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I Miners fuggono negli USA! Bitcoin a $100.000 entro il 2022 dollaro

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Come fa notare un articolo apparso su The Guardian di oggi 16 gennaio, per chi vuole acquistare computer e altra dotazione tecnologica utile al mining, cioè il processo di estrazione di Bitcoin e criptovalute, il Kosovo presenta svendite e occasioni straordinarie in questi giorni.

Questo perché molti miners hanno messo in vendita a prezzi stracciati il proprio equipaggiamento e cercano di trasferirsi altrove, dopo che a fine 2021 il governo ha vietato temporaneamente l’attività di mining a causa dell’alto impiego energetico che essa richiede e della crisi su questo versante che il paese sta attraversando.

Il Kosovo fino adesso è stato uno dei paesi dove principalmente si concentrava l’attività di mining per i ridotti costi dell’energia, la quale è quasi interamente fornita da un carbone di basso costo. 

La decisione del Kosovo di vietare il mining di Bitcoin e altre criptovalute è la conseguenza di una grave crisi energetica del paese, un ban simile è già stato applicato dalla Cina, dal Kazakistan e anche Erdogan minaccia in questo senso, ma quest’ultimo non per cause legate all’energia, ma poiché le valute digitali mettono a rischio la Lira turca, che al momento è soggetta ad una fortissima volatilità.

Decisioni di questo tipo hanno in genere molte ripercussioni sui mercati, facendo oscillare il prezzo delle criptovalute, tuttavia in questo specifico caso la fuga dei miners verso gli USA potrebbe essere vantaggiosa, dove si stima che dopo i ban molti miners abbiano preferito trasferirsi, anche perché, con tutta l’opposizione della Fed, non si minacciano divieti ai Bitcoin e anzi si concentrano molti investitori di prima scelta.

La crescita degli USA nel mining, al primo posto, potrebbe secondo i Bitcoin Bull, da Saylor a Novogratz, avere in realtà un impatto positivo sui mercati e sancire l’esplosione del prezzo della criptovaluta nel 2022. Questo perché, se in Cina e in Kosovo l’energia costa meno, in questi paesi è anche estratta da fonti fossili e non rinnovabili, cioè inquina, e questo ha tenuto fino adesso lontano moltissimi investitori importanti dal mercato BTC, preoccupati proprio dall’impatto ambientale dei Bitcoin.

Ma, se in USA l’elettricità costa di più, essa viene in buona parte ricavata da fonti completamente rinnovabili di energia, che riducono l’impatto ambientale e avvicinano quegli stessi investitori prima spaventati. Insomma, la fuga dei miners, che sembra intensificarsi nel 2022, potrebbe far presto scoppiare il prezzo della moneta e vedere avverate le previsioni che vedono i BTC a 100.000 dollari a unità entro l’anno.

Il Kosovo vieta il mining di Bitcoin e i miners fuggono verso gli USA. Perchè?

Partiamo con ordine e vediamo cosa sta accadendo in Kosovo in questo momento. Una serie di contingenze hanno portato ad una crisi energetica mai vista prima con continui black out in tutto il paese.

Di qui la decisione del governo di vietare l’attività di mining di criptovalute in via temporanea. Ora, “estrarre Bitcoin”, cioè crearli, viene fatto attraverso una serie di computer ad alta potenza che interagiscono tra loro e cercano di risolvere calcoli complessi, risolti i quali si estrae un token. Questo processo consuma una quantità di energia elettrica gigantesca, per rendere l’idea, secondo uno studio condotto dall’Università di Cambridge, nell’arco di un anno per il processo mondiale di mining di Bitcoin vengono consumati 125,96 TWh, quanto un’intera nazione se si considera che per alimentare l’Argentina servono solo 121 TWh.

Visto che il Kosovo è uno dei paesi dove l’energia, che proviene interamente dal carbone, è più a basso costo è, o meglio era, anche uno dei paesi preferiti dai Bitcoin miners.

Al fine di arginare il problema della crisi energetica il Kosovo sulla scia di altri governo ha quindi deciso di imporre un ban temporaneo al mining di criptovalute nel paese, il che sta spingendo i miners, cioè chi lavora e investe in questi processi di estrazione, a fuggire verso altre mete dove l’attività è ancora possibile. 

La situazione dei Bitcoin in Kosovo è ben illustrata anche nel video YouTube di WION:

  

Anche l’Islanda verso la crisi energetica e rimanda indietro i Bitcoin miners

Se la crisi energetica che sta attraversando il Kosovo, costretto a vietare l’attività di mining di criptovalute, è cosa ormai nota, anche per i problemi che la situazione sta causando nello svolgimento della normale vita quotidiana, con il susseguirsi dei black out.

Un’altra nazione sulla scia di Kosovo e Cina potrebbe vietare il processo di estrazione di criptovalute ed è l’Islanda.

Anche nel paese la crisi energetica inizia a farsi sentire e per adesso non sono state fatte azioni in questo senso dal governo, ma è stata una delle compagnie elettriche più note del Paese, la Landsvirkjun, a rifiutare di chiudere contratti con i Bitcoin miners che volevano trasferirsi in Islanda, anche in questo caso attratti da un costo non elevato dell’energia e qui per giunta rinnovabile.

Va detto però che nel caso specifico della Landsvirkjun non sono stati respinti solo i Bitcoin miners, ma anche alcuni clienti industriali e questo perché la compagnia ha avuto tre problemi di diversa natura: una calo nel giacimento delle risorse idroelettriche, un malfunzionamento della centrale stessa e ritardi nell acquisto di energia da un produttore esterno.

In linea generale l’Islanda si presta bene ad ospitare l’attività di mining poiché fino adesso godeva di energia geotermica in abbondanza, quindi a basso costo e, all’opposto di Cina e Kosovo, prodotta da fonti rinnovabili al 100%.

La fuga dei miners verso gli USA quali ripercussioni avrà sul prezzo Bitcoin nel 2022?

Veniamo alle ripercussioni che questa situazione ha ed avrà sui mercati e cioè sul prezzo Bitcoin.

Partiamo con una premessa, cioè che la moneta digitale più famosa del mondo ha subito un crollo seguita dalle altre criptovalute proprio qualche giorno fa. Se certo la situazione dei miners in qualche modo influisce sull’andamento dei mercati, nel caso specifico la fetta più grossa di responsabilità in questo senso va alla Federal Reserve Board (Fed), che è la banca centrale statunitense.

Senza scendere in tecnicismi, quando la Fed ha rilasciato i verbali in cui dichiarava al mondo i sui piani per combattere l’inflazione del Dollaro e cioè aumentare i tassi di interesse delle obbligazioni, le criptovalute si sono schiantate e il ban al mining in Cina, Kosovo o Kazakistan ha solo un ruolo secondario rispetto a questo fattore.

In ogni caso, per una previsione a lungo periodo i principali investitori e la parte degli analisti che sostiene le criptovalute non si dicono spaventati dall’atteggiamento della Fed.

Per quanto riguarda la situazione miners invece, proprio da questo potrebbe venire, secondo molti, la spinta decisiva per far esplodere il prezzo Bitcoin.

Sempre lasciando stare il gergo tecnico, una cosa su cui tutti i più forti investitori in Bitcoin sono concordi al 100% è che al mercato mancano ancora gli investitori istituzionali per esplodere completamente e porre fine al problema della volatilità delle criptovalute.

Ma, uno dei fattori che ha tenuto moltissimi grandi investitori lontani dalle criptovalute è proprio il loro impatto ambientale, pessimo anche perché buona parte del mining si concentrava in zone come Cina e Kosovo dove l’energia è a buon mercato, ma anche quasi completamente alimentata da combustibili fossili, cioè inquinante.

La fuga dei miners, molti dei quali rivolti verso gli USA, determina anche il trasferimento dei processi di estrazione in paesi dove l’energia viene già per buona parte da fonti rinnovabili ed è sostenibile. In questo senso, ridotto l’impatto ambientale e divenuto sostenibile, il Bitcoin sarà molto più attraente per gli investitori cosa che potrebbe far avverare la previsione di Saylor, Novogratz e in ultimo la Goldman Sachs che vedono i BTC, a dispetto della situazione attuale, affrontare il 2022 con una tendenza rialzista che li porterà entro l’anno a 100.000 dollari a unità.

Partita IVA a regime forfettario: cosa cambia nel 2022!

Quali sono le novità all’interno della Parita IVA a Regime forfettario? Ogni anno la legge di bilancio può variare, introdurre delle novità. 

Nel regime forfettario è successo in passato, come ad esempio nel 2019, che il regime forfettario è stato rivoluzionato, sono stati innalzati i limiti di fatturato, è stata ampliata la platea di chi poteva godere di questo regime, non è successo negli anni successivi per cui nel 2021 e soprattutto nel 2022 dove non sono state apportate alcune modifiche al regime forfettario. 

Nel 2022 anzi negli ultimi mesi del 2021 si è parlato di tantissime ipotesi su novità e aggiornamenti riguardo il regime forfettario 2022 come ad esempio l’introduzione della fatturazione elettronica, l’allentamento di alcuni limiti di durata di un regime cosiddetto transitorio oppure la modifica dei coefficienti di redditività, ma ciò non è venuto. 

Una cosa è certa l’Unione Europea, ha trovato la possibilità di inserire nel regime forfettario la fatturazione elettronica nel 2022,  fatturazione elettronica che però non è stata inclusa nella legge di bilancio del 2022, quindi dal primo gennaio non è obbligatorio per chi è in regime forfettario utilizzare la fatturazione elettronica, ma può continuare a emettere in questo momento fatture cartacee.

Questa è la fotografia della situazione al momento, infatti nulla toglie che nel corso del 2022 o a gennaio 2023 possa essere introdotta la fatturazione elettronica.

Si era parlato di altre possibili novità, come ad esempio l’inserimento di un regime transitorio per coloro che fatturavano più di 65.000 euro, ma tra 65.000 e 100.000 euro era stata ipotizzata la possibilità di rimanere in regime forfettario con delle regole un po’ diverse. Anche questa ipotesi non ha trovato riscontro oggettivo. 

Quindi ad oggi il regime forfettario mantiene il suo limite di fatturato di 65.000 euro che è superato portata fuori dal regime forfettario dal primo gennaio dell’anno successivo.

Si era anche parlato di una possibile modifica di eventuali coefficienti di redditività per alcune attività, anche questo non è stato approvato. Quindi tutti coefficienti di redditività sono identici a quelli del 2021.

Bene dopo questa piccola panoramica su ciò che è cambiato, anzi su ciò che è rimasto identico sul regime forfettario, vediamo insieme quelli che sono gli aspetti fondamentali del regime forfettario, dunque a chi è rivolto, quali sono i suoi vantaggi.

Partita IVA a Regime forfettario: cos’è e a chi è rivolto 

Ad oggi il regime forfettario è l’unico regime di vantaggio esistente in Italia, l’unico regime che ha delle agevolazioni così forti e importanti che lo portano a essere il miglior regime fiscale esistente in Italia e probabilmente anche in Europa.

A chi è rivolto? E’ rivolto a tutte quelle che sono le ditte individuali per cui:

  • liberi professionisti;
  • freelance;
  • commercianti;
  • artigiani purché individuati come ditte individuali e che quindi possono aprire la partita IVA in regime forfettario.

