Ecco 3 modi in cui il welfare sta salvando i posti di lavoro

Ecco 3 modi in cui il welfare sta salvando i posti di lavoro.Leggi l'articolo e scopri come l'Italia sta contrastando il fenomeno della great resignation!

Ad oggi il ricorso allo strumento del welfare aziendale si sta dimostrando una strategia efficace per contrastare le conseguenze negative che la crisi pandemica ha portato in ambito lavorativo sia per quel che attiene aspetti pratici, si pensi ad esempio allo smart working, sia per quel che riguarda invece aspetti più propriamente psicologici.

Molti sono infatti questi lavoratori che sull’onda della crisi prodotta dal Covid, hanno rimesso in discussione le loro priorità di vita, i loro obiettivi, tanto che molte sono state anche le dimissioni.

In America in effetti il fenomeno ha avuto portata tale che si è coniato il neologismo “great resignation” a voler indicare il fenomeno delle dimissioni di massa che si è avuto negli Usa a seguito proprio delle pesanti conseguenze psicologiche che la pandemia ha portato con sé.

Ecco perché, in questo senso, il ricorso ad un sistema adeguato di welfare aziendale in un momento così delicato può rivelarsi davvero un’utile strategia per contrastare tale fenomeno che si sta presentando anche in Italia.

Welfare aziendale: come poterlo misurare, il welfare index

In effetti alla possibilità di utilizzare il welfare aziendale come strumento di misura di tipo qualitativo è stato dedicato il forum «Welfare for people» che è stato organizzato da Intesa San Paolo e dalla scuola di alta formazione Adatpt, questo nella più ampia visione di una riorganizzazione del lavoro in cui al centro ci sia la persona.

In effetti, i vari analisti sono riusciti a definire un welfare index, ossia un insieme di parametri che valutati complessivamente, consentono di definire o meno la vicinanza dell’insieme delle misure di fringe benefit adottate all’interno dell’azienda con quello che è un vero e proprio sistema di welfare aziendale.

Dall’analisi periodica di questo indice si può definire il maggiore o minore scostamento dal sistema di welfare aziendale, e dunque porre in essere le azioni correttive sia a livello di singola azienda, ma anche a livello di settore produttivo e di territorio.

Welfare aziendale e welfare index: quali parametri

Ad oggi manca una decisa definizione giuridica di welfare aziendale e di fatto in questo forum si è cercato di mettere insieme tutte le misure che sono relative al welfare raggruppandole per tipologia di prestazioni offerte. Nello specifico si sono individuate le seguenti categorie di prestazioni:

-previdenza complementare;

-assistenza sanitaria integrativa;

-assistenza e cura dei familiari;

-assicurazioni;

-istruzione/educazione, formazione;

-tempo libero e attività ricreative,

-buoni acquisto, buoni pasto, e mensa;

-trasporto collettivo,

-flessibilità organizzativa.

Come si può ben vedere, le prestazioni sono state distinte tra quelle che hanno natura prettamente redistributiva e sociale con destinatari prevalenti lavoratori e /o famiglie, e quelle che hanno invece, una specifica importanza a livello economico e produttivo.

Ancora, nell’intento di codificare le misure di welfare aziendale, si è fatta la distinzione tra welfare occupazionale e welfare aziendale propriamente detto.

Con il primo termine ci si riferisce all’insieme dei servizi e prestazioni che lo stesso datore di lavoro dà ai propri dipendenti e che derivano immediatamente dal contratto di lavoro stipulato direttamente tra le parti.

Per approfondire consigliamo la visione del seguente video tratto dal canale (663) Pierpaolo D’Andria Consulente del Lavoro – YouTube.

Welfare aziendale propriamente detto: che cosa è

Il welfare aziendale propriamente detto comprende invece l’insieme delle politiche che possono incidere in modo più significativo sia sull’organizzazione che sull’apparato produttivo di un’impresa e comprende l’insieme dei beni e servizi che l’azienda va a riconoscere ai propri lavoratori oltre alla normale retribuzione.

Normalmente questi servizi vengono riconosciuti ai propri dipendenti a titolo completamente gratuito oppure a prezzi comunque più bassi rispetto a quelli di mercato.

Si tratta dunque di benefici addizionali attraverso i quali i datori di lavori vogliono raggiungere un duplice risultato, o migliorare le condizioni lavorative all’interno dell’azienda creando un clima che tenga conto delle esigenze di ciascun lavoratore e al contempo ottenere dei benefici fiscali da parte dello stato.

