Case green, l’Europa ci ripensa? I punti critici della Direttiva

La questione della Direttiva Case Green potrebbe influenzare non solo gli esiti delle prossime elezioni europee, ma anche il destino delle famiglie.

La Direttiva Case Green è tutto meno che assicurata. In vista delle prossime elezioni europee, l’attuale Parlamento (e così le forze politiche che lo insediano) temono in un effetto boomerang se approvano la Direttiva nella sua attuale versione.

In molti la giudicano troppo rigida e dannosa per diverse economie europee, anche avanzate. Inoltre, rimanere sordi alle richieste da parte dei propri partner di modificarla e renderla più elastica potrebbe risultare controproducente, almeno a livello di rielezione politica.

Per questo l’Europa ci sta ripensando alla Direttiva, anche perché di punti critici non ne mancano.

Case green, l’Europa ci ripensa? I punti critici della Direttiva

Non mancano nella Direttiva Case Green (COM 2021/802) i punti critici, ovvero quelli che potrebbero fare più male che bene alle diverse economie europee.

Se non a veri e propri settori strategici, come l’edilizia. Pensiamo al blocco delle vendite o degli affitti per gli immobili che hanno ancora una classe energetica inferiore a D. Entro il 2033 tutte le abitazioni site nel proprio paese dovranno raggiungere la classe D. Una specie di diktat, soprattutto per gli immobili storici, che difficilmente potranno essere ottimizzati.

Ben oltre il 70% delle strutture residenziali italiane è sotto la categoria D, secondo il SIAPE (Sistema informativo degli Attestati di prestazione energetica).

Sebbene la categoria E sarebbe protetta fino al 2030 dalla Direttiva Case green, entro il 2033 il rischio di uno stock edilizio potrebbe essere sempre più realistico, andando così a colpire oltre 12 milioni di edifici.

Edifici che sono di proprietà di famiglie, non di multinazionali. Come ha fatto notare Danilo Lancini, parlamentare europeo della Lega in un’intervista a Verità&Affari, gli oneri ricadrebbero sulle famiglie, che possono contare anche disoccupati, pensionati o famiglie comunque con redditi insufficienti per sostenere spese faraoniche come un efficientamento energetico.

Diversamente, nei paesi del nord Europa le abitazioni non sono di proprietà di chi ci vive, ma di multinazionali che non hanno certo problemi a fare ristrutturazioni.

Corollario della Direttiva Case Green è anche l’eliminazione delle caldaie a gas dal 2025, in favore di pompe di calore a bassa emissione energetica. Un altro salasso per le famiglie, dal momento che con l’aumento delle richieste queste ultime hanno visto crescere il prezzo in maniera esponenziale.

Che cosa ha deciso la Commissione europea per le case green

Che in parte l’Europa ci stia ripensando è abbastanza ovvio. Il 31 agosto se ne tornerà a parlare durante il secondo incontro formale tra i rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione per arrivare a una mediazione su un testo condiviso.

Il primo confronto tra le varie istituzioni europee, avvenuto il 6 giugno, aveva portato al via libera della Direttiva Case Green, già concordata a marzo. Ma non c’era stato alcun dibattito in merito alla calendarizzazione ufficiale delle scadenze per gli attestati, così come la revisione del sistema stesso.

Con le dimissioni di Frans Timmermans dalla carica di Vicepresidente della Commissione europea, per correre alle elezioni olandesi, si cerca nel suo sostituto Maroš Šefčovič una personalità che possa guidare la situazione incandescente della Direttiva in modo da garantire equità e ragionevolezza.

Il timore però è che si andrà invece in una radicalizzazione dei parametri, rendendoli molto stringenti per definire i fabbricati a zero emissioni. Tutto ciò non farà altro che complicare la situazione.

Inoltre si farà poco accenno ad altri punti critici, come quello della fiscalità. Parliamo delle agevolazioni fiscali e dei fondi, sui quali la direttiva contiene per ora solo delle affermazioni di principio, così come l’utilizzo delle caldaie (compresi i sistemi ibridi) e tutto il pacchetto di deroghe ed eccezioni a beneficio dei paesi membri.

Tutte parti secondarie però di una Direttiva che potrebbe essere un problema enorme per il nostro settore immobiliare.

Cosa succede nel 2030 per le case non green

Supponiamo che sia nell’incontro del 31 agosto, sia nel prossimo fissato ad ottobre, la Commissione Europea decida di non modificare nulla della Direttiva Case Green (a suo rischio e pericolo politico).

L’Italia si ritroverebbe a dover progettare nel prossimo decennio un Piano Case unico nel suo genere, di decine di miliardi di euro, forse superiore all’attuale offerta di bonus fiscali e Superbonus vari.

Difficilmente si potranno rinnovare gli immobili storici, e anche quelli più recenti, secondo Guido Lena di Confartigianato Lombardia, sarebbero ostici da ristrutturare entro il 2027, anche se ci si limitasse a tutti gli edifici pubblici. Accelerare le opere porterebbe a una mancanza di personale e materiali, che già si sta vivendo con l’attuale Superbonus.

Quest’ultimo, inoltre, andrebbe riformato garantendo cessione del credito e copertura del 100% per i condomini popolari e le fasce con minor reddito. A sua volta andrebbe non solo stabilizzato, ma anche semplificato e garante di nuove detrazioni, cosicché gli italiani non dovrebbero temere né i costi delle ristrutturazioni, né una svalutazione del loro patrimonio edilizio.

E questo per mettere in ordine abitazioni che sono responsabili solo dello 0,06 delle emissioni di CO2 a livello globale. Con l’Europa che produce solo 7,8% delle emissioni di CO2 nel mondo.

Constatando già i costi esorbitanti del Superbonus, l’unica soluzione sarebbe quella o di un vero e proprio ripensamento dell’Europa, magari sostenendo un piano circostanziato sulle modalità, sui costi effettivi da sostenere, sul numero esatto di edifici da risanare, sugli edifici che richiedono interventi più urgenti. O al limite una nuova calendarizzazione: non più il 2030-2033, ma il 2050.

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