E adatto anche ad eventuali ditte individuali già esistenti purché rispettino alcuni parametri.

A chi non è adatto? Non è adatto a tutte quelle che sono le società:

  • le società di persone;
  • società di capitali;
  • associazioni cooperative che non sono delle ditte individuali che non possono aderire al regime forfettario.

Tutti questi soggetti quindi possono continuare con il loro regime semplificato ordinario.

Regime forfettario: puoi aderire se sei già titolare di partita IVA?

Iniziamo subito una distinzione tra chi è già titolare di partita IVA e chi deve aprire una partita IVA. 

Chi è già titolare di una partita IVA purché ditta individuale rispettando alcuni parametri, può aderire al regime forfettario.

Ad esempio se sei in possesso di una ditta individuale in regime semplificato o in regime ordinario, puoi aderire al regime forfettario, se nell’anno precedente i tuoi incassi sono stati inferiori a 65.000 euro annuali.

In altre parole se nel 2022 la tua ditta individuale vuole aderire al regime forfettario è necessario che nel 2021 abbia incassato meno di 65.000 euro se ha incassato nel 2021 di più, la tua ditta individuale non può aderire al regime forfettario.

Secondo requisito per i titolari partita IVA e che se nell’anno precedente era un forfettario non bisogna aver sostenuto spese per dipendenti o collaboratori superiori a 20.000 euro lordi. Quindi se quest’anno 2022 vuoi aderire al regime forfettario la tua ditta individuale nel 2021 deve aver speso meno di 20.000 euro per dipendenti o collaboratori esterni 

Se rispetti questi parametri e se hai convenienza nel farlo da quest’anno potrai già aderire al regime forfettario. 

Regime forfettario: i vantaggi se vuoi aprire una nuova Partita IVA

Adesso vediamo i requisiti che bisogna rispettare per tutti coloro che voglio aprire una nuova partita IVA.

Coloro che sono lavoratori dipendenti in molti casi possono contemporaneamente aprire una Partita IVA in Regime forfettario è necessario però che chi è lavoratore dipendente o titolare di pensione abbia percepito un reddito lordo da dipendente o da pensione inferiore a 30.000 euro lordi, ne consegue che il reddito da dipendente o pensione superiore a 30.000 euro nell’anno precedente non consente di aprire una partita IVA in regime forfettario. 

Quindi se stai pensando di aprire nel 2022 la partita IVA regime forfettario e sei contemporaneamente lavoratore il reddito lordo nel 2021 deve essere inferiore a 30.000 euro. A meno che questo reddito non sia cessato nell’anno, entro il 31/12 del 2021.

Quindi ad esempio se nel 2021 hai percepito un reddito da dipendente da 50.000 euro, ma hai interrotto il tuo lavoro da dipendente entro il 31 dicembre del 2021 ugualmente nel 2022, potrai aprirla anche se hai percepito più di 30.000 euro.

Altro requisito, non può aprire una partita IVA in regime forfettario chi è contemporaneamente socio di una società di persone. 

Quindi se fai parte di una S.a.s o di una S.n.c., sappi che contemporaneamente non potrai aprire una partita IVA in regime forfettario.

Non possono aderire al regime forfettario neanche tutte le ditte individuali o i soggetti che vogliono intraprendere una di quelle attività per la quale è stato già introdotto un regime speciale IVA. Mi rivolgo ad esempio a tutte quelle attività di vendita di prodotti agricoli, agenzia viaggio, vendita di prodotti Monopolio di Stato, vendita di beni usati o venditori porta a porta il classico network marketing.

Una partita IVA in regime forfettario non può aprirla neanche un soggetto che non è residente in Italia,  a meno che non sia residente in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea e dimostri di passare almeno il 75% del tempo fisicamente durante l’anno in Italia.

Anche nel caso di possesso di quote in una srl in alcuni limitati casi è impossibile aprire una partita IVA in regime forfettario. Mi spiego meglio se controlli una srl per cui ne possiedi il 50% o più di quote societàrie e la  srl si occupa della stessa cosa di cui ti vuoi occupare con la tua partita IVA forfettaria, sappi che sono due situazioni incompatibili, non potrei aprire una partita IVA forfettaria in questo caso.

Ma nel caso in cui tu non controlli una srl per cui possiedi meno del 50% oppure la controlli ma la srl si occupa di qualcosa di completamente diverso rispetto a quello di cui ti occuperesti con la partita IVA forfettaria potrai possedere contemporaneamente le tue quote societarie e aprire la partita IVA in regime forfettario.

Non potrai aprire la partita IVA in regime forfettario neanche nel caso in cui dovessi decidere di emettere fatture in modo prevalente verso il tuo attuale datore di lavoro o verso il tuo ex datore di lavoro con il quale sei stato indipendente negli ultimi due anni. 

Mi spiego meglio con un esempio. Nel caso in cui tu dovessi aprire Partita IVA e fatturare ad esempio in un anno 10.000 euro potrai fatturare verso il tuo datore di lavoro o il tuo ex datore lavoro con il quale sei stato dipendente negli ultimi due anni soltanto o meno di 5.000 euro, più di 5.000 euro ovvero la prevalenza del tuo fattodeve essere emesso verso altri clienti altri soggetti che non lo hanno a che fare con il tuo datore o ex datore lavoro bene. 

Partita IVA a Regime forfettario: quali sono i vantaggi 

Dopo aver analizzato tutti i casi in cui non è possibile aderire al regime forfettario, vediamo ora i tutti i vantaggi presenti in questo particolare regime fiscale che sicuramente dovresti prendere in esame, prendere in considerazione per l’apertura della tua futura partita IVA, iniziamo quindi con quelli che sono i vantaggi.

PRIMO VANTAGGIO, quello più conosciuto ed importante è sicuramente una tassazione più bassa. Le tasse nel regime forfettario, infatti sono pari al 5% per i primi 5 anni che diventano poi 15% dal sesto anno in poi.

Perché un vantaggio così forte? Perché se lo paragoniamo agli altri regimi fiscali esistenti in Italia come il regime semplificato o il regime ordinario, ci renderemo conto nel regime semplificato ordinario la tassazione va dal 23 al 42% in base ai vari scaglioni IRPEF che si ottengono raggiungendo determinati fatturati.

Nel regime forfettario qualsiasi sia il suo fatturato prima dei 65.000 euro, invece rimane fissa al 5% nel caso di possesso di requisiti di startup (per cui per chi èffettua questo nuova attività) diventa poi 15% dal sesto anno.

SECONDO VANTAGGIO del regime forfettario 2022 è che è un regime esente da IVA. Ciò significa che nel momento in cui devi emettere una fattura ad esempio da 100 euro non dovrai aggiungere l’IVA,  non dovrai quindi aggiungere il 22% in più ai tuoi compensi.

Perché un vantaggio? Perché sicuramente i tuoi clienti risparmieranno il pagamento dell’IVA nelle tue fatture, quindi soprattutto se ti dovessi rivolgere a clienti finali non titolari di partita IVA, loro avranno tutto il vantaggio nell’ acquistare dei prodotti o servizi da un titolare partita IVA in regime forfettario perchè risparmieranno in pagamento del 22% di IVA che andrebbe per loro completamente perso, quindi si diventa più competitivi rispetto agli altri soggetti titolari di partita IVA regime semplificato e regime ordinario quindi i clienti finali preferiscono, a parità di condizione, comprare da un titolare di partita IVA in regime forfettario.

TERZO VANTAGGIO del regime forfettario è che è esente da ritenuta d’acconto. Tutti coloro che sono titolari di partita IVA in regime ordinario o semplificato che emettono delle ricevute di prestazione occasionale, devono applicare una ritenuta d’acconto del 20% ai propri compensi nel momento in cui emettono una fattura o una ricevuta, quindi incassano il 20% in meno nella maggior parte dei casi quota che viene trattenuta dai committenti che viene versata come anticipo sulla tassazione. 

Coloro che sono in regime forfettario, invece sono esenti dalla ritenuta d’acconto, quindi incassano il 100% dei propri compensi senza alcuna trattenuta in fattura.

QUARTO VANTAGGIO ma non inferiore agli altri del regime forfettario e la sua semplificazione contabile. Il regime forfettario ha tantissime semplificazioni contabili rispetto agli altri regime ordinario e semplificato innanzitutto perché non ha obbligo di registrazione delle fatture ma soltanto obbligo di emissione, numerazione e conservazione le fatture.  

Non avendo IVA non è necessario effettuare la dichiarazione Iva semestrale o annuale,  è esente dall’esterometro, dallo spesometro dagli studi di settore, dal pagamento dell’Irap.

Tante semplificazioni contabili che ti permetteranno quindi di risparmiare tanto tempo risparmiare tantissime pratiche burocratiche e concentrare quindi il tuo tempo nello sviluppo del tuo business e del tuo lavoro. 

Partita IVA a Regime forfettario: ecco i limiti da rispettare

Abbiamo visto tutti i vantaggi regime forfettario 2022, ma sappi che c’è un limite importante da rispettare che è un limite di fatturato degli incassi previsti per poter continuare a godere negli anni del regime forfettario. Infatti prevede un limite di tassi che paga 65.000 euro annuali.

Se un giorno dovessi superare questo limite di incassi uscirai fuori dal regime forfettario il primo gennaio dell’anno successivo. Tutto l’anno in corso però qualsiasi sia il tuo fatturato, i tuoi incassi, rimarrai comunque nel regime forfettario e sarai considerato è tassato secondo le regole del regime forfettario.

Ti faccio un esempio, nel caso in cui dovessi aprire partita IVA nel 2022 e già nel 2022 stesso dovessi superare il limite di fatturato, ad esempio 100.000 o 200.000 euro, tutto quel fatturato sarà comunque considerato in regime forfettario.

Ma dal primo gennaio 2023 sarai costretto ad abbandonare il regime forfettario per aderire con la tua ditta individuale in regime semplificato o in regime ordinario.

Partita IVA 2022 novità regime forfettario! Le ultimissime

Il 2022 potrebbe essere un anno di svolta per chi ha una partita IVA o vorrebbe aprirne una. Il 14 gennaio sono scaduti i termini per la presentazione degli emendamenti alla legge di bilancio 2022. In tutto sono stati presentati 467 proposte di correzioni tra cui anche alcune relative ai titolari di partita IVA sia ordinario che forfettario.

Le novità potrebbero riguardare le modalità di pagamento dell’acconto di novembre, che secondo la proposta della Lega, non dovrà più essere pagato in un’unica soluzione ma in rate da gennaio a giugno dell’anno successivo.

L’altra novità riguarda i titolari di partita IVA in regime forfettario, prevedendo anche per loro la fatturazione elettronica, ed il mantenimento del tetto di reddito di 65.000 euro per godere della flat tax al 15%, che scende al 5% per le neo-costitutite attività d’impresa in forma individuale.

Il regime forfettario, introdotto nel 2015 ha consentito a tante persone fisiche che volevano intraprendere un’attività d’impresa in forma individuale di poter godere una serie di agevolazioni, oltre che la possibilità di avere una tassazione agevolata.

In un momento in cui il posto di lavoro è molto difficile da trovare, e valutando le opportunità concesse a chi ha per esempio la NASpI o il reddito di cittadinanza, di poter ricevere una liquidazione da parte dell’Inps per poter avviare un’attività in autonomia, poter contare su una semplificazione del sistema tributario, potrebbe aiutare ad avviare nuove attività in forma autonoma.