Ritenuti fino a poco tempo fa quasi un’esclusiva prerogativa delle grandi aziende, oggi quelli che vengono comunemente definiti fringe benefit sono diventati anche di uso comune all’interno di piccole e medie imprese comprendendo come il loro utilizzo possa essere un utile strumento che possa consentire dei ritorni maggiori in termini di benessere al dipendente ma in termini di competitività anche alla stesa impresa.

Rientrano tra questi benefici ad esempio le auto aziendali, i buoni benzina e i buoni pasto, l’abbonamento per i mezzi di trasporto, l’alloggio, le borse di studio e l’asilo nido per i figli, oppure prestiti che possono essere concessi ai dipendenti a tassi agevolati e così via.

Possiamo dire che sono stati senza dubbio proprio tre i benefit aziendali concessi durante la pandemia e nel periodo immediatamente successivo, che hanno consentito di evitare quella ondata di licenziamenti che ha investito ad esempio gli USA.

Welfare aziendale e pandemia: un quadro d’insieme

In effetti, è proprio durante la pandemia che il ricorso al sistema del welfare aziendale ha aiutato l’intero sistema produttivo a superare le fasi più critiche.

Diversi infatti sono stati gli interventi e i benefit riconosciuti ai vari lavoratori che di fatto hanno consentito quella maggiore flessibilità sia negli orari che nell’organizzazione, che hanno consentito alle famiglie di conciliare maggiormente gli aspetti della vita privata con quella lavorativa specie nei periodi più bui della crisi pandemica.

Le condizioni di estrema difficoltà e necessità infatti, hanno inevitabilmente posto l’attenzione sul bisogno di servizi di natura assistenziale che rispondessero alle esigenze estremamente particolari connessi al delicato momento che si stava vivendo.

In effetti a questo scopo, molteplici sono stati i cambiamenti che la pandemia ha portato al tema del welfare aziendale, perché differente è stata la tipologia di prestazioni destinate alle famiglie. Maggiore infatti sono state le richieste da parte delle famiglie di prestazioni di tipo assistenziali che hanno preso il posto di servizi di altra natura quali viaggi, servizi ricreativi, attività di svago e così via.

Il sostegno alle famiglie è aumentato e con esse i servizi erogati in favore delle persone più anziane quali anziani, disabili e figli. Il tutto è stato possibile anche perché tutte queste politiche di welfare sono state il frutto di accordi intervenuti con le parti sociali e comunque attraverso il riconoscimento di particolari premi in favore dei datori di lavoro.

Nello specifico bisogna ricordare che a norma di quanto stabilisce l’art.51 del Tuir, per le aziende sono completamente esenti da tasse tutte le prestazioni di natura assistenziali che vengono fatte in favore di nuclei familiari con persone anziane o non autosufficienti.

Identico trattamento fiscale hanno anche tutte quelle prestazioni che possono essere date in favore delle famiglie tramite lo strumento dei voucher quali ad esempio prestazioni di tipo psico-terapeutico, servizi-socio-assistenziali, assistenza domiciliare o infermieristica.

Welfare aziendale e smart working: i cambiamenti

Oltre all’erogazione di prestazioni di natura assistenziale, il secondo elemento di welfare aziendale a cui si è fatto maggiormente ricorso in piena crisi pandemica, è stato il lavoro da remoto.

Attraverso questo lavoro di tipo agile le aziende sono riuscite a contenere il numero delle dimissioni diventando a tutti gli effetti una nuova modalità di organizzare l’attività lavorativa, ridividendo obiettivi e competenze mettendo l’individuo al centro di tutto.

Il fatto che tutta l’attività lavorativa si sia svolta da casa, indubbiamente poi ha cambiato le abitudini dei lavoratori che hanno rinunciato alla classica pausa pranzo nei ristoranti o bar con la conseguenza che molti dei buoni pasto sono stati convertirti in buoni spesa per poter contribuire alla spesa familiare.

La flessibilità nel mutare la tipologia di benefit in un’altra che rispondesse maggiormente alle esigenze dei lavoratori, è stata anch’essa la chiave di successo affinché si potesse arginare il numero delle dimissioni.

