors, le compagnie paramilitari private.

Il lavoro in zona di guerra

Il lavoro in aree ad alta densità bellica prevede un piano organizzativo preventivo. Vi è bisogno essenzialmente della possibilità di dormire, mangiare, avere accesso alla corrente elettrica e, eventualmente, di una connessione più o meno funzionante. Solitamente vi sono alberghi che si prestano a mo di campo-base per la fiumana di reporter internazionali. Ovviamente non mancano le difficoltà come blackout, esaurimento delle scorte di cibo, bombardamenti.

La reporter Cecilia Sala, novizia delle zone di guerra, in una puntata del podcast Stories, ha raccontato al suo arrivo in Ucraina della sua scorta di cibo per fronteggiare una potenziale emergenza. La giovane reporter ha ribadito l’importanza delle scorte di cibo e i relativi e consoni valori nutrizionali. Torce con molte batterie e power-bank aggiuntive sono designate da innumerevoli navigati giornalisti come essenziali.

Il lavoro del reporter di guerra e le tecnologie digitali

Le tecnologie digitali hanno agevolato e velocizzato connessioni e comunicazioni, sebbene abbiano accresciuto la soggezione a fonti di energia. La connessione al satellite non è cosa sempre semplice, prende tempo ed esaurisce le batterie. Il grande vincolo di questo lavoro sta proprio qui, alimentare continuamente i propri apparecchi di lavoro.

Oggi come oggi la narrazione del conflitto in Ucraina deve molto ai video. I registi? Semplici persone munite telefono (il celebre citizen journalism). Informazioni veicolate attraverso i social network e che presentano ovviamente problematiche di attendibilità e potenziali subordinazioni alla propaganda. 

Per le dirette occorre una connessione che sia stabile e assicurata. A garantirla quelli che sono chiamati solitamente “zainetti per lo streaming mobile”.

Lavoro di reporter di guerra e corollari

Le questioni logistiche e la gestione degli spostamenti per far visita a luoghi e intervistare gli attori chiamati in causa sono momenti fondamentali e occupano ampie porzioni delle giornate di lavoro. I reporter di guerra si affidano a tre figure essenziali. Sul campo fondamentali sono gli autisti, gli interpreti e i fixer

Un autista fidato ed efficiente fa la differenza in caso di bombardamenti o per eludere i checkpoint. Un buon interprete è chiaramente di primaria e ovvia importanza. I fixer, meno noti ai più, sono redattori o dipendenti dei media locali. Persone che sono “ingaggiate” (a mo di supporto sul campo) dai reporter esteri come traduttori e guide.

Sono dei veri e propri organizzatori, possiedono contatti e numeri di telefono, sono a conoscenza di fatti, apparecchiano interviste, sanno di chi potersi fidare, percepiscono preventivamente i pericoli. Dispongono pareri cruciali ai fini della sopravvivenza in contesti a rischio. 

Il lavoro dei reporter di guerra e i conflitti passati

Il giornalismo di guerra è mutato col trascorrere delle epoche. Il tutto si è sempre giocato intorno alla possibilità di poter accedere ai teatri dello scontro. 

Prendiamo il caso del conflitto avvenuto Vietnam. I giornalisti seguivano i marines in prima linea. Il primo conflitto narrato quotidianamente e trasmesso mezzo tv nelle abitazioni dei cittadini americani. Una “pubblicità”che ha scatenato un incredibile movimento contro la guerra. 

Da qui la diffidenza di governi ed eserciti ha per la presenza dei reporter sul campo di battaglia. La Prima guerra del Golfo ne è emblematico esempio, con i reporter del mondo intero “bloccati” nei quartier generali americani. Le informazioni giungevano solamente dai comunicati ufficiali.

Vi sono stati conflitti, si pensi a quello della ex Jugoslavia, che hanno posto nuovamente al centro degli scontri i giornalisti. Evidenziandone talvolta la fragilità.

I rischi per i reporter di guerra

La scelta di farsi riconoscere o meno come giornalisti è diventata una decisione pregna di responsabilità e valutazione di rischi. Ci sarebbe da prendere in considerazione il potenziale pericolo ad esempio di sequestri.

In terra siriana, stando a una stima di Reporters sans frontières, i giornalisti che avrebbero perso la vita nel decennio di guerra civile sarebbero stati oltre 300. Per questo motivo sono crollate anche le ultime certezze sulla tutela della sicurezza dei reporter.

In una guerra che aveva difficoltà nel “fare notizia” i fari dell’attenzioni sono stati accesi talvolta proprio dalla morte di personaggi celebri come Marie Colvin a Homs.

L’invasione dell’esercito di Putin in Ucraina ha già scaturito nel primo mese di guerra la morte di almeno tre giornalisti, come il cameraman ucraino Yevhenii Sakun. Il reporter ucraino  ha perso la vita nel corso del bombardamento alla torre televisiva della capitale, Kiev. 

Vittime anche altri due giornalisti impegnati nella città di Horenka, nei pressi di Kiev. Si tratta del cameraman irlandese Pierre Zakrewski e della producer Alexandra Kuvshinova. Assieme  a loro anche il corrispondente della Fox News Benjamin Hall, ferito gravemente. A centrarli un colpo di mortaio.

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