Pensione anticipata: cosa rischio se rimando l’uscita?

È obbligatorio andare in pensione a 67 anni? Cosa si rischia a rimandare la pensione anticipata. Che cos'è la cristallizzazione del diritto alla pensione.

Addio alla possibilità di andare in pensione prima, se rimando l’uscita? Sarà vero? La pensione va richiesta al momento della maturazione delle caratteristiche principali del piano previdenziale? Insomma, la confusione regna sovra, specie in materia pensionistica, dove dubbi, perplessità ed errori sono all’ordine del giorno. 

In particolare, ci premere rispondere a Giulia che ci chiede:

“Buongiorno ho maturato i requisiti attribuiti al mio piano pensionistico, sono obbligata a uscire dal lavoro rispettando le direttive regolamentate dal trattamento previdenziale. E, ancora, cosa rischio nel rimandare l’uscita dal lavoro. Grazie della risposta”.

Non una domanda banale, mirata frutto di un’attenta valutazione prodotta sul lungo termine, restando di più al lavoro si ricevono maggiori versamenti, per cui anche l’importo dell’assegno ottiene degli importanti benefici.

Tuttavia, la vera questione è, capire se sussistono delle penalizzazioni, preme comprendere quali possibili conseguenze investe il diritto alla pensione, se non viene subito utilizzato. 

La prima distinzione che ci viene da prospettare è quella relativa alla categoria degli autonomi o, ancora dei lavoratori parasubordinati, rispetto ai lavoratori dipendenti che viaggiano in condizioni diverse. 

Potrebbe sembrare banale, ma prima è necessario identificare e distinguere il rapporto da lavoro subordinato, ovvero contraddistinguere i lavoratori dipendenti da quelli pubblici. Questo, perché, nel settore privato a licenziare il lavoratore per i limiti anagrafici è il datore di lavoro.

E, questa non è una buona notizia perché ottenere il licenziamento per sforamento dei limiti anagrafici, non significa aver diritto alla pensione. Discorso diverso, viene applicato per la Pubblica Amministrazione, infatti quando si attiva un licenziamento vengono compensate le caratteristiche principali che portano all’anticipo pensionistico. 

E, questa, è tutta un’altra storia legata alla vicenda di moltissimi lavoratori che affrontata nell’ultimo paragrafo. Nel corso del testo ci occuperemo di cosa fare una volta raggiunti i requisiti necessari per il trattamento previdenziale, per non perdere il diritto alla pensione INPS. 

Pensione anticipata: cosa rischio se rimando l’uscita?

Partendo dalla fase del pensionamento necessario per capire se e quando e come si riesce ad andare in quiescenza nel 2022. È facile comprendere che una volta raggiunte le proprietà necessarie per l’ingresso in una formula previdenziale, il passo successivo cade sul diritto cristallizzato alla pensione.

A questo punto possiamo rispondere alla domanda di Giulia che ci chiede: 

 “Buongiorno ho maturato i requisiti attribuiti al mio piano pensionistico, sono obbligata a uscire dal lavoro rispettando le direttive regolamentate dal trattamento previdenziale. E, ancora, cosa rischio nel rimandare l’uscita dal lavoro. Grazie della risposta”.

Se hai acquisito il diritto alla pensione, ottenuto con il perfezionamento di tutti requisiti previsti dalla formula previdenziale in cui vuoi accedere, non perdi nulla. 

È importante comprendere che ad esempio, se hai acquisito il diritto alla pensione con Quota 100 anche non utilizzando la formula per la pensione non perdi la possibilità di sfruttarla in futuro. In altre parole, potrai sempre utilizzare la misura per cui hai maturato i requisiti anche se non è più attiva. 

Come si richiedere il certificato della cristallizzazione del diritto? 

L’INPS rilascia il certificato per l’acquisizione del diritto alla pensione solo in presenza di specifiche condizioni. In linea generale, il certificato del diritto alla pensione viene richiesto all’INPS, nel momento in cui il lavoratore intende presentare la richiesta per il prepensionamento.