Questa possibilità di convertire i buoni pasto in buoni spesa, è stata una scelta lasciata alla discrezionalità dei datori di lavoro ma di fatto, si è consolidata come una vera e propria prestazione di natura del tutto assistenziale che si innestata completamente a latere della retribuzione.

In effetti, abbiamo detto, che il ricorso a tutta una più ampia gamma di fringe benefit da parte delle aziende in favore dei propri dipendenti, è stato anche reso possibile in virtù del fatto che questi hanno potuto godere per il biennio 2020-2021, di una particolare agevolazione nel senso che, si è allargato di tanto, il numero dei benefici per i quali si è potuto usufruire di una completa detassazione.

Tale soglia di detassazione per i fringe benefit aziendali per questo biennio è stata fissata infatti in 516,46 euro, tuttavia oggi, per il 2022, le cose sono leggermente cambiate.

Nonostante le pressioni delle forze politiche a che questa esenzione fiscale di tipo “allargato” per i fringe benefit venisse estesa anche per l’anno in corso, la legge di Bilancio 2022 ha completamente escluso tale possibilità.

Ad oggi dunque, il limite dei benefici e servizi che possono essere erogati dalle aziende in forma di fringe benefit è esentata per un valore massimo di 258,23 euro, ritornando ai livelli pre-pandemici e secondo quanto definiscono le norme in tema di welfare aziendale.

Welfare aziendale e dimissioni: lo stato attuale

Ad oggi volendo fare il punto della situazione, in un momento in cui sembra che la parte più acuta della crisi pandemica sia alle spalle, almeno in Italia la volontà di dimettersi dal proprio posto di lavoro è più contenuta che in altri paesi.

Sono infatti il 56,2%, i lavoratori che non vogliono cambiare nella convinzione che non possano trovare altrove condizioni migliori, anche se rispetto ai primi soli nove mesi del 2021 si è avuto un incremento delle dimissioni del 29,7% rispetto al 2020, anno per il quale invece le dimissioni facevano registrare una flessione al ribasso notevole, pari al 18% rispetto al precedente 2019.

Tuttavia, bisogna non lasciarsi ingannare dai numeri sopra indicati perché studi rivelano che l’82,3% dei lavoratori complessivi – l’86% se ci riferiamo ai giovani, l’88,8% se consideriamo gli operai – si ritiene insoddisfatto del proprio lavoro.

Pertanto ciò che oggi sostanzialmente frena nel dare le dimissioni e nel cercare occupazioni più gratificanti, non è la soddisfazione di quanto si ha, quanto piuttosto la paura di lasciare qualcosa di certo per trovarsi incastrati nella precarietà del nostro mondo del lavoro estremamente complicato e poco reattivo.

D’altro canto, a fronte di questi lavoratori fortemente insoddisfatti, ci sono le imprese che per una percentuale quasi pari al 72%, si dichiarano pronte ad adottare tutti gli strumenti di welfare necessari affinché l’ambiente di lavoro possa risultare il più soddisfacente possibile e più in linea con i bisogni dei lavoratori.

In effetti è ormai da tempo superata la visione per cui il solo aspetto retributivo, seppur appetibile, possa bastare a far sentire un lavoratore completamente appagato e stimolato.

Ciò che sarà fondamentale per il futuro sarà creare un ambiente in cui la produttività vada di pari passo con il benessere dei lavoratori che tra l’altro, è stato dimostrato, aumenta e raggiunge picchi di eccellenza dove i sistemi di welfare sono migliori e dove i rapporti sia con il capo che con i colleghi, è basato su empatia e gentilezza.

Welfare aziendale e la “well – being culture”

Alla luce di quanto sopra detto dunque, si vede chiaramente come la sfida che il mondo del lavoro deve vincere in questo momento per compiere davvero un decisivo passo in avanti, è quello di creare sempre più un sistema di welfare che si basi su iniziative che abbiano come oggetto il benessere del dipendente allo scopo di aumentarne la fidelizzazione e dunque la produttività.

Si tratta di creare e sviluppare quella “well-being culture” che si basi su benefit costituti da beni e servizi che riguardino il benessere della vita del lavoratore a 360 gradi, stigmatizzando la vecchia convinzione che un posto di lavoro venga preferito sulla base solo della retribuzione offerta.

Sarà necessario valorizzare il contesto aziendale nel suo insieme se si vorrà essere competitivi sul mercato ed in grado di attrarre anche le competenze migliori in termini di risorse umane.

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