Al via il Patto di stabilità, solo l’Italia non lo vota: ecco perché e cosa prevede

Il nuovo Patto di Stabilità e Crescita, approvato dal Parlamento europeo, introduce importanti cambiamenti per la gestione del debito pubblico nei Paesi membri dell'Ue. Ecco cosa prevede e perché il centrodestra italiano si è astenuto.

Il Parlamento europeo ha approvato il nuovo Patto di Stabilità e Crescita, segnando una svolta significativa nella gestione fiscale dei paesi membri dell’Unione Europea. Questo nuovo accordo, che sostituisce le precedenti normative sospese nel marzo 2020 a causa della pandemia, introduce criteri meno restrittivi e più flessibili per la riduzione del debito pubblico, oltre a promuovere investimenti strategici per la crescita sostenibile.

Patto di stabilità, una nuova era di regole fiscali: cosa prevede?

Sotto il nuovo Patto di stabilità, i Paesi membri dell’Unione Europea che presentano un debito pubblico superiore al 90% del loro Prodotto Interno Lordo (PIL) sono ora tenuti a intraprendere misure per ridurre il loro debito di almeno un punto percentuale all’anno. Questo obiettivo si pone nel contesto di un rafforzamento delle regole fiscali, volto a garantire una maggiore stabilità economica e a prevenire future crisi finanziarie. Per i paesi con un debito compreso tra il 60% e il 90% del PIL, il patto richiede una riduzione annuale dello 0,5%, una soglia meno severa rispetto ai paesi più indebitati ma comunque significativa per promuovere una disciplina fiscale sostenibile.

In aggiunta a queste misure di riduzione del debito, il patto stabilisce che tutti i membri dell’UE debbano mantenere un cuscinetto fiscale pari ad almeno l’1,5% del PIL al di sotto del limite di deficit del 3% tradizionalmente accettato. Mentre nel primo trimestre del 2024 il Pil in Italia ha registrato una crescita dello 0,3%, questa disposizione è pensata per creare un margine di sicurezza che possa proteggere le economie nazionali in tempi di congiunture economiche avverse. L’obiettivo è anche quello di accumulare riserve attraverso un aggiustamento annuale dello 0,4% del PIL nei piani di bilancio quinquennali. Tale percentuale può essere ridotta allo 0,25% nei piani più estesi di sette anni, fornendo così una certa flessibilità a seconda delle condizioni economiche e delle specifiche necessità di ogni paese.

Queste nuove regole riflettono un tentativo dell’Unione Europea di bilanciare la necessità di mantenere la disciplina fiscale con la realtà di un ambiente economico globale che è in costante evoluzione. Attraverso l’imposizione di tali normative, l’UE mira a rafforzare la resilienza economica dei suoi membri e a promuovere una crescita sostenibile che possa beneficiare tutte le nazioni dell’unione nel lungo termine.

Il centrodestra italiano si astiene

Il nuovo Patto di stabilità ha ricevuto il via libera del Parlamento europeo, ottenendo un totale di 359 sì, 166 no e 61 astensioni. Ad aver fatto un passo indietro sono stati soprattutto gli eurodeputati italiani: il centrodestra, Lega inclusa, si è astenuta sul testo negoziato dal suo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. La riforma della governance economica era stata approvata a dicembre 2023 dal Consiglio europeo e, nei mesi sucessivi, era stato raggiunto un accordo tra governi, Commissione ed Eurocamera. Eppure, sul più bello, non sono mancati imbarazzi. A commentare con ironia il risultato finale è stato il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni. “Abbiamo unito la politica italiana“, ha detto l’ex premier ed esponente del Pd.

Maggiore flessibilità e sostenibilità

Queste nuove misure del patto di stabilità sono concepite per essere meno onerose rispetto al vecchio requisito che imponeva ai paesi di ridurre il debito di un ventesimo dell’eccesso oltre il 60% ogni anno. Il nuovo schema permette anche deviazioni dal percorso di spesa netta dello 0,3% del PIL annuale e dello 0,6% cumulativo durante il periodo di monitoraggio, offrendo così maggiore manovrabilità nei periodi economicamente turbolenti.

Focalizzazione sugli investimenti

Una caratteristica distintiva del rinnovato Patto di stabilità è l’esclusione dei cofinanziamenti nazionali per i programmi finanziati dall’UE dal calcolo della spesa governativa. Questa modifica mira a facilitare gli investimenti in ambiti cruciali come la transizione ecologica e la digitalizzazione, sostenendo gli obiettivi a lungo termine dell’UE senza penalizzare i bilanci nazionali.

Reazioni politiche e implicazioni per l’Italia

La decisione ha scatenato un vivace dibattito in Italia, con reazioni contrastanti tra i leader politici. L’ex premier Giuseppe Conte ha criticato aspramente l’approvazione del patto, accusando il governo di Giorgia Meloni di aver tradito le promesse elettorali e di aver sostenuto un pacchetto di misure che, a suo dire, danneggia l’Italia. Al Parlamento europeo, la maggior parte delle forze politiche italiane, comprese Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e il Partito Democratico, si sono astenute, mentre i Verdi e il Movimento 5 Stelle hanno espresso il loro dissenso.

L’Europa e il futuro della politica fiscale

Questo nuovo accordo rappresenta un compromesso tra la necessità di mantenere la disciplina fiscale e quella di stimolare la crescita attraverso investimenti strategici. Paolo Gentiloni, Commissario europeo per l’Economia, ha espresso soddisfazione per il risultato, sottolineando che il compromesso raggiunto è un segno positivo di unità e adattabilità nell’UE.

Il nuovo Patto di Stabilità e Crescita segna un momento cruciale per l’Unione Europea nel suo complesso e per l’Italia in particolare. Offre una visione più equilibrata e flessibile della gestione fiscale, riconoscendo la necessità di investire nel futuro pur mantenendo un’impostazione responsabile. Sarà essenziale monitorare l’attuazione di queste politiche nei prossimi anni per valutare il loro impatto reale sulle economie europee.

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