È possibile il rilascio del certificato di cristallizzazione del diritto necessario per lisopensione, per la richiesta dell’indennità mensile dovuta dal contratto di espansione. È, ancora, in presenza di prestazioni a sostegno del reddito per la richiesta dell‘assegno straordinario di solidarietà e, infine, per l’anticipo alla pensione legato alla misura Ape sociale. 

Nello stesso modo, anche sui diversi trattamenti previdenziali agevolati, l’ordinamento previdenziale ha previsto prima la presenza della certificazione del diritto alla pensione, come appunto pensione precoci, usuranti e lavori notturni a turni. 

L’INPS non richiedere il certificato di cristallizzazione del diritto ai lavoratori che intendono avvalersi di piani pensionistici sperimentali, così come può essere la pensione donna, ovvero Opzione donna o, ancora, Quota 100 e Quota 102. 

E, ancora, la sconvolgente verità del diritto alla pensione, leggi l’articolo qui

Si può licenziare il lavoratore per sopraggiunti limiti anagrafici? Si perde il diritto alla pensione?

Iniziamo nel chiarire un punto fondamentale della formula pensionistica di vecchiaia. In primis, per la conquista della famosa pensione di vecchiaia al lavoratore servono 20 anni di versamenti contributivi e il raggiungimento dell’età pensionabile.

Ad oggi, il limite pensabile per raggiungere la pensione di vecchiaia è di 67 anni di età. Il lavoratore in presenza di queste condizioni, oltre al limite legato all’assegno se disciplinata, può essere licenziato dal datore di lavoro senza necessariamente spiegarne la motivazione, questo perché nell’ordinamento previdenziale viene contemplata la libera recedibilità. 

Tuttavia, parliamo di uno dei punti più controversi della previdenza sociale che merita un maggiore approfondimento dal legislatore. 

Ho raggiunto l’età pensionabile posso restare ancora al lavoro? 

In questo caso, parliamo della possibilità di mantenere il posto di lavoro dopo i 67 anni di età. Secondo le disposizioni previste dalla Legge Fornero, il lavoratore può restare sul posto di lavoro sino all’età anagrafica di 71 anni.

In questo caso, si applicano le regole previste per la pensione di vecchiaia contributiva, che prevede un minimo di versamenti pari a 5 anni. Tuttavia l’assenza di un accordo siglato tra le parti, ovvero lavoratore e azienda potrebbe complicare le cose. 

Al di là dell’età pensionabile, non esiste una regola vera e propria che impone l’obbligo di non lavorare sopraggiunta il limite. In questo caso, occorre prendere in considerazione due punti, quali:

  • acquisita l’età pensionabile e, quindi, il famoso diritto alla pensione, l’azienda può procedere al licenziamento senza giustificarne il motivo; 
  • in presenza dell’età pensionabile non vi sono vincoli che bloccano il passaggio successivo che porta a continuare l’attività lavorativa, se non è presente una delle cause che portano alla risoluzione del contratto di lavoro o, ancora, di recesso dello stesso.  

 Quando scatta il pensionamento forzato?

Nel primo paragrafo abbiamo spiegato per sommi capi la distinzione tra rapporto privato e pubblico, per far comprender l’innesco delle diverse regole previdenziali. Infatti, nella P.A. per i lavoratori cambiano le disposizioni presenti nell’ordinamento previdenziale. 

Per i dipendenti pubblici è facile ritrovarsi dinanzi a diversi eventi. Sicuramente l’Amministrazione dovrà decidere se far scattare la cessazione del servizio, se il dipendente pubblico ha acquisito il diritto alla pensione, ma non possiede il requisito anagrafico ordinamentale che sommariamente porta a 65 anni di età.  

Come potrebbe azionarsi immediatamente la cessazione dal servizio del dipendente pubblico che ha acquisito sia il diritto alla pensione che quello anagrafico.

Discorso diverso, se il dipendente pubblico richiede all’Amministrazione il trattenimento in servizio per non aver maturato il diritto alla pensione. In questo caso, può continuare a lavorare fino al raggiungimento dell’età di 71°. 

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