Quante e quali sono le accise che si pagano nel prezzo della benzina

Col prezzo della benzina ormai sopra i 2 euro, viene da chiedersi quante e quali sono le accise che tocca pagare ad ogni pieno di carburante.

Ormai il prezzo della benzina viaggia intorno ai 2 euro. Ma se non esistessero né le accise né l’IVA sui carburanti, praticamente pagheresti la metà.

Perché a livello europeo siamo tra i paesi col peso fiscale sui carburanti più alto di sempre. La pletora di accise sulla benzina è tale da portare il prezzo della benzina a cifre quasi irrealistiche, al punto che chi si trova al confine più volte fa rifornimento all’estero.

Purtroppo sono tasse necessarie per il mantenimento dei servizi pubblici, dato che parliamo di imposte che, a fine anno, garantiscono decine di miliardi di euro per l’erario.

Quante sono le accise che si pagano nel prezzo della benzina

Ufficialmente le accise sulla benzina sono ben 19, emesse da metà degli anni Trenta del ventesimo secolo al 2014. Per la precisione:

  • 4 sono servite per finanziare operazioni o partecipazioni militari;

  • 9 sono servite per coprire i danni di cataclismi o eventi straordinari;

  • 6 sono servite per sostenere progetti o attività statali.

Va detto però che stando al decreto Legislativo 504 del 1995 sono state tutte unificate in una unica somma unitaria, che finanzia le casse dello Stato nel complesso tramite una sola aliquota.

Un’aliquota che però non è la stessa per tutti i carburanti. Se nel prezzo della benzina le accise rappresentano il 38% del costo totale e l’IVA il 18%, per chi deve fare il pieno alla propria auto diesel avrebbe da corrispondere solo il 35% in accise e il 18% in IVA.

Chi risparmia di più sono i proprietari di auto GPL e Metano: addirittura i primi pagano solo un prezzo carburante col 18% di accise e l’IVA sempre per il 18%.

Rimane comunque una tassa fissa per tutti i proprietari di auto, totalmente non progressiva e basata solo sul consumo. Il vantaggio delle accise per lo Stato è indubbio: impossibili da evadere, garantiscono allo Stato quasi 25 miliardi di euro.

Privarsene, significherebbe dover cercare il prima possibile una cifra simile per coprire il fabbisogno della Pubblica Amministrazione. Per questo negli ultimi anni, in tempi di tagli alle tasse generiche, le accise sono aumentate, anche se in parte favoriscono a disincentivare il consumo eccessivo di combustibili fossili.

Quali sono le accise oggi in vigore

Come accennato sopra, le 19 accise tutt’ora in corso, a partire dal 1995, sono state tutte unificate in un unico gettito fiscale. Ciò le rende a prova di qualsiasi soppressione selettiva, anche se gli eventi o i disastri che andava a coprire economicamente sono ormai stati sanati da decenni.

E parliamo di accadimenti storici, che si studiano tutt’oggi a scuola, come la Guerra d’Etiopia del 1935-1936, per la quale venne introdotta la prima accisa statale, del valore all’epoca di 1,90 lire.

Solo vent’anni dopo venne introdotta una seconda accisa, quella per la Crisi di Suez del 1956 (richiesti 14 lire), e da lì cominciarono a essere introdotte sempre più tasse, anche se sempre per circostanze gravose.

Per la ricostruzione post disastro del Vajont (1963) venne introdotta una tassa di 10 lire. Per la ricostruzione post alluvione di Firenze del 1966, lo Stato aggiunse altre 10 lire sul prezzo della benzina. E così anche per la ricostruzione dopo terremoto Belice del 1968, sempre 10 lire.

Causa iper-inflazione, per la ricostruzione post terremoto Friuli del 1976 la tassa in più arrivò a 99 lire, e a 75 lire nel caso della ricostruzione post terremoto Irpinia del 1980.

Vennero introdotte anche due speciali accise per finanziarie le Missioni ONU in Libano (1982) e Bosnia (1995), del valore di 205 lire e 22 lire.

Dopo quest’ultima, si dovette aspettare quasi 10 anni per una nuova accisa, in occasione del rinnovo del Contratto degli Autoferrotranvieri del 2004, del valore di 0,02 euro. Per il grande acquisto di autobus ecologici nel 2005 ne venne introdotta una da 0,0005 euro.

Sempre vennero introdotte le accise per i cataclismi del primo ventennio del XXI secolo, come per l’Emergenza terremoto in Abruzzo del 2009 con un’accisa da 0,0051 euro, e così per i 0,04 euro per la gestione degli immigrati dopo la crisi libica del 2011, oltre ai 0,0089 euro per l’emergenza alluvione in Liguria e Toscana del 2011 e ai 0,024 euro per l’emergenza terremoti in Emilia nel 2012.

Da lì in avanti si susseguirono accise per finanziare attività e opere pubbliche, come i 0,0071 – 0,0055 euro per il finanziamento alla Cultura del 2011, o i 0,082 euro per la benzina (0,113 euro per il diesel) per finanziare il Decreto Salva Italia 2011.

Le ultime accise introdotte per motivi di pubblica finanza sono il finanziamento Bonus Gestori e la riduzione delle tasse per i terremotati in Abruzzo (0,005 euro), più le coperture per il Decreto Fare “Nuova Sabatini” del 2014 (0,0024 euro).

Quanto costa la benzina senza tasse e accise

Se si sommano tutte le accise, contando anche le rivalutazioni delle lire di decenni fa, si arriva ai seguenti prezzi per ogni 1000 litri:

  • Prezzo Benzina: 1.885,70 euro, di cui 728,40 di accise e 340,04 di IVA;

  • Prezzo Diesel: 1.766,49 euro, di cui 617,40 di accise e 318,55 di IVA;

  • Prezzo Gpl: 783,92 euro, di cui 147,27 di accise e 141,36 di IVA.

Tolti questi costi, è ovvio che il prezzo della benzina senza accise la renderebbe tra le meno care in Europa.

Sarebbe possibile tornare a pagare così meno la benzina? Sarebbe come chiedersi se si possa tornare a non pagare l’IRAP, tassa sulle imprese introdotta nel 1997, che vale circa 30 miliardi di euro per l’erario.

A confermare l’impossibilità della riduzione delle accise è anche il fatto che nel 1995 le accise sono diventate un’imposta unitaria e ogni singola voce ha perso la sua ragion d’essere, mentre con la Legge di Stabilità 2013 sono diventate addirittura strutturali.

L’idea di introdurre un taglio delle accise permanenti, come quello applicato nel 2022, oggi sarebbe poco gestibile per le casse dello Stato. La riduzione delle accise sarebbe comunque di natura esclusivamente temporanea, perché per ogni mese lo Stato dovrebbe privarsi di una parte del proprio gettito fiscale.

Di conseguenza è difficile capire cosa possa fare il governo per fronteggiarla senza tagliare le accise.

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