Non solo Draghi. Ecco quante sono le crisi di Governo di questa legislatura

Il Governo potrebbe essere al capolinea, ma non si tratta della "prima crisi" di questa legislatura. Ecco allora come rinfrescare la memoria.

Nella breve storia della Repubblica Italiana (appena 76 anni) si sono susseguiti 66 governi, e il sessantasettesimo potrebbe arrivare in anticipo di sei mesi sulla scadenza naturale della legislatura. Dopo poco più di un anno e mezzo, l’esecutivo presieduto da Mario Draghi è in cerca di una riconferma al Parlamento, dopo lo strappo dei Cinque Stelle. Un arco temporale che rappresenta già un piccolo traguardo, visto che appena 15 governi sono riusciti ad oltrepassare la soglia dei 18 mesi. Del resto questa è stata una delle legislature più “vivaci”, in cui i gruppi parlamentari sono stati molto elastici nel dare l’appoggio a una nuova compagine governativa, per poi buttarla subito giù al primo scontro.

Se nella prima Repubblica l’appartenenza politica, più che un’idea, era una vera e propria fede, le maggioranze saltavano alla minima difficoltà, ma gli schieramenti opposti mantenevano le rispettive posizioni. Con la Seconda Repubblica, l’ideologia politica è venuta meno, e i governi di scopo, che già si erano sperimentati ai tempi della DC e del PCI, si sono moltiplicati, comprendendo partiti che fino al giorno prima si erano confrontati duramente su tematiche divisive.

In questa legislatura, la 18esima della storia repubblicana, ci sono state tre crisi di governo, inclusa quella in corso. Ripercorriamo le tappe principali.

Quante sono le crisi di Governo di questa legislatura: si inzia con il Conte I

Le elezioni del 2018 vedono spiccare il Movimento Cinque Stelle (32% dei voti), e la Lega (19%), che si posiziona terza dietro il Partito Democratico (20%) e risulta la prima forza del centrodestra italiano. Durante le consultazioni s’intensificano gli incontri tra il leader dei pentastellati, Luigi Di Maio, e il leader leghista Matteo Salvini. Quello che sembrava un accordo improbabile si trasforma in un programma che riassume le esigenze di entrambe le parti. Giuseppe Conte, avvocato e militante dei Cinque Stelle, viene indicato come possibile Presidente del Consiglio: nasce il governo gialloverde (dai colori distintivi dei due partiti).

Dopo una partenza che gode di numeri certi in Parlamento e un ampio consenso popolare, incominciano le prime fibrillazioni interne. Alle elezioni europee del 2019 i rapporti di forza si invertono, con la Lega che arriva al 34% a danno del M5S che precipita al 17, quasi dimezzando il risultato dell’anno precedente.

Salvini, vicepremier e Ministro dell’Interno, pensa seriamente alla possibilità di sciogliere l’alleanza vigente, per andare alle urne e stravincere. L’occasione si presenta ad agosto del 2019, quando in Parlamento si discute della costruzione del Tav (Treno alta velocità) sulla linea Torino-Lione, che vede contrari da sempre il Movimento Cinque Stelle. Il 7 agosto passa una mozione votata da Partito Democratico, + Europa, Forza Italia e Fratelli d’Italia per la realizzazione del Tav. Dal Papeete di Milano Marittima Salvini annuncia che la Lega uscirà dalla maggioranza, e il giorno seguente il gruppo parlamentare guidata dal vicepremier presenta una mozione di sfiducia. La crisi è aperta.

Il 20 agosto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte riferisce alle Camere sulla crisi in corso. Nonostante la Lega abbia ritirato la mozione di sfiducia, il premier pentastellato non cambia idea sul rassegnare le dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il Governo Conte II

Inizia un nuovo giro di consultazioni. Il voto sembra inevitabile, quando nasce l’ipotesi di una coalizione di governo tra Cinque Stelle e Partito Democratico, suggerito da Matteo Renzi, che nel frattempo ha rotto col PD e ha fondato Italia Viva, in cui confluiscono alcuni dei parlamentari a lui più fedeli. Tra il 4 e il 5 settembre la nuova maggioranza è pronta, e il premier sarà sempre Conte.

Il Conte II (o bis) va subito incontro a una serie di problemi. A fare opposizione all’interno dell’esecutivo è lo stesso Renzi. A gennaio 2020 lo scontro principale è sulla Riforma della Prescrizione, cavallo di battaglia dei Cinque Stelle osteggiata fortemente da Italia Viva. La crisi è a un passo, ma la pandemia e il lockdown rivoluziona l’agenda di governo, incentrata unicamente sulla gestione dell’emergenza sanitaria.

I partiti della maggioranza sono chiamati alla responsabilità nazionale, ma dopo il calo dei contagi dovuto alle misure restrittive e l’ottenimento del Ricovery Plan, il piano di ristrutturazione dell’economia nazionale, ricominciano le frizioni. Segue un’escalation che culmina il 13 gennaio 2021, quando Renzi ritira la delegazione i suoi ministri Italia Viva dal Conte Bis. Senza l’appoggio di Italia Viva la maggioranza è appesa a un filo. Ciononostante, Conte si presenta al Parlamento per chiedere la fiducia, che viene confermata per pochi voti di scarto da entrambe le Camere. Il 25 gennaio, preso atto che il voto sulla riforma della Giustizia del ministro Bonafede manderebbe sotto il governo, Conte decide di rassegnare nuovamente le dimissioni.

Il Governo Draghi

Alla luce di quest’ultimo episodio politico, il Presidente della Repubblica Mattarella decide di cercare una figura di primo piano che possa costituire un’intesa ampia che comprenda gran parte delle forze politiche. Da un po’ di mesi, nella fase più accesa della crisi tra Cinque Stelle e Italia Viva, si faceva il nome di Mario Draghi come possibile successore di Conte. I rumors si rivelano fondati, e il 13 febbraio avviene la cerimonia della campanella, che vede il passaggio di consegne da un governo all’altro.

La linea politica di Draghi ha goduto di ottima salute durante la prima fase, con una campagna vaccinale spedita e il l’endorsement di tutti i capi di stato mondiali che nutrono grande stima e fiducia nell’ex Presidente della BCE. Tuttavia in una compagine così ampia non potevano mancare le divisioni interne, che da un certo punto in avanti Draghi non è più stato in grado di gestire. Lo strappo definitivo col Movimento Cinque Stelle, che mai aveva completamente digerito la caduta del Conte bis, è avvenuto con la votazione del Decreto Aiuti. I pentastellati hanno alzato le barricate contro il provvedimento per la realizzazione del termovalorizzatore per lo smaltimento dei rifiuti di Roma, ribadendo la propria posizione ambientalista. Il Decreto è passato anche con l’astensione del M5S, ma a quel punto Draghi ha ritenuto opportuno rassegnare le dimissioni, che Mattarella ha respinto. Il Presidente del Consiglio si presenterà nuovamente mercoledì 20 luglio per chiedere la fiducia al Parlamento e valutare la possibilità di poter proseguire la sua esperienza come premier, facendo a meno del partito di Giuseppe Conte.

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