Agenzia delle Entrate: quanto può pignorare?

Tutti sappiamo che l'Agenzia delle Entrate è avida. Soprattutto quando è tempo di pignorare lo stipendio, la pensione o i soldi sul conto corrente.

Tutti sappiamo che l’Agenzia delle Entrate è avida. Soprattutto quando è tempo di pignorare lo stipendio, la pensione o i soldi sul conto corrente. Ma fino a dove si possono spingere gli ispettori del fisco? Sappiamo bene che nemmeno la stessa Agenzia delle Entrate può molto sulla prima casa: non la può toccare, sempre che questa non sia di lusso. O che il contribuente, oltre a quella determinata abitazione, ne sia proprietario di un’altra.

Se, invece, si guarda alla pensione, al conto corrente o allo stipendio vigono precise e determinate regole. Scopriamo quanto può realmente pignorare l’Agenzia delle Entrate. Fino a dove può mettere mano ai redditi che il contribuente percepisce e fino a dove può arrivare a bloccarli.

Agenzia delle Entrate: quando può pignorare!

Quando scatta il rischio pignoramento? È sufficiente non aver pagato le tasse? No, calma. Non è sufficiente dimenticarsi il pagamento dell’Iva o dell’Irpef una volta, perché l’Agenzia delle Entrate possa pignorare i nostri beni. Prima che questo possa accadere sono necessari alcuni fondamentali passaggi. Il primo, ma molto importante, passo è quello della notifica dell’avviso di accertamento, che deve essere riferito all’imposta che non è stata pagata. Non importa a quale tributo ci si stia riferendo: Imu, Tari, bollo auto o Irap.

Nel caso in cui il contribuente dovesse continuare a far orecchie da mercante e continuare a non pagare, la pratica passa direttamente all’ufficio per la riscossione esattoriale. Questo ruolo lo ricopre l’Agenzia Entrate Riscossione, che si occupa delle imposte statali. Per quelle locali, generalmente Comuni e Regioni si avvalgono di società private convenzionate.

A questo punto all’esattore viene inviato il cosiddetto ruolo, che altri non è che un documento che indica l’importo che il contribuente dovrà pagare, con il relativo anno di riferimento. Il passo successivo è la notifica di una cartella esattoriale, che farà scattare l’obbligo di pagamento entro e non oltre 60 giorni. Nel caso in cui l’avviso di accertamento, che è stato emesso dalla stessa Agenzia delle Entrate, fosse provvisoriamente esecutivo, l’Esattore provvederà a notificare una lettera di presa in carico.

Dopo che siano passati almeno 60 giorni dalla notifica, l’Esattore avrà la possibilità di procedere con la riscossione e quindi con il pignoramento. L’esattore, comunque, non potrà far passare più di anno: se lo dovesse far trascorrere, è tenuto a notificare un sollecito, in mancanza del quale l’esecuzione forzata risulterebbe illegittima. In realtà, dalla notifica della cartella all’effettivo pignoramento trascorrono mesi, se non addirittura anni.

Agenzia delle Entrate, quali sono i limiti del pignoramento!

Per fortuna, però, ci sono alcuni limiti ai quali l’Agenzia delle Entrate deve sottostare, quando deve effettuare dei pignoramenti. Limiti e tutele, comunque, che valgono unicamente nei confronti di quanti percepiscano una pensione od uno stipendio da lavoro dipendente. In questo caso la normativa è abbastanza chiara: a questi soggetti deve essere garantita la sussistenza. Questa regola vale quando ad essere oggetto del pignoramento sono le somme che derivano da una pensione o dai pagamenti di un datore di lavoro.

Gli altri redditi, invece, non sono tutelati. L’Agenzia delle Entrate avrà la possibilità di pignorare completamente i redditi o il conto corrente. Giusto per fare un esempio: nel caso in cui il debitore stia incassando un canone d’affitto su un appartamento dato in locazione, può vedersi pignorata l’intera mensilità che versa l’inquilino.

Ma torniamo allo stipendio (o alla pensione). Quanto può pignorare l’Agenzia delle Entrate? Può arrivare a mettere mani su questi importi:

  • per le mensilità inferiori a 2.500 euro: un decimo;
  • per le mensilità comprese tra 2.501 e 5.000 euro: un settimo;
  • per le mensilità superiori a 5.001 euro: un quinto.

Queste quote devono essere calcolate sul netto dell’intero stipendio. Quindi se sullo stipendio vi è una precedente trattenuta del quinto, il pignoramento si calcola come se tale cessione non esistesse e quindi non sull’effettivo stipendio percepito dal lavoratore, ma su quello che avrebbe percepito se tale cessione non ci fosse. 

Ragionamento molto simile vale per le pensioni, dalle quali, però, deve essere tolto il minimo vitale, che è pari ad una volta e mezzo l’assegno sociale. Per il 2022 questo importo è pari a 702,15 euro. Quindi potranno essere pignorate solo le cifre che superano questo limite.

Conto corrente, ecco quando può essere pignorato!

Nel caso in cui il conto corrente sia quello d’appoggio sul quale viene pagata la pensione o lo stipendio, la normativa prevede che ci siano dei limiti di pignoramento. Sempre, però, che non vi siano dei versamenti che derivano da altri tipi di reddito. In tal caso, per quanto riguarda i risparmi già presenti sul conto alla data di notifica del pignoramento, questi possono essere pignorati solo per la parte che eccede il triplo dell’assegno sociale ossia 1.404,30 euro (468,10 x 3 = 1.404,30). 

Questo significa che se contribuente sul conto corrente si ritrova con solo 1.000 euro, in quanto questa cifra era già depositata alla data del pignoramento, questo non può essere pignorato. Se invece presenta un saldo di 2.000 euro, si possono pignorare solo 595,70 euro (pari alla differenza tra 2.000 e 1.404,30).

Pierpaolo Molinengo
Pierpaolo Molinengo
Giornalista. Ho una laurea in Materie Letterarie, conseguita presso l'Università degli Studi di Torino. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin dal 2002, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, fisco, tasse e tributi, diritto, economia e finanza.
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