La solitudine fa male come 15 sigarette al giorno, accorcia la vita: cosa si può fare

Si tratta di una vera emergenza sanitaria, iniziata prima della pandemia. Ecco perché la solitudine fa male come 15 sigarette al giorno e cosa fare.

Possibile che c’è chi parla della solitudine come di una nuova emergenza sanitaria? Ebbene sì e a lanciare l’allarme è addirittura il governo della California.

E i primi dati preoccupanti si registravano in merito anche prima della pandemia.

Cosa ci succede? E come possiamo fare per non morire di solitudine?

Che problemi porta la solitudine

Quando si parla di salute e di mantenersi in forma, man mano che si va avanti con gli anni, gli argomenti di discussione principali -c’è da scommetterci- riguardano sempre lo stile di vita sano (no fumo, no alcol), l’attività fisica, l’alimentazione corretta.

E 9 volte su 10, il dibattito si ferma qui.

Ma gli studi che presentiamo in questo articolo mostrano una realtà ben diversa. Di solitudine ci si ammala, si soffre e si muore perfino.

Non parliamo necessariamente delle persone che vivono da sole, bensì di quelle che sono sole e si sentono “impazzire” a stare sempre a casa senza contatti.

Fumeresti da domani mattina 15 sigarette al giorno o berresti 6 bicchieri di vino? Se la risposta è no (giustamente), devi però correre subito ai ripari anche se soffri di solitudine.

I rischi sono identici.

La solitudine fa male come 15 sigarette: lo studio

Come accennato in apertura dell’articolo, lo studio proviene dalla California, nello specifico dalla Contea di San Mateo, che si trova sulla baia di San Francisco.

Il messaggio, che sta avendo la risonanza che merita, per la prima volta arriva ufficialmente da un governo locale che non solo mette in guardia dalla problematica, bensì si attiva per trovare delle soluzioni.

Infatti, a tal fine è già stato previsto lo stanziamento di 47 milioni di dollari che serviranno a finanziare:

  • parchi per attività comuni

  • potenziamento dei trasporti pubblici

  • istituzione di aspettative pagate per i lavoratori (per favorire il tempo libero)

  • costruzione di nuove biblioteche con attività sociali.

In sostanza, il messaggio che si vuole far passare è che ci sono tante persone che si trovano nelle stesse identiche situazioni ma che invece credono di essere le uniche e si chiudono in casa, con la loro solitudine.

Questi luoghi di aggregazione perseguono dunque proprio l’obiettivo di farli uscire e favorire le occasioni di incontro.

Anche a New York è stato istituito un ambasciatore onorario per la lotta contro la solitudine, sulla scia già di altri esempi importanti che provengono dal Regno Unito e dal Giappone.

Qui ci sono veri e propri ministri preposti a tale questione di sanità pubblica.

I segnali arrivavano già prima della pandemia ma la situazione oggi è precipitata.

E purtroppo la solitudine è diventata una delle principali cause di morte prematura come il fumo, tra l’altro entrambe prevenibili.

Quando la solitudine diventa pericolosa

I soggetti più a rischio sono gli anziani. Come riporta uno studio recentemente condotto dall’Università di Glasgow, la solitudine è uno dei fattori di rischio maggiori per la mortalità della popolazione anziana.

Ma quando si può affermare che la solitudine passa i livelli di guardia e diventa pericolosa?

Riportando le parole di Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf) e direttore emerito di psichiatria all’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano, la solitudine nasce dalla discrepanza tra il livello di connessione sociale che un individuo desidera, e vorrebbe avere, e quella che invece ha.

Tale solitudine effettiva è spesso correlata a fattori come la povertà, la disoccupazione che spingono all’isolamento sociale.

E tante persone non hanno nessuno con cui confidarsi.

Afferma Mencacci, riportando dati Istat

In Italia, tra le persone con più di 75 anni, quasi il 40% non ha parenti o amici a cui riferirsi in caso di bisogno.

E ad essere maggiormente esposte a isolamento e disconnessione sociale sembrano essere proprio le donne.

Il salvavita contro la solitudine che uccide sono dunque proprio loro: le relazioni sociali.

Cosa si fa quando si è soli

Come attivarsi dunque, per sconfiggere questo male, connettersi con il mondo esterno e avere la possibilità di fare qualche telefonata di conforto, quando il momento lo richiede?

Innanzitutto è importante scongiurare subito l’equivoco. Avere “amicizie” sui social non è definibile come relazione sociale.

Si tratta solo di contatti, utili spesso per il passaparola o per un confronto su alcune tematiche di carattere generale ma che nulla hanno a che vedere con il contatto diretto con una persona, occhi negli occhi.

La relazione virtuale è fittizia perché non c’è crescita a livello personale ma solo una patina da mostrare agli altri (e si mette in mostra solo ciò che si vuole far vedere).

Per questo è importante l’incontro con gli altri. Non c’è bisogno entrare subito in stretta intimità. Le relazioni si coltivano nel tempo, si creano legami di rispetto e stima reciproca e poi di confidenza.

Già dopo due chiacchiere la salute migliora, ci si sente diversi, si mettono in gioco sensazioni ed emozioni che fino a quel momento non c’erano.

Parole inaspettate, una riflessione, un consiglio da un’ottica differente, una prospettiva diversa. E perché no, qualche sana risata.

Cosa fare? Ecco qualche suggerimento:

  • uscire, anche solo per pochi passi al sole: spesso si incontrano per strada persone che si erano perse di vista

  • iscriversi in palestra, in gruppi omogenei più vicini alla nostra età

    visitare i posti che abbiamo sempre desiderato vedere

  • semplicemente andare a una mostra o a una rassegna cinematografica o teatrale

  • partecipare a gite organizzate, come spesso avviene ad esempio nelle comunità parrocchiali

  • invitare qualcuno per un caffè o un thè insieme.

Infine, adottare un animale domestico è un vero toccasana contro la solitudine. E tra l’altro diventa motivo di nuove conoscenze, quando si porta a spasso.

Fa male dormire con il proprio gatto o cane? La verità.

Natalia Piemontese
Natalia Piemontese
Consulente lavoro online e professioni digitali, classe 1977. Sono Natalia, Piemontese di cognome, pugliese di nascita e calabrese d'adozione. Laureata in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Bari, ho conseguito un Master in Selezione e Gestione delle risorse umane. Mamma bis, scrivo sul web dal 2008. Sono specializzata in tematiche del lavoro, business nel digitale e finanza personale. Responsabile del blog #mammachebrand, ho scritto un e-book "Mamme Online, come gestire casa, lavoro e figli".
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