Per sapere come avere 4.680 euro per avviare un’attività consiglio la lettura della’articolo Reddito di cittadinanza: bonus Inps 780€ a tutti per 6 mesi

Partita IVA: cosa cambia nel 2022

Da quando è scoppiata la pandemia da Covid-19, le imprese, ma soprattutto le partite IVA che prestano la loro attività professionale come ditta individuale, hanno subito tante difficoltà, che in molti casi si sono tradotte nella chiusura dell’attività stessa. Più volte, già con il governo Conte, si sono succediti diversi decreti a sostegno delle imprese nonchè ristori per perdite di fatturato. Ma il vero problema per le imprese italiane, ed in particolare per le ditte individuali, è la forte pressione fiscale.

E su questo punto, i partiti dell’attuale maggioranza di governo, hanno sempre insistito per poter ridurre il carico fiscale. 

Una delle proposte che era stata presentata era proprio l’abolizione dell’IRAP che poi è passata in legge di bilancio 2022 e riguarderà lavoratori autonomi, le ditte individuali, e i professionisti mentre erano già escluse le partite IVA in regime forfettario.

Dunque via al balzello del 3.9% dall’anno fiscale 2022. L’ultimo versamento dovrà essere effettuato con il saldo a giugno 2022, se dovuto.

Ma un’altra proposta è stata avanzata dalla Lega, e riguarda invece le modalità di pagamento dell’acconto delle tasse a novembre.

Nell’attuale sistema tributario, le imprese sono chiamate a versare il saldo delle tasse a giugno dell’anno successivo all’anno fiscale precedente ed il primo acconto del 40%. Mentre a novembre, la stessa impresa deve versare il secondo acconto pari al 60%. Proprio su questa cifra, la proposta avanzata dalla Lega è quella di spalmare il secondo acconto in sei rate a partire da gennaio dell’anno successivo. 

Partite IVA: novità per il regime forfettario nel 2022

Il regime forfettario è una strada che il lavoratore autonomo o professionista può percorrere per poter svolgere la propria attività con partita IVA ma con diversi vantaggi.

La proposta avanzata sempre dalla Lega, è quella di mantenere anche per il 2022 il tetto del reddito a 65.000 euro come limite che permette di poter avere una tassazione agevolata pari al 15% sull’imponibile applicando allo stesso però i coefficienti di redditività.

Lo spiega Alberto Gusmeroli della Lega che ricorda come tante attività economiche hanno preferito

emergere e pagare un minimo piuttosto che rischiare le sanzioni se scoperti con un’attività in nero.

Quindi la vera novità per il regime forfettario è il mantenimento delle stesse condizioni applicate nel 2021, con gli stessi requisiti necessari per poter godere del maggior vantaggio di questo regime fiscale.

Infatti, in occasione della riforma fiscale, si stava discutendo di aumentare la tassazione sul regime forfettario. Ma è prevalso il buon senso e la volontà di consentire ancora a chi fa impresa in modo individuale di non essere affogato da una tassazione elevata. 

Cerchiamo allora di fare un quadro di chi può beneficiare del regime forfettario e qual è la tassazione.

Partite IVA in regime forfettario: in cosa consiste

Qualunque persona fisica può aprire una partita IVA per svolgere un’attività in proprio, quando questa non è possibile farla, sfruttando ad esempio la ritenuta d’acconto (come nel caso della cessione dei diritti d’autore). 

Il regime forfettario si differenzia dalla partita iva ordinaria in quanto propone diverse agevolazioni oltre che un regime tributario più vantaggioso.

Come primo vantaggio c’è il fatto di non dover tenere la contabilità ordinaria, ed in realtà neanche quella semplificata. Infatti il regime forfettario non prevede fatture passive, in quanto i coefficienti di redditività abbatte il reddito d’impresa sulla quale poi ci sarà la sola applicazione dell’aliquota flat al 15%, al netto dei contributi INPS da versare alla gestione separata.

L’altro vantaggio è proprio la tassazione che rispetto alla partita IVA ordinaria non prevede nè IRES nè IRAP. Ma solo una tassazione flat al 15%, che si riduce al 5% per i primi cinque anni.

Il rovescio della medaglia di questa agevolazione fiscale è nell’impossibilità ad esempio di poter portare in dichiarazione dei redditi le spese oggetto di detrazioni fiscali, come ad esempio gli interessi passivi sul mutuo, le spese mediche o le spese universitarie.

Partita IVA in regime forfettario: quali requisiti

Per il 2022 il regime forfettario manterrà le stesse condizioni del 2021. Quindi nessuna novità per quanto riguarda i requisiti di accesso. 

Per poter aprire una partita IVA in regime forfettario si deve innanzitutto rispettare il paletto del reddito prodotto nell’anno. Questo non deve superare i 65.000 euro. Questa cifra non è solo relativo al reddito prodotto con la partita IVA per il regime forfettario, ma la somma di tutti i redditi prodotti nell’anno, anche con regime d’acconto oppure come lavoratore dipendente. 

In caso di più lavori svolti con la stessa partita IVA e relativi a più codici ATECO si dovranno sommare i ricavi ed i compensi maturati con le diverse attività esercitate.

Altri requisiti da rispettare sono:

  • nel caso in cui si utilizzano dipendenti o altri lavorati con gli strumenti di voucher, o si erogano compensi ad altri collaboratori, il tetto delle spese non deve sforare 20.000 euro;
  • il regime di partita IVA è compatibile con lavoro dipendente e pensione; in tali circostanze il reddito percepito non deve aver superato 30.000 euro. Nel caso di lavoratori licenziati, questa soglia non si applica. 

Partita IVA: prossima la fatturazione elettronica per i forfettari

Durante il 2022 si potrebbe materializzare l’obbligo anche per chi ha la partita IVA in regime forfettario di emettere la fattura elettronica. Per renderlo definitivo si è in attesa della decisione del Consiglio dell’Unione Europea e la pubblicazione nella gazzetta ufficiale europea.

L’Italia ha chiesto una proroga alla deroga nell’applicazione degli articoli 218 e 232 della direttiva IVA per poter imporre l’uso della fattura elettronica anche al regime forfettario. 

La richiesta è stata accettata dal Comitato  dei rappresentanti permanenti, ma anche l’autorizzazione da parte del Consiglio UE. Non appena ci sarà l’ok e la pubblicazione in gazzetta ufficiale comunitaria l’Italia dovrà poi recepirlo nel proprio ordinamento. 

Partita IVA: come si calcolano le tasse per i forfettari

I lavoratori con partita IVA in regime forfettario non devono preoccuparsi del calcolo dell’Ires, l’imposta sul reddito delle società, nè dell’Irap. Ma devono però calcolare una tassa flat al 15% sul reddito imponibile al netto sia dei contributi versati alla cassa Inps per la gestione separata, che della parte dei costi forfait, calcolati usando il coefficiente di redditività.

Il regime forfettario ha la caratteristica di non dover registrare fatture passive per l’acquisto di beni e servizi, e quindi per poter tuttavia abbattere l’imponibile dei costi sostenuti per l’esecuzione dell’attività, in base al codice ateco ci sono dei coefficienti di redditività. 

La formula per il calcolo delle tasse è Reddito fiscale= Fatturato*coefficiente di redditività. 

Ad esempio per gli intermediari del commercio il coefficiente di redditività è il 62%.

Sul reddito fiscale si dovranno sottrarre i contributi versati all’Inps e sull’imponibile netto applicare il 15% o il 5% se trattasi start-up.

Per quanto riguarda le tempistiche di versamento delle tasse, invece queste restano al pari delle altre partite IVA quindi con saldo e primo acconto a giugno e secondo acconto a novembre.

Bonus casalinghe: incentivare la formazione, non le pulizie!

Dedicato a tutte coloro (e, per la par condicio, anche a tutti) che fino a questo momento hanno pensato al bonus casalinghe come a un incentivo a stare a casa, per svolgere le faccende domestiche e, nel contempo, essere retribuite da parte dello Stato

Ebbene no, deo gratias, non si tratta di questo.

Il bonus casalinghe (o casalinghi che sia) rappresenta un incentivo, per tutti coloro che sono disoccupati, all’autonomia personale. Un tema che da solo è in grado di scatenare accesi dibattiti, su ogni fronte. Rispetto, indipendenza economica, parità di retribuzione… Gli argomenti sono i più disparati e ognuno di essi meriterebbe un proprio spazio di discussione.

In questa sede, ci limitiamo a delineare quale sia il filo conduttore di questa iniziativa, che di per sé si conquista già l’atteggiamento lodevole di chi scrive, dal momento che promuove l’autonomia delle donne e la formazione volta ad acquisire le nuove competenze digitali richieste oggigiorno.

Il bonus casalinghe non consiste nell’erogazione di un assegno mensile, bensì permette ai soggetti beneficiari di usufruire di corsi di formazione che possano agevolare il loro ingresso nel mondo del lavoro e dello smartworking.

Avanti dunque nel cogliere l’opportunità che si presenta, ci sono 3 milioni di euro annui stanziati e soprattutto si lavora “tranquillamente” da casa, figli e incombenze permettendo. Ma si sa, per ottenere qualcosa, l’impegno è tutto.

Bonus casalinghe, sì! Ma in corsi di formazione

Sgombriamo il campo innanzitutto da ogni dubbio: il bonus casalinghe 2022 non si concretizza in un assegno mensile da ricevere direttamente sul proprio conto corrente.

D’altronde, per quale motivo lo Stato dovrebbe retribuire una donna che pulisce la propria casa o prepara il pranzo per i propri figli?

Chi potrebbe mai controllare se il bucato è pulito e le lenzuola fresche di candeggio? Se il pranzo è pronto in tavola o si rimedia con una piadina in 5 minuti? L’impegno di una casalinga è innegabile ma non esistono datori di lavoro o clienti a cui riportare i propri risultati. E allora non siamo di fronte a un lavoro da retribuire.

Lungi da chi scrive sminuire il ruolo fondamentale di una casalinga. Essendo io personalmente mamma bis e senza colf a cui affidare le faccende domestiche quotidiane, ho piena consapevolezza di quanto sia difficile gestire al meglio una casa, organizzare la dispensa, i pasti settimanali, far quadrare i conti mensili tra spesa alimentare e pagamento delle bollette. Nonché destreggiarsi tra scuola, Dad all’occorrenza, influenze stagionali, impegni pomeridiani della prole, amichette, giochi al parco, domeniche al mare, annessi & connessi.

Ma nulla di tutto ciò ha a che vedere con un’attività di tipo professionale. 

Quel tipo di incarico che, specificatamente correlato a delle competenze acquisite nel tempo, grazie allo studio e all’esperienza, consente di avere un compenso in denaro a fine mese.

Ma un ruolo intriso di responsabilità nei confronti di chi ti restribuisce, che comprende anche tutta una serie di obblighi, doveri, rispetto degli orari di lavoro, delle consegne al cliente o del raggiungimento di obiettivi di produttività nei confronti del datore di lavoro.

Più propriamente forse un bonus per disoccupate, non rivolto invece “alle casalinghe”. 

Perché in questa sede parliamo di corsi di formazione digitale destinati a chi è a casa (e giustamente se ne prende cura) ma non sempre per scelta. E che, grazie a questa opportunità di formazione gratuita, può oggi sperare di affacciarsi al mondo online e alle occasioni di lavoro che, grazie a questo trampolino di lancio, può tentare di cogliere.

Bonus casalinghe 2022: cos’è

Si tratta di un bando pubblicato dal Ministero delle Pari Opportunità, che si concretizza in un finanziamento (a costo zero per le donne disoccupate e casalinghe), grazie al quale avere la possibilità di seguire dei corsi, erogati da diversi enti di formazione.

Il bonus si rivolge in maniera esplicita alle donne ma ciò non vieta anche ai casalinghi (disoccupati che, single o in coppia, si occupano della gestione del menage familiare e della pulizia della casa) di presentare esplicita domanda.

L’obiettivo è -a chiare lettere- quello di offrire una possibilità in più a tante persone che, pur volendo inserirsi nel mondo del lavoro, non riescono a causa di difficoltà economiche. Come risaputo oggigiorno trovare un’opportunità di lavoro è davvero un’impresa da mandare avanti col lanternino. La crisi economica, unitamente alla pandemia, di certo non ci ha riservato belle soddisfazioni, da questo punto di vista.

Ma il mondo del web, ormai da anni, ha dimostrato di poter aprire le porte su una molteplicità di occasioni che attendono solo di essere colte al volo.

Certamente sbaglia colei o colui che crede che lavorare da casa, da remoto e in genere online sia sinonimo di guadagno facile, istantaneo e senza sforzi. Ho già personalmente approfondito l’argomento in questo articolo intitolato Lavorare online da casa: non facile, ma possibile e serio, che illustra la condizione tangibile in cui si ritrovano tutti coloro che, come me, oggi possono fare affidamento su un’entrata mensile dignitosa e regolare ma solo a fronte di impegno e tenacia.

Con buona volontà e sacrificio però è possibile raggiungere apprezzabili risultati e concrete opportunità di impiego

Afferma Elena Bonetti, ministro per le pari opportunità

Lo scopo è evitare che la scelta di restare a casa diventi obbligata per la mancanza di alternative, garantendo alle donne libertà di scegliere e l’accesso ad opportunità di lavoro. 

Grazie al bonus dunque non si monetizza ma si ottiene molto di più: la possibilità di avere accesso al mondo del lavoro, di ampliare i propri orizzonti, di cogliere le diverse opportunità presentate a livello professionale e culturale.

I corsi verranno erogati sia da parte di enti privati che pubblici e la priorità, a livello di selezione delle domande inviate, verrà data alle donne.

Il bando relativo al bonus casalinghe, per quanto concerne la candidatura degli enti di formazione, scade il 31 marzo 2022.

Bonus casalinghe 2022, a chi spetta

L’opportunità si rivolge in particolar modo alle donne, che siano casalinghe. La maggior parte di esse risulta in realtà in condizioni di disoccupazione. Spesso infatti si è costrette a lasciare il lavoro a seguito di una maternità oppure si resta senza impiego, a causa del fallimento dell’azienda come è tristemente accaduto per tante persone a seguito della pandemia da Covid-19.

È pur vero che i soldi non bastano mai e un contributo economico in “moneta sonante” fa sempre comodo. Ma è altrettanto certo che in pochissimi purtroppo, pur ricevendo una somma di denaro penserebbe a investirla in un corso di formazione. Soprattutto quando ci sono bambini in casa, le priorità sono sempre altre!

Che ben venga dunque un aiuto in tal senso, che non si materializza in soldi bensì permette, a costo zero, l’accesso a corsi che altrimenti sarebbero a pagamento.

Per poter ottenere il beneficio, bisogna essere residenti in Italia, senza lavoro (quindi né collaboratori né titolari di partita Iva) e svolgere attività di cura quotidiana in ambito domestico, come avviene per le donne casalinghe appunto alle prese con la gestione dei figli e della casa.

È necessario avere l’assicurazione obbligatoria Inail.

Ovviamente non rientrano nella casistica coloro che svolgono attività di pulizie per terzi o baby sitter che si prendono cura dei bambini di altre persone.

In alcuni casi da esaminare, è possibile concedere il bonus anche ai casalinghi, se ad esempio la moglie lavora a tempo pieno e si dimostra che sia lui a occuparsi dei bambini o del menage familiare giorno dopo giorno.

Ecco un video di Pensioni&Aggiornamenti che offre maggiori ragguagli, in attesa delle definizioni ufficiali del decreto attuativo ancora non disponibile

I corsi disponibili per il bonus casalinghe

Cosa è possibile fare grazie al bonus casalinghe? Quali sono le competenze che i corsi erogati permettono di ottenere?

In linea di massima, i corsi riguardano tutto ciò che rientra in ambito digitale e di lavoro in samrt working. Nella fattispecie, sarà possibile

eseguire una ricerca utilizzando diversi motori di ricerca, individuare la presenza di fake news, archiviare le informazioni su piattaforme cloud; produrre dei contenuti digitali e comprendere le norme di copyright

Inoltre, i corsi insegneranno

usare diversi mezzi di comunicazione digitale, come ad esempio email, social e chat; installare e disinstallare i diversi programmi utilizzabili dal pc; proteggere i propri dispositivi e la  propria privacy; utilizzare diversi servizi disponibili in rete a disposizione dei cittadini, come l’utilizzo delle credenziali SPID per accedere ai servizi pubblici.

I corsi si svolgeranno, in via esclusiva, in modalità telematica. Si ha tempo 12 mesi per completare la formazione, secondo orari differenti, proposti nel corso della giornata, a seconda delle diverse esigenze. Può essere prevista la presenza di un tutor.

Bonus casalinghe 2022 come richiederlo

Una prospettiva senza dubbio interessante, dal momento che appunto si tratta di opportunità che conferiscono solo vantaggi, dal momento che corsi sono a costo zero, i quali richiedono solo un po’ di dedizione e disponibilità di tempo da ritagliare nel corso della giornata.

Il termine utile per proporre la propria candidatura è il 31 marzo, entro e non oltre le ore 12. Attenzione! La candidatura alla quale si fa riferimento riguarda gli enti di formazione.

Solo nel momento in cui sarà disponibile l’elenco degli enti formativi autorizzati, allora sarà possibile presentare domanda per uno dei corsi proposti, richiedendo la propria partecipazione gratuita.

Il bonus ha alla base una dotazione finanziaria copiosa, pari a 3 milioni di euro all’anno per il triennio 2020-2022. Per quanto riguarda quest’anno, che per l’appunto dovrebbe essere l’ultimo, stando alla situazione attuale, ci saranno tre tranche di erogazione, ognuna delle quali con importi compresi tra 100 mila e 300 mila euro. 

Si tratta per l’appunto delle somme necessarie per coprire i costi della formazione, e quindi l’erogazione della stessa da parte dei docenti, a vantaggio delle donne casalinghe.

Opzione Donna 2022: INPS avvia la procedura. Le nuove regole

Oggi più che mai, uno dei temi e degli argomenti più dibattuti e discussi tra la maggioranza di Governo italiano, i partiti politici con i sindacati dei lavoratori, è sicuramente quello del sistema pensione italiano. Tra i vari argomenti di discussione, al centro del mirino è finita inevitabilmente anche l’imminente necessità di decidere come procedere con le formule di pensionamento anticipato, in scadenza proprio alla fine del mese di dicembre dell’anno scorso, con precisione il 31 dicembre 2021.

A questo proposito, il risultato del confronto di Palazzo Chigi tra esecutivo e sindacati è stato quello di avviare almeno per l’anno in corso un’ulteriore proroga della pensione attraverso l’Opzione Donna.

In effetti, centinaia di migliaia di donne lavoratrici, speranzose di poter finalmente smettere di lavorare prima del tempo, dunque, senza dover avere tutte le condizioni richieste per la pensione di vecchiaia, erano in trepida attesa di ricevere maggiori chiarimenti da parte dell’Istituto INPS in merito alla nuova procedura INPS che dovranno seguire per poter richiedere la pensione tramite l’Opzione Donna.

Dunque, all’interno del seguente articolo, quindi, saranno affrontati nello specifico tutti i dettagli che fanno riferimento alla proroga dell’Opzione Donna, in maniera tale da comprendere quali sono tutte le indicazioni che dovranno essere seguite da parte delle lavoratrici intenzionate a presentare la domanda presso l’Istituto INPS.

Le ultime notizie sulla proroga della pensione anticipata con Opzione Donna 2022

Dopo un periodo caratterizzato da accesi dibattiti e discussioni nelle camere di Palazzo Chigi, fatto da lunghissimi incontri con gli esponenti dei principali sindacati dei lavoratori, accese manifestazioni dei cittadini italiani, la squadra guidata dal premier Mario Draghi, ha deciso di acconsentire almeno per l’anno attualmente in corso, dunque per il 2022, verso la proroga della Pensione Opzione Donna

Attraverso l’entrata in vigore della legge numero 234 avvenuta nella data del 30 dicembre 2021, è stata pubblicata definitivamente la nuova Legge di Bilancio 2022, che ha dato il via alla configurazione del nuovo sistema pensionistico. Tra le varie novità di maggiore interesse pubblico vi è quella che fa riferimento all’estensione della pensione in anticipo per le donne, concessa appunto attraverso l’Opzione Donna, la quale ha quindi finalmente ottenuto la sua proroga ufficiale per l’interno 202.

In questo contesto, la conferma ulteriore dell’avvenuta proroga degli effetti legati alla pensione anticipata dell’Opzione Donna è avvenuta attraverso la pubblicazione del messaggio INPS numero 169 reso noto all’interno del portale telematico nella data del 13 gennaio del nuovo anno.

È attraverso tale comunicazione che l’Istituto INPS ha deciso di fornire tutte le informazioni necessarie per le donne lavoratrici, al fine di comprendere come dovranno presentare l’apposita istanza e documentazione per poter sperare di ottenere la pensione INPS anticipata indirizzata a loro.

Proroga pensione Opzione Donna 2022: il quadro normativo 

Come di consueto, per comprendere al meglio la procedura, le modalità e le tempistiche che le lavoratrici italiane dovranno rispettare per poter riuscire a raggiungere la tanto auspicata pensione con l’Opzione Donna, è fondamentale anche introdurre brevemente il quadro normativo entro cui si pone questa nuova e ulteriore proroga dell’Opzione Donna, concessa non solo alle lavoratrici dipendenti, bensì anche le libere professioniste e le lavoratrici autonome.

A questo proposito, il riferimento essenziale e le disposizioni di carattere normativo ed operativo attraverso cui è stata concessa l’applicazione della proroga per il 2022 dell’Opzione Donna è quella del Bilancio di previsione dello Stato riferito chiaramente all’anno attualmente in corso.

In questo senso, dunque, le nuove disposizioni contenute in Gazzetta Ufficiale numero 310 del 31 dicembre 2021, Supplemento Ordinario numero 49/L, pubblicato attraverso la legge 30 dicembre 2021, numero 234, sono appunto volte alla proroga dell’Opzione Donna.

In particolare, l’articolo 1, al comma 94 della Legge di Bilancio 2022, ha predisposto la modifica dell’articolo 16 relativo al decreto-legge numero 4 del 28 gennaio 2019, successivamente convertito dalla legge di conversione numero 26 del 28 marzo 2019

I beneficiari della proroga di Pensione Opzione Donna 2022

Sulla base di quanto espresso chiaramente all’interno delle normative e delle disposizioni predisposte da parte del Governo Draghi e che sono state formulate all’interno della nuova Legge di Bilancio 2022, dunque, è possibile chiarire anche chi sono gli effettivi beneficiari della proroga per la Pensione Opzione Donna 2022.

In tal senso, potranno ritirarsi dal mondo del lavoro, mediante la formula dell’Opzione Donna, quelle donne che abbiano maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 ani e un’età di 58 e 59 anni (a seconda del lavoro svolto) entro necessariamente la data del 31 dicembre 2021.

In questo senso, concretamente la nuova normativa volta al prolungamento della Pensione Opzione Donna punta alla modificazione del requisito anagrafico, esteso quindi per un ulteriore anno. Questo sta quindi a significare che saranno anche le lavoratrici che sono nate durante gli anni 1963 e 1962 a poter usufruire dell’Opzione Donna. 

Inoltre, all’interno del recente messaggio dell’INPS, sono state confermate anche tutte quelle regole e disposizioni che erano state finora rispettate ai fini dell’applicazione della pensione anticipata per le donne con l’Opzione Donna. 

Per ulteriori informazioni in merito alla formula dell’Opzione Donna, è possibile consultare il video di AppLavoro:

  

Opzione Donna 2022: le regole per avere prima la pensione

Come anticipato, il messaggio numero 169 rilasciato da parte dell’Istituto INPS il 13 gennaio 2022, non soltanto va a precisare l’applicazione e le indicazioni di carattere operativo, legate alla nuova norma sulla proroga di Pensione Opzione Donna, ma ha come scopo quello di confermare e rivedere alcune regole generali che sono state già applicate fino a questo momento.

In questo senso, tra i primi punti da riprendere vi è quello legato al requisito che rimanda all’età anagrafica della donna lavoratrice. In questo caso non vengono applicati eventuali adeguamenti alla speranza di vita.

Tuttavia, nei casi in cui le donne lavoratrici che intendono accedere alla pensione anticipata provvedono a presentare prima la domanda per il riscatto, in questa situazione non sarà più possibile per loro accedere all’Opzione Donna.

Infine, per quanto riguarda le finestre mobili, queste prevedono una durata di 12 mesi nei casi in cui a fare la domanda sono delle donne che svolgono un lavoro come lavoratrici dipendenti, mentre aumenta fino a 18 mesi se si tratta di donne che hanno un’attività da libere professioniste o autonome. 

Quando si può avere la Pensione Opzione Donna?

Durante le ultime settimane dell’ultimo mese dell’anno 2021, la squadra dell’esecutivo ha formulato una serie di proposte e di idee volte appunto a rivedere il sistema pensionistico. Tra i temi toccati vi era anche, come prevedibile, quello legato all’estensione della Pensione Opzione Donna.

Per questo motivo, all’interno del testo della Legge di Bilancio 2022, sono state fornite anche delle specifiche per quanto riguarda un principio che potrà essere validato anche al fine di ottenere l’Opzione Donna. Si tratta di un principio noto a tutti con il nome di cristallizzazione del diritto.

Questo principio rimanda al fatto che le donne che avranno raggiunto le condizioni richieste per avere la Pensione tramite Opzione Donna entro il 31 dicembre dell’anno 2021, avranno la possibilità di inviare la richiesta quando lo riterranno più opportuno, dunque anche nei mesi successivi e a partire dal primo febbraio dell’attuale anno in corso, dunque del 2022.

Mentre per quanto concerne, invece, la decorrenza alla pensione con l’Opzione Donna, questa risulta essere fissata in data 2 gennaio 2022, se a presentare la domanda sono le donne lavoratrici con un contratto di lavoro dipendente. In tal senso, rientrano esclusivamente i casi in cui l’assegno previdenziale sarà liquidato dall’assicurazione generale obbligatoria.

Infine, per quanto riguarda gli assegni previdenziali con Opzione Donna gestiti dal comparto scuola oppure agli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale, la decorrenza della pensione Opzione Donna sarà prevista rispettivamente nelle date del primo settembre oltre del primo novembre di questo anno, il 2022.

Come trasmettere la domanda per avere Pensione Opzione Donna nel 2022

Nel corso dei vari paragrafi del seguente articolo, si è cercato di offrire una panoramica generale di tutte le nuove disposizioni e normative che l’esecutivo di Draghi ha deciso di proporre nella nuova Manovra finanziaria del 2022. Per questo motivo, si è messo in evidenza non solo i requisiti che sono necessari per ottenere la Pensione Opzione Donna, ma anche i principi e le modalità con cui potrà essere applicata verosimilmente tale proroga.

Tuttavia, ora è fondamentale comprendere come è possibile effettivamente compilare, trasmettere ed inviare in maniera corretta la domanda per poter ottenere la Pensione Opzione Donna.

A questo proposito, le procedure che sono state previste per poter provvedere alla presentazione delle domande di pensione sono state aggiornate così da consentire a tutte le donne lavoratrici che presentano i requisiti richiesti di poter inoltrare correttamente la domanda.

In questo senso, è possibile presentare e trasmettere l’istanza personalmente, attraverso la piattaforma telematica online disponibile direttamente sul sito online dell’Istituto, al link www.inps.it

In alternativa, le donne lavoratrici che hanno intenzione di effettuare la trasmissione della pratica per accedere alla pensione Opzione donna, avranno a disposizione anche il servizio legato al Contact Center disponibile ai numeri 803 164 (se si telefona da rete fissa, con la possibilità di usufruire del servizio gratuito) oppure il numero 06 164 164 se da rete mobile.

L’Inail ti paga gli infortuni sul lavoro! Come funziona?

Da un comunicato stampa pubblicato in data 30.12.2021 sul sito ufficiale dell’Inail (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro), apprendiamo che:

“Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra il gennaio e novembre sono state 502.458 (+2,1% rispetto allo stesso periodo del 2020), 1.116 delle quali con esito mortale (-3,0%). In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 50.804 (+24,1%). I dati mensili sono fortemente influenzato dall’emergenza Coronavirus.”

Si tratta di numeri importanti, ancorchè non definitivi in quanto relativi al resoconto di undici mesi sui dodici totali dell’anno 2021 e che, in ogni caso, devono essere soggetti ancora alla fase di consolidamento da parte dell’Istituto stesso. Cosa significa? Che le denunce possono essere fatte anche solo a scopo cautelativo ma alla fine, saranno i casi effettivamente accertati ad essere computati in questa particolare statistica.

Purtroppo continua ad essere molto elevato anche il numero delle vittime sul lavoro. Questo dato, soprattutto, nel 2022, è inaccettabile da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare.

Anche il Papa, recentemente, durante la Messa di Natale, ha voluto focalizzare l’attenzione su questo argomento. Come riporta infatti il sito Avvenire.it:

“Messa della notte di Natale. Il Papa: basta morti sul lavoro.”

Una richiesta di aiuto, un grido disperato, la determinazione di far sì che questo argomento stia sotto i riflettori e non si perda nei meandri di una politica che fatica a trovare le giuste soluzioni per l’occupazione e il mondo del lavoro in generale.

Inail: infortunio sul lavoro. Di cosa si tratta

La pandemia ha cambiato il nostro modo di vivere e le nostre abitudini. Ha modificato anche il mondo del lavoro che, nel nostro Paese, viveva già in uno stato abbastanza precario.

Dapprima il lockdown, poi lo smart working: le abitudini dei lavoratori italiani sono mutate in maniera importante in questi ultimi due anni. Di conseguenza, anche le tipologie di infortuni occorsi sul lavoro hanno cambiato sfumature e connotazioni. 

Che cosa si intende per infortunio sul lavoro? Dal sito del Governo – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali:

“Per infortunio sul lavoro si intende ogni lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violente che determini la morte della persona o ne menomi parzialmente o totalmente la capacità lavorativa.”

Che differenza c’è tra le due forme di invalidità, ovvero totale o parziale?

Dal sito Laleggepertutti.it, appuriamo che:

“L’inabilità permanente può essere: assoluta, se il dipendente perde completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro; parziale, se la capacità lavorativa, pur diminuendo per tutta la vita, si perde soltanto in parte.”

Inail: infortunio da invalidità parziale

Abbiamo appena visto la differenza tra l’infortunio che determina una invalidità temporanea e parziale da quello che invece genera una invalidità permanente totale.

Vediamo di analizzare al meglio le due casistiche iniziando da quella meno pericolosa, ovvero l’infortunio che dà origine ad una invalidità momentanea e parziale.

Fortunatamente non tutti gli avventi avversi che si verificano sul luogo di lavoro o in itinere (perchè giova ricordare che vanno considerati anche gli infortuni occorsi al lavoratore nel tragitto che va dalla propria abitazione al luogo di lavoro e viceversa) portano a conseguenze gravi per la salute dello stesso.

L’infortunio può anche essere di entità più o meno lieve e determinare una situazione di impedimento lavorativo momentanea, sia a livello fisico che temporale. Se ad esempio svolgo un lavoro manuale e le cinque dita sono essenziali per la mia attività, la rottura di un dito della mano, sarà causa di impedimento lavorativo sino a quando non avrà recuperato la totale o quasi efficienza del dito stesso e, conseguentemente, della mano.

In questo caso, sarò nell’impossibilità di svolgere la mia mansione per un determinato tempo (ovvero quello che intercorre tra l’infortunio e il ripristino della funzionalità a livello fisico). Il che, può comportare il fermo totale della mia attività lavorativa o, eventualmente, il passaggio ad altre mansioni e compiti che posso svolgere all’interno dell’azienda durante il periodo di recupero.

Inail: infortunio da invalidità totale

Ben diverso, ovviamente, è il caso di un infortunio di particolare gravità, che comporti la perdità della capacità lavorativa e determini il riconoscimento dello stato di invalidità totale.

La conseguenza di questo stato è il non poter più svolgere alcuna attività lavorativa e quindi quella di essere completamente inabile al lavoro. Mentre nel caso di invalidità parziale, la menomazione fisica è transitoria, nel caso di invalidità totale, si parla di uno stato permanente e duraturo.

Le ripercussioni tra i due possibili scenari, sono quindi estremamente diverse, non solo a livello fisico ma anche a livello economico. Le implicazioni che ne derivano non vanno a colpire solamente il lavoratore, bensì l’intero nucloe familiare.

Basta pensare ad un padre di famiglia, magari con uno o due figli piccoli, che subisce un infortunio grave e dai postumi invalidanti definitivi. In questo caso, oltre al danno fisico, si crea un impatto economico decisamente negativo.

Ecco che quindi, l’intervento dell’Inail è più che mai provvidenziale, oltrechè ovviamente inevitabile.

Cerchiamo di capirne di più, anche a livello pratico.

Inail: come e quando interivene in caso di infortunio

L’Inail interviene in tutti i casi di infortunio sul lavoro o di malattia professionale. In che modo? L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro si preoccupa di erogare tutte quelle prestazioni di natura economica, sanitaria ed integrativa che vanno a sostegno del lavoratore che ha subito l’infortunio.

Aspetto importantissimo da segnalare: anche nel caso in cui il datore di lavoro non sia in regola col relativo premio assicurativo e quindi non abbia provveduto al versamento dello stesso, l’Inail interviene ugualmente a favore del lavoratore dipendente.

Le prestazioni economiche riguardano le indennità che spettano al lavoratore che ha subito l’infortunio. Le prestazioni sanitarie riguardano tutto ciò che concerne il percorso relativo alle cure che possano portare alla guarigione e al ripristino della capacità lavorativa. Sono comprese anche tutte le prestazioni relative alle eventuali protesi di cui il lavoratore necessiiti proprio a seguito dell’evento dannoso occorso sul luogo di lavoro o mentre era in itinere.

Quanto paga però l’Inail? Esistono delle tabelle? Quali sono i parametri?

Innanzitutto occorre evidenziare come, per rientrare nella sfera di competenza dell’Inail, l’infortunio deve comportare una assenza dal lavoro ovvero l’impossibilità di svolgere lo stesso per un numero di giorni superiore a tre. 

A comprova di ciò, vi è un certificato medico che, per l’appunto, indica il numero di giorni nei quali il lavoratore dovrà stare a casa e quindi non potrà svolgere regolarmente il proprio compito all’interno dell’azienda presso la quale lavora. 

Inail: paga. Sì, ma quanto? Come verificare lo stato della pratica?

Volendo entrare nei dettagli, viene subito da chiedersi, in quanto consiste, in termini numerici il pagamento da parte dell’Inail. 

Per prima cosa, l’indennità garantita dall’Ente, decorrerà dal 4 giorno di infortunio (come già evidenziato precedentemente).

Quindi i primi tre giorni sono a carico del lavoratore? Assolutamente no. Per i primi tre giorni, spetta al datore di lavoro indennizzare il lavoratore infortunato con una indennità pari al 60% della retribuzione media giornaliera. 

A partire dal quarto e sino al novantesimo giorno di infortunio, l’indennità prevista ed erogata dall’Inail ammonta al 60% della retribuzione media giornaliera del lavoratore. Oltre, ovvero dal novantunesimo giorno sino alla guarigione, la percentuale di indennità riconosciuta aumenta al 75% della retribuzione media giornaliera. 

E se ci sono lesioni permanenti? In tal caso si parla di danno biologico e il lavoratore potrà chiedere all’Inail la liquidazione dello stesso sotto forma di capitale oppure di rendita a seconda dell’entità del danno stesso.

Ma, la denuncia chi la deve fare? E come si può verificare lo stato della pratica? Il suo iter? Il suo buon fine o meno?

Per quanto riguarda la denuncia di infortunio spetta al datore di lavoro. Sarà quindi compito suo, denunciare all’Inail, l’infortunio del proprio dipendente o similare. Il singolo lavoratore che ha patito l’infortunio, potrà seguire l’iter della pratica attraverso il portale dell’Inail, al quale è possibile avere accesso tramite Spid, Carta Identità Elettronica o Carta Nazionale dei Servizi. 

Inail: ti paga l’infortunio. E se volessi tutelarmi da solo?

Se l’infortunio occorso sul lavoro è pagato dall’Inail, è pur vero che esistono altre forme per tutelarsi in caso di infortunio, anche a 360 gradi. A cosa ci si riferisce? Alle polizze assicurative che coprono tali eventi.

Esistono infatti coperture assicurative che possono assicurare l’intera giornata del singolo individuo (cosiddettà copertura completa) oppure la sola copertura professionale (infortuni sul lavoro) o extraprofessionale (infortuni al di fuori dell’attività lavorativa).

Ovviamente, ogni forma di assicurazione ha un suo premio (ovvero prezzo) a seconda dell’ambito più o meno esteso di operatività (la polizza con copertura h24 ha un costo maggiore di quella che copre solo gli infortuni professionali o extraprofessionali), delle garanzie scelte, dei massimali assicurati e delle franchigie e scoperti previsti in polizza.

Va evidenziato un concetto molto importante: quando si stipula una polizza assicurativa, ai fini della garanzia Invalidità permanente da infortuni, è possiibile scegliere tra la tabella Ania o la tabella Inail. Essendo la seconda più favorevole all’assicurato, si consiglia, ove possibile, di richiederne l’inserimento (fermo restando il fatto che, rispetto alla tabella Ania, comporta il pagamento di un premio di polizza superiore).

Abbinando una polizza assicurativa all’indennizzo previsto dall’Inail, potrete completare la copertura della vostra persona. Pensate anche ad una eventuale polizza in caso di non autosufficienza (ove ci siano le possibilità anche economiche). Meglio essere previdenti.

Inflazione record la Fed aumenti i tassi, panico sui mercati

Inflazione record negli USA, nel mese di gennaio fa segnare un valore dell’7%, valori del genere non si registravano dal lontano 1982.

Livelli preoccupanti tanto da far annunciare alla Federal Reserve la volontà in tempi brevi di un rialzo dei tassi di interesse.

Durante il 2022 la Fed ha dunque previsto 3 appuntamenti in cui aumenterà i tassi, questo potrà avvenire già a partire dal primo board previsto per marzo.

Una svolta dunque nella strategia monetaria attuata negli ultimi anni che potrebbe si portare ad una riduzione dell’inflazione ed una stabilità dei prezzi, ma allo stesso tempo rischi di impattare pesantemente sull’andamento dei mercati finanziari.

Inflazione e quadro generale in Usa

Come già scritto in precedenza un’inflazione al 7% in America non si vedeva da almeno 40 anni, il tasso continua a crescere di mezzo punto al mese e questo non può non creare un allarme tra analisti ed economisti.

Questa rapida impennata inflattiva, se escludiamo quei beni volativi, come cibo ed energia responsabili di questo aumento ci accorgiamo che gli aumenti che hanno determinato maggiormente il violento rialzo sono quelli del mercato delle auto usate e quello degli affitti.

Nella giornata di ieri il presidente J.Powell ha ribadito l’inflazione come “un vero e proprio pericolo” per dell’economia americana e che quindi potrebbe prendere a riguardo provvedimenti decisi di riduzione dei sostegni monetari all’economia, ma non è stato chiaro sul quando.

Noi siamo convinti che ciò avverrà nel mese di Marzo, ipotesi rafforzata dagli ottimi dati provenienti dalla disoccupazione scesa sotto il 4%.

I danni provocati dall’inflazione stanno creando disagi sociali ed economici a causa di un aumento sconsiderato dei prezzi di molti tra i beni di consumo comuni. 

Inoltre è importante sottolineare come l’inflazione stia impattando negativamente sul potere d’acquisto degli americani.

Gli importi degli stipendi infatti al netto dell’inflazione hanno subito una riduzione del 2,4% rispetto al 2020, non c’è da essere sereni.

Arrivano rassicurazioni dal presidente Joe Biden che alla luce di questi numeri commenta:

“Stiamo facendo progressi nel rallentare la velocità di aumento dei prezzi, ma abbiamo ancora lavoro da fare perché l’inflazione è ancora troppo alta e sta mettendo in difficoltà molte famiglie”.

“L’inflazione non interessa tutto il mondo, ma è un problema che si sta verificando solo in alcune nazioni come gli Stati Uniti”, questa il commento del direttore generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva.

Per chi fosse interessato nel video che segue pubblicato sul canale You tube da Marco Cavicchioli divulgatore Bitcoin, un interessante analisi economico sull’impatto dell’inflazione attuale oltre che ad un probabile rialzo dei tassi di interesse potrebbe avere sull’andamento della momneto digitale.

Mercati finanziari dopati grazie all’effetto leva, ma con il rialzo dei tassi il meccanismo potrebbe rompersi 

E’ il sito Yardeni Research a pubblicare i dati che dimostrino di quanto sia aumentato negli ultimi tempi  il “margin debt” negli USA, nel solo mese di novembre 2021 salito a circa 900 miliardi di dollari, numero praticamente raddoppiato rispetto ai livelli pre-pandemia.

Il margin debit si riferisce ai debiti acquisti da trader ed investitori per l’acquisto di azioni ed obbligazioni.

Praticamente il meccanismo che ha determinato un aumento del volume degli investimenti sui mercati finanziari funziona in questo modo:

L’effetto leva previsto dalle autorità americane per l’acquisto di titoli finanziari (in vendita o in acquisto) prevede la possibilità di farsi prestare dal broker di turno fino al 50% dell’importo necessario.

Di seguito un esempio per rendere meglio l’idea:

immaginate di voler acquistare 1000 azioni di una determinata società che prezzano 2$ l’una.

In teoria per portare a termine l’investimento vi occorrerebbe avere una liquidità di 2.000 dollari, ebbene con le regole vigenti negli Usa potrete acquistarle detenendo “solo” 1.000$.

L’intermediario vi permetterà, finanziandovi metà dell’operazione, di effettuare l’acquisto a fronte del pagamento di una piccola commissione.

Le azioni in portafoglio grazie all’investimento a debito rappresenteranno per il broker la sua garanzia.

Le conseguenze sui mercati finanziari del rialzo dei tassi

Ma cosa centro tutto questo con l‘impatto che potrebbe avere un quasi certo rialzo dei tassi sul mercato azionario?

Per far questo dobbiamo prima finire di vedere i due scenari ai quali andrà incontro il nostro investimento.

Abbiamo dunque comprato le nostre 1000 azioni versando 1.000$ invece che 2.000$.

Immaginiamo ora che il titolo in questione perda valore e scenda di 60 cent., il valore della garanzia scenderebbe a 300 $.

Il broker rimarrebbe scoperto di 700 dollari, a questo punto noi ci troveremmo davanti a due possibili scelte:

  • reintegrare il conto con 700 $;
  • disinvestire vendendo i due terzi del pacchetto azionario.

In pratica, quando si verifica il “margin call”, si corre il rischio che le vendite di titoli siano importanti proprio con l’obiettivo di recuperare la liquidità richiesta del creditore.

Il caso due, il più auspicato da broker è investitori vede il titolo azionario crescere, insieme alla garanzia, in questo caso non ci sono problemi.

Ora il discorso legato al rialzo dei tassi potrebbe compromettere l’intero meccanismo, questo perchè prestare i soldi risulterà decisamente più costoso con gli investitori che si troveranno a chiedere sempre meno denaro per investire a debito.

Il meccanismo finanziario che ha regolato l’acquisto dei titoli con la possibilità di sfruttare un effetto leva fino al 50% ha fatto si che i volumi dei soldi convogliati all’interno dei mercati crescessero in maniera vertiginosa.

Se tutto questo dovesse cambiare a causa di un rialzo dei tassi, si potrebbe rischiare di tornare ad un mercato “depresso”, con gli investitori poco motivati a fare operazioni e con molti altri che potrebbero decidere di smobilitare anticipatamente operazioni in corso.

E già perchè un rialzo dei tassi porterebbe anche ad un fisiologico abbassamento dei valori delle azioni con molti “margin call” pronti a scattare creando panico ed aumentando una vendita generale su tutto il mercato, insomma si innescherebbe un vero e proprio circolo vizioso.

Il rialzo dei tassi però sembrerebbe necessario per far terminare il rally dell’indice dei prezzi al consumo e ristabilire un tasso di inflazione nella norma.

Quello che però ha stupito è stato un intervento del presidente della federal Reserve Jerome Powell al Senato in cui ha parlato di tassi bassi ancora per un periodo di tempo lungo.

Altro fatto insolito e rappresentato dal fatto che nonostante il liveli di inflazione da Armageddon, i mercati sembrano non essersi accorti di nulla con l’indice americano S&P 500 che continua a salire tra uno storno ed una rottutra dei massimi precedenti a far segnare nuovi massimi storici.

Certo il dato record era atteso e probabilemtne a Wall street credono ancora alla narrativa della transitorietà.

Lo avrà fatto per rassicurare i mercati nel breve termine?

Lo vedremo nei prossimi mesi, il primo appuntamento chiave lo avremo nel collegio previsto per Marzo.

I mercati si fidano da sempre di quanto espresso dalle banche centrali quasi certamente confidando nel fatto che fattori come tecnologia, globalizzazione e invecchiamento demografico tornino a spingere i prezzi di beni e servizi al ribasso, frenando il rialzo dei tassi.

Fondo perduto turismo 2022: ecco a chi spetta!

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Il settore turistico è stato sicuramente uno dei più colpiti dalla pandemia del coronavirus. Proprio per questo motivo, sono stati previsti finanziamenti per risanarlo e risollevarlo.

Non bisogna dimenticare i diversi lockdown che si sono succeduti lo scorso anno, ma neppure il timore di molti turisti dell’avanzata del virus. Con l’avanzata del covid, bisogna considerare le puntuali disdette da parte dei turisti

Insomma, il settore turistico ha subito perdite molto consistenti. Per ovviare, in parte, al periodo di crisi sono stati finanziati incentivi per il turismo. Si tratta di contributi a fondo perduto e crediti di imposta, per un valore di 500 milioni di euro, previsti dal Decreto-legge n. 152 del 2021. 

Si tratta, comunque, di incentivi e finanziamenti che non vanno nella direzione del sostegno, ma hanno l’obiettivo di far attrezzare, ristrutturare e rimodernare le imprese interessate. 

In questo articolo andremo ad analizzare chi sono i destinatari del fondo perduto e dei crediti di imposta e, infine, daremo uno sguardo all’Avviso che esplica le modalità per richiedere i contributi.

Fondo perduto turismo: pubblicato l’avviso!

Le misure e gli incentivi per il comparto turistico sono previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Gli incentivi, sotto forma di contributi a fondo perduto e di crediti di imposta sono stati approvati attraverso il Decreto pubblicato il 6 novembre del 2021.

Si tratta di una grande opportunità per i gestori delle imprese turistiche, che possono beneficiare di finanziamenti molto generosi – tant’è che la misura è stata soprannominata sul web come Superbonus 80%.

La piattaforma per richiedere il fondo perduto e i crediti di imposta per alcune categorie di imprese che operano nel settore turistico, sarà operativa entro il 21 febbraio del 2022.

La domanda dovrà essere presentata tramite la piattaforma, seguendo le indicazioni presenti nell’avviso del Ministero del Turismo, pubblicato il 23 dicembre scorso.

I finanziamenti si dividono in contributi a fondo perduto e di crediti di imposta destinati ad alcune specifiche imprese – che elencheremo successivamente. Si tratta di misure che possono essere cumulate tra di loro, rispettando il limite di spesa ammessa.

Con la pubblicazione dell’Avviso, il 23 dicembre 2021, il Ministero del Turismo ha elencato dettagliatamente quali sono le imprese interessante e quali requisiti devono possedere per ricevere e per beneficiare degli incentivi.

Prima di elencare quali sono i requisiti che è necessario possedere, è bene andare ad analizzare chi sono i destinatari del fondo perduto Turismo.

Fondo perduto turismo: a quanto ammontano i finanziamenti?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha previsto lo stanziamento di 100.000.000 di euro per il 2022, altri 180.000.000 di euro per il 2023 e 180.000.000 di euro per il 2024 e, infine, altri 40.000.000 di euro per il 2025.

Ma non è tutto: il 50% delle risorse sono destinate agli interventi di riqualificazione energetica e per l’innovazione digitale. Inoltre, è previsto il 40% per gli interventi nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia e nelle isole: Abruzzo, Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Molise, Sardegna e Sicilia.

Come si legge nel testo dell’Avviso:

“Il limite di spesa complessivo è pari a 500 milioni di euro, eventualmente integrabili sulla base della sopravvenienza di ulteriori risolse unionali, statali e/o regionali”.

Fondo perduto turismo: beneficiari e requisiti!

Il periodo della pandemia ha causato problemi non indifferenti, soprattutto al settore turistico. Ma oltre alle perdite in termini economici, l’obiettivo dei fondi in oggetto è quello di rendere le strutture turistiche e le imprese che operano in questo settore più moderne, al passo con i tempi e più competitive.

Successivamente, andremo ad analizzare quali sono le spese ammesse; adesso, è bene elencare chi sono i destinatari della misura.

Il Fondo perduto per il turismo e i crediti di imposta sono destinati a diverse categorie di beneficiari, ovviamente in possesso dei requisiti previsti. 

Gli incentivi spettando alle seguenti attività appartenenti al comparto turistico:

  • Le imprese e le strutture alberghiere;
  • Gli agriturismi;
  • Strutture ricettive all’aperto;
  • Imprese del comparto turistico, ricreativo, fieristico e congressuale;
  • Stabilimenti balneari;
  • Complessi termali;
  • Porti turistici;
  • Parchi tematici, acquatici e faunistici.

È di fondamentale importanza che le imprese e strutture sopra indicate risultino, al momento della presentazione della domanda, iscritte al registro delle imprese. Inoltre, così come si legge sull’Avviso pubblicato dal Ministero del Turismo:

“Ciascuna impresa turistica può presentare una sola domanda di incentivo per una sola struttura di impresa oggetto di intervento”.

Non potranno presentare la domanda le imprese che stanno fallendo oppure che si trovano in fase di liquidazione anche volontaria.

È fondamentale essere in regola con il Durc, con la normativa antimafia vigente ed essere in regolarità fiscale.

Fondo perduto turismo: quanto spetta!

Il cosiddetto Bonus Turismo prevede finanziamenti molto consistenti. Si tratta, infatti, di ben 100 milioni di risorse disponibili per il 2022.

Come abbiamo già detto in precedenza, il Ministero del Turismo, con la pubblicazione di un apposito Avviso ha definito e chiarito chi sono i beneficiari della misura e quali sono le regole per richiedere e beneficiare degli incentivi.

Innanzitutto, è bene sottolineare che gli incentivi previsti dal PNRR verranno erogati in due modalità differenti: sotto forma di contributo a fondo perduto e come credito di imposta.

Come abbiamo già detto, credito di imposta e fondo perduto possono essere cumulati, ma soltanto rispettando il limite di spesa previsto.

Ordunque, le imprese e le strutture turistiche che sono in possesso di tutti i requisiti e che presentano alcune condizioni, possono richiedere e beneficiare di un consistente pacchetto.

Per quanto riguarda il credito di imposta, l’importo spettante può essere utilizzato fino all’80% delle spese ammesse e il fondo perduto non deve superare il 50% delle spese sostenute per gli interventi.

Ma spieghiamoli meglio entrambi. In riferimento al credito di imposta, può essere utilizzato per i lavori che sono stati effettuati dal 7 novembre del 2021 fino al 31 dicembre del 2024

Inoltre, può essere usato anche per quegli interventi che sono stati iniziati dopo il 1° febbraio del 2020 e che non sono ancora finiti, ma a patto che i costi per la loro effettuazione siano stati sostenuti a partire dal 7 novembre del 2021. Inoltre, in riferimento alle spese sostenute dopo il 7 novembre 2021, esse devono essere certificate con la relativa fattura.

Invece, per quanto riguarda il fondo perduto, è possibile beneficiare per i lavori eseguiti dal 7 novembre del 2021 fino al 31 dicembre del 2024. Il limite massimo è pari a 40.000 euro.

Ma c’è dell’altro. Per quanto riguarda le spese di progetto che sono ammesse, ma che, per forza di cose, non possono essere agevolate, le imprese interessate possono anche beneficiare di finanziamenti a tasso agevolato. Si tratta di incentivi che sono previsti dal Fondo nazionale per l’efficienza energetica, ma come si legge sul sito informazionefiscale.it:

“[…] a condizione che almeno il 50 per cento di tali costi sia dedicato agli interventi di riqualificazione energetica”.

Fondo perduto turismo: quali sono gli interventi ammessi?

Dopo aver chiarito chi sono i destinatari del cosiddetto Superbonus Turismo e quali sono i requisiti che bisogna possedere, è arrivato il momento di analizzare quali sono gli interventi ammessi

Gli interventi che sono ammessi agli incentivi finanziati dal PNRR sono i seguenti:

  • Per migliorare e accrescere l’efficienza energetica;
  • Per la riqualificazione antisismica;
  • Per eliminare le barriere architettoniche;
  • Tutti i lavori di manutenzione ordinaria, per quelli di restauro, di risanamento conservativo, per quelli di ristrutturazione edilizia e per la messa in posa di manufatti leggeri che siano funzionali ai punti elencati precedentemente.

Oltre a questi appena elencati, ci sono altri interventi ammessi:

  • Per i centri termali, l’installazione di piscine termali e l’acquisto di attrezzature utili all’espletamento di attività termali;
  • Per l’aggiornamento dei dispositivi digitali;
  • Infine, per l’acquisto di mobilia, componenti d’arredo e per l’illuminazione. In questo caso, si deve trattare di strumenti utili e funzionali ad uno dei punti elencati in precedenza.

Fondo perduto turismo: come e quando presentare la domanda!

Innanzitutto, è bene sottolineare che l’attribuzione degli incentivi avverrà in base all’ordine di presentazione delle domande, nel limite massimo di 500.000.000 di euro.

Il numero minimo di imprese beneficiare è di 3500. Nel caso in cui le risorse stanziate dovessero esaurirsi prima, gli incentivi previsti verranno erogati alle prime 3700 attività e, naturalmente, in questo caso, l’incentivo spettante verrà ridotto proporzionalmente.

Ma passiamo alle modalità di presentazione delle domande. Le imprese interessate a ricevere i fondi stanziati e che siano in possesso di tutti i requisiti previsti, dovranno presentare la domanda unicamente per via telematica sull’apposita piattaforma online

Le modalità di accesso alla piattaforma saranno rese note entro sessanta giorni dalla pubblicazione dell’Avviso. Pertanto, orientativamente, le istruzioni e la piattaforma saranno disponibili entro il 21 febbraio 2022.

Le imprese interessate potranno registrare il proprio profilo e presentare la domanda entro trenta giorni dopo l’apertura della piattaforma.

Infine, facciamo un ultimo accenno a come si fruiscono gli incentivi. Per quanto riguarda il credito di imposta, si deve utilizzare soltanto in compensazione tramite modello di pagamento F24, entro il 31 dicembre del 2025.

Per chi lo desiderasse, il credito di imposta può essere anche interamente o solo in parte ceduto a terze persone, ivi compresi istituti bancari e intermediari finanziari.

Invece, il contributo a fondo perduto viene erogato tramite bonifico bancario all’IBAN indicato dall’impresa.

La Russia sta per attaccare l’Ucraina? L’invasione è vicina!

Le forze russe si stanno preparando per la guerra in Ucraina? I militari russi invaderanno l’Ucraina a breve? Le probabilità sono elevatissime. Nonostante si sia dato seguito ad una serie di colloqui che coinvolgono sia la Russia che l’Occidente, il timore che un’invasione avvenga a breve, è elevato.

Già in passato la Russia, nel 2014, ha occupato parte dell’Ucraina meridionale e ha sostenuto i separatisti filo-russi che hanno iniziato un conflitto in vaste aree della parte Est.

La Russia sta avvertendo l’Occidente che darà seguito a interventi militari in Ucraina se l’Occidente non soddisferà le sue richieste, avvertendo i paesi occidentali che la sua pazienza sta terminando.

Nel frattempo gli Usa avvertono la Russia che se dovesse continuare su questa strada, ci saranno sanzioni senza precedenti. L’invasione dell’Ucraina e il susseguente conflitto, sono più vicini che mai!.

Ucraina: posizione strategica sia per la Russia che per la Nato

L’Ucraina condivide i confini sia con l’UE che con la Russia, ma in quanto ex repubblica sovietica ha profondi legami sociali e culturali con la Russia e infatti la lingua più parlata e diffusa è il russo.

Il punto fondamentale di tutta questa questione è che l’Ucraina ha tutte le intenzioni di entrare a far parte della Nato, mentre la Russia le chiede di non fare questo passo, nonostante l’Ucraina sia un paese sovrano e indipendente. Dall’altra parte la Nato è pronta ad accogliere l’Ucraina nell’alleanza occidentale.

Quando l’Ucraina nel 2014 ha deposto il suo presidente filo-russo, annettendo la penisola della Crimea meridionale, i separatisti provenienti dalla Russia hanno occupato due zone orientali dell’Ucraina, conosciute come Donbas. Insomma da quell’anno in poi tra i due paesi limitrofi, c’è sempre stata tensione e ora potrebbe essere arrivato il momento dello scoppio. 

La minaccia di invasione da parte della Russia sull’Ucraina, è reale?

Sono le forze russe che operano oltre il confine ucraino a destare maggiori preoccupazioni per l’Ucraina e, di conseguenza, per tutto l’occidente.

Il ministro degli Esteri polacco Zbigniew Rau ha avvertito che il rischio di una guerra che si sta avendo in questo periodo è il maggiore che si sia mai avuto da trent’anni a questa parte. 

La minaccia di una guerra e di un’invasione da parte della Russia, insomma, è reale, anche se con tutta probabilità non è imminente. 

Intanto la Russia dà prova di forza, mostrando solo avanti ieri in Tv i suoi carri armati schierati al confine con l’Ucraina. 

La Russia rassicura: “non c’è l’intenzione di attaccare l’Ucraina”

Il 10 gennaio il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha insistito sul fatto che “non ci siano piano né intenzioni di attaccare l’Ucraina”. Il capo delle forze armate Valery Gerasimov ha dichiarato che le notizie di un’imminente invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sono solo menzogne.

Nonostante queste rassicurazioni, il presidente Vladimir Putin ha rassicurato che la Russia prenderà “appropriate misure di ritorsione tecnico-militari” se quello che lui stesso definisce un approccio aggressivo dell’Occidente, dovesse continuare. 

Il viceministro degli esteri russo, Ryabkov, ha paragonato la situazione attuale alla crisi missilistica cubana del 1962, quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si avvicinarono al conflitto nucleare.

Colloqui tra Russia e USA: ci sono dei risultati?

Putin ha parlato più volte con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e anche i funzionari russi hanno incontrato le controparti di sicurezza statunitensi, della NATO ed europee. Ma i funzionari russi affermano che dall’occidente stanno arrivando solo “rifiuti” e questo non fa altro che portare la situazione in un “vicolo cieco”, e quindi è inutile procedere con ulteriori colloqui diplomatici.

Gli Stati Uniti affermano che la Russia non ha offerto nessuna prova che non invaderà l’Ucraina né ha dato una spiegazione accettabile del perché si trovino 100.000 truppe dispiegate al confine con l’Ucraina. 

Secondo i servizi di intelligence occidentali e ucraini, una invasione russa del paese, potrebbe avvenire nei prossimi mesi del 2022. 

La Russia sta solo tentando di allontanare la NATO o è davvero intenzionata ad invadere l’Ucraina?

La Russia sta facendo tutto questo nel tentativo di allontanare la Nato da paesi troppo vicini alla Russia, come appunto l’Ucraina, o è davvero intenzionata ad invadere un paese sovrano? E se fallisce, cosa succede dopo?

La verità innegabile è che le tensioni tra Ucraina e Russia sono ai massimi storici degli ultimi anni, con un accumulo di truppe russe vicino ai confini con l’Ucraina che alimenta i timori che Mosca possa lanciare un’invasione nelle prossime settimane o mesi.

Secondo l’Ucraina, la Russia sta cercando di destabilizzare il paese prima di procedere con qualsiasi invasione militare pianificata. 

Le potenze occidentali hanno ripetutamente messo in guardia la Russia nelle ultime settimane contro ulteriori mosse aggressive contro l’Ucraina.

La Russia nega di voler attaccare l’Ucraina

Il Cremlino continua a negare di star pianificando un attacco e sostiene che l’eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato, compreso il sostegno che il paese sta dando all’Alleanza, come l’aumento delle forniture di armi, l’addestramento militare e così via, costituisce una minaccia crescente per la Russia.

Il punto è che, come dicevamo prima, parlare non sta servendo a nulla. Nonostante i colloqui tra Biden e Putin, nonostante gli avvertimenti di gravi conseguenze da parte di NATO ed Europa, 100 mila soldati russi sono rimasti ammassati al confine ucraino pronti ad invadere il paese. E i risultati dell’intelligence statunitense hanno stimato che la Russia potrebbe iniziare quest’offensiva nei primi mesi del 2022, quindi tra poco.

Alla fine del 2021, le foto satellitari hanno rivelato che gli armamenti russi comprendono cannoni semoventi, carri armati e veicoli da combattimento della fanteria e che si trovano su un campo di addestramento a circa 300 km dal confine con l’Ucraina. Ma poche altre informazioni sono state rese pubbliche, e questa segretezza non fa che aumentare le preoccupazioni occidentali. 

Secondo il Ministro della Difesa russo, queste non sono altro che semplici esercitazioni militari.

Nel frattempo, le regioni ucraine orientali di Donetsk e Luhansk al confine con la Russia, l’area che prima abbiamo chiamato Donbas, sono sotto il controllo dei separatisti sostenuti dalla Russia dal 2014. Questi territori, secondo l’Ucraina, sono “occupati” illegalmente dalla Russia, la quale però lo nega.

Ad ottobre scorso, per la prima volta, l’Ucraina si è mossa utilizzando un drone di fabbricazione turca per colpire proprio una posizione dei separatisti filo-russi. Questo per la Russia è stato inaccettabile, è stata considerata a tutti gli effetti una provocazione.

La Russia ha anche decine di migliaia di forze nella sua massiccia base navale in Crimea, il territorio ucraino che ha annesso nel 2014. La penisola di Crimea, che si trova a sud del resto dell’Ucraina, è ora collegata da un ponte stradale alla terraferma Russia.

Quando sono nate le tensioni tra Ucraina e Russia?

Le tensioni tra Ucraina e Russia, entrambi ex stati sovietici, sono iniziate ad aumentare alla fine del 2013 a causa di un importante accordo politico e commerciale con l’Unione Europea che si sperava l’Ucraina portasse a termine. Il presidente di allora, però, il filorusso Viktor Yanukovich decise di sospendere i colloqui con l’Europa, e questa sua decisione sfociò in violente proteste, soprattutto a Kiev. 

Poi, come se non bastasse, nel 2014, precisamente a marzo, la Russia ha deciso di annettere la Crimea, una penisola filo-russa autonoma e che si trova nell’Ucraina meridionale. La giustificazione della Russia? Difendere i propri interessi e quelli dei cittadini di lingua russa che vivono in Crimea

In pochi giorni, migliaia di soldati russi si riversarono in Crimea. In pochi giorni, la Russia completò la sua annessione con un referendum popolare, considerato illegittimo sia dall’Ucraina che dalla maggior parte dei paesi del mondo. 

Poco dopo, i separatisti filo-russi nelle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk dichiararono la loro indipendenza da Kiev, provocando mesi di pesanti combattimenti. Nonostante Kiev e Mosca abbiano firmato un accordo di pace a Minsk nel 2015, mediato da Francia e Germania, ci sono state ripetute violazioni del cessate il fuoco.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, da marzo 2014 si sono verificati più di 3.000 morti civili legati al conflitto nell’Ucraina orientale.

L’Unione europea e gli Stati Uniti hanno imposto una serie di misure in risposta alle azioni della Russia in Crimea, comprese sanzioni economiche nei confronti di individui, entità e settori specifici dell’economia russa.

Il Cremlino, invece, accusa l’Ucraina di fomentare le tensioni nell’est del Paese e di aver violato l’accordo di Minsk per il cessate il fuoco.

Il Cremlino ha ripetutamente negato che la Russia abbia intenzione di invadere l’Ucraina, insistendo che la Russia non rappresenta una minaccia per nessuno e che il paese che sposta truppe attraverso il proprio territorio non dovrebbe essere motivo di allarme per nessuno. Anche se, inevitabilmente, Mosca vede il crescente sostegno all’Ucraina da parte della NATO – in termini di armi, addestramento e personale – come una minaccia alla propria sicurezza. 

Il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto accordi legali specifici che escluderebbero qualsiasi ulteriore espansione della NATO verso est verso i confini della Russia, affermando che l’Occidente non è stato all’altezza delle sue precedenti rassicurazioni verbali.

Come andrà a finire? Solo il tempo potrà dirlo.

Covid: il Governo fa una “leggera” marcia indietro, dettagli

Il Governo, visti anche i sintomi più leggeri che la variante Omicron sta avendo su chi si contagia, nonostante la mole enorme di infetti sia tra i vaccinati che tra i non vaccinati, e viste anche le tante richieste che arrivano da più regioni e da più governatori, sta pensando di fare una “leggera” marcia indietro sulle regole imposte ai cittadini italiani, regole rigide, liberticide e, spesso, anti-costituzionali. Scendiamo nei dettagli e vediamo quali sono le intenzioni del governo Draghi.

Gli altri stati europei, vedi la Spagna, la Svezia, ma anche la Gran Bretagna, ormai hanno preso la decisione di considerare il Covid come un’influenza e, soprattutto, hanno preso la decisione di convivere con il virus, non potendo onestamente rincorrerlo con vaccini e booster ogni tre o quattro mesi.

E così, incredibilmente e inaspettatamente, anche il governo italiano, pressato da alcuni governatori di regione, sta pensando a nuove regole “più leggere” per seguire la strada degli altri paesi, ovvero: convivere con il virus, sempre mostrando la dovuta cautela

Ma sarà davvero così? Vediamo.

Covid: molte regioni italiane chiedono al governo Draghi di rivedere le misure restrittive

Molte regioni stanno pressando il governo affinché faccia una marcia indietro e semplifichi le misure anti-covid, troppo confusionarie e, soprattutto, restrittive. Il Ministro della Salute ha aperto a questa proposta e infatti, come ci racconta Fanpage, ha