L’inflazione suona la sveglia a Fed e Bce, crolla il Nasdaq

L’impennata dell’inflazione rende poco credibile una politica monetaria accomodante delle banche centrali. Borse e bond si adeguano, rischio di cali

L’inflazione suona la sveglia alle banche centrali, crolla il Nasdaq

L’impennata dell’inflazione rende poco credibile una politica monetaria accomodante da parte della banche centrali. Borse e bond si adeguano, aumenta il rischio di cali duraturi delle quotazioni di entrambi

Inflazione eurozona al 5% a dicembre

Eurostat, nella sua stima flash sull’ultimo mese del 2021, prevede che l’inflazione annuale nell’eurozona toccherà quota 5% nel dicembre 2021, in aumento dal 4,9% di novembre (Italia 4,2%).

Per quello che riguarda le singole componenti dell’inflazione nell’area euro l’energia dovrebbe registrare un tasso annuale di inflazione del 26%, in calo dal 27,5% di novembre, seguita da cibo, alcol e tabacco, in aumento del 3,2% dal 2,2% di novembre, dai beni industriali non energetici, aumento del 2,9% rispetto al 2,4% di novembre, e servizi in calo al 2,4% rispetto al 2,7% del mese precedente.

Analizzando l’andamento dei prezzi nei singoli paesi si scopre che il tasso di inflazione più elevato a dicembre lo hanno fatto registrare l’Estonia (12%), la Lituania (10,7%) e la Lettonia (7,7%). In fondo alla classifica ci sono invece Malta (2,6%), Finlandia (3,2%) e Francia (3,4%). L’Italia, con il 4,2%, ha registrato quindi un’inflazione annua inferiore alla media europea.

Le banche centrali alzano i tassi

Inizia ad essere evidente che l’inflazione potrebbe rimanere a lungo, più di quanto preventivato solo pochi mesi fa, al di sopra del target del 2% della Bce, la quale potrebbe vedersi quindi costretta ad agire sul fronte dei tassi, sulla scia di quanto già fatto dalla Bank of England (intervenuta a metà dicembre con un rialzo dallo 0,1% allo 0,25% con un’inflazione proiettata al 6% circa nell’aprile del 2022 dal precedente 5%) e di quanto potrebbe fare a breve la Federal Reserve. 

Fed, quattro rialzi nel 2022?

Secondo Goldman Sachs la Federal Reserve potrebbe aumentare i tassi addirittura 4 volte nel corso del 2022, la prima a marzo (poi a giugno, settembre e forse anche a dicembre), e il processo di riduzione del bilancio potrebbe iniziare già nel mese di luglio. A favorire l’adozione di una politica monetaria meno accomodante della attuale è l’andamento del mercato del lavoro, con il tasso di disoccupazione attualmente al 3,9%. Mercoledì alle 14:30 è in calendario il dato USA sull’inflazione di dicembre, sarà interessante seguirlo per avere ulteriori indizi sulle possibili tempistiche di intervento della Fed.

Ma anche nell’eurozona prosegue il calo della disoccupazione, scesa a novembre al 7,2% dal 7,3% del mese precedente e dall’8,1% del novembre 2020. Nell’intera Ue il calo è stato al 6,5% dal 6,7% di ottobre e dal 7,4% del novembre 2020. In Italia la disoccupazione è al 9,2%, in calo dal 9,4% di ottobre. L’andamento favorevole del mercato del lavoro potrebbe essere un elemento in favore di un intervento della Bce sul fronte dei tassi di interesse. 

Isabel Schnabel suona l’allarme

La prima voce ufficiale registrata in questo senso è stata quella di Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo dell’Eurotower, che in un intervento all’American Finance Association Virtual Meeting 2022 ha detto “La politica monetaria non può permettersi di guardare attraverso l’aumento dei prezzi dell’energia se questi rappresentano un rischio per la stabilità dei prezzi nel medio termine”. La Schnabel ha poi proseguito “le pressioni sui prezzi minacciano di portare l’inflazione al di sopra del nostro obiettivo del 2%, poiché l’aumento dei prezzi del carbonio e i relativi spostamenti dell’attività economica stimolano piuttosto che sopprimere la crescita, l’occupazione e la domanda aggregata nel medio termine”. 

In altre parole un’economia meno basata sul carbonio, la “transizione verde”, mette sotto pressione le proiezioni d’inflazione nel medio termine, c’è infatti il rischio che i prezzi dell’energia continuino ad aumentare per effetto dei cambiamenti strutturali che accompagneranno la riduzione del consumo dei combustibili fossili prima che possano poi ridimensionarsi.

Bond, salgono i rendimenti

I primi effetti di questa montante pressione sui prezzi, che i mercati sono convinti comporterà l’intervento di tutte la principali banche centrali, lo si è già visto sui rendimenti dei bond: quelli sui Treasury Note a dieci anni ad esempio sono saliti all’1,80%, sui massimi degli ultimi due anni. Il rendimento del Btp decennale italiano ha toccato l’1,33% in mattinata.

Crolla il Nasdaq 100

Ma anche le borse sono in difficoltà. A subire le pressioni dei venditori è stato soprattutto nelle ultime sedute il tecnologico Nasdaq, paniere contenente titoli ad alto Beta, il primo quindi a reagire, in positivo e in negativo, ai mutamenti di sentiment da parte del mercato. In particolare sul grafico del Nasdaq 100 i prezzi, attualmente a 15.229,85 punti (ribasso superiore al 2%), sono scesi al di sotto del minimo del 20 dicembre a 15509 punti, completando quindi la figura a doppio massimo disegnata a partire dal picco del 22 novembre a 16765 punti. Il doppio massimo è formato da due picchi allineati sugli stessi livelli e mostra l’incapacità del mercato di realizzare un nuovo massimo superiore al precedente, un chiaro segnale di debolezza. 

Nasdaq 100, compare un figura ribassista

Quando poi il grafico si porta al di sotto del minimo intermedio rispetto ai due massimi, in questo caso quello del 20 dicembre, si creano i presupposti per una vera e propria inversione di tendenza. I prezzi sono scesi oggi anche al di sotto della media mobile esponenziale a 100 giorni, indicatore che approssima la condizione della tendenza di medio periodo, che è quindi passata al ribasso. Il rischio di un ritorno sui minimi di ottobre a 14385 punti è concreto. Come accennato il Nasdaq è la “lepre” che tutti gli altri indici di borsa seguono. 

Ftse Mib, resistenza a 28000 punti

Sarebbe molto azzardato pensare che il nostro Ftse Mib possa seguire una strada indipendente senza lasciarsi condizionare dal calo dell’indice Usa. Solo recuperi oltre i 28000 punti permetterebbero di allontanare uno scenario ribassista che in caso contrario prospetta il ritorno in area 25000/25000 almeno. E questa volta, con la prospettiva di un prosciugarsi della liquidità, un eventuale calo delle borse potrebbe essere qualche cosa di più rilevante e duraturo di un semplice sussulto. 

Casomai la flessione del Ftse Mib potrebbe risultare più contenuta: l’aumento dei rendimenti sui titoli di stato premia il comparto bancario, ben rappresentato all’interno del paniere italiano.

(Alessandro Magagnoli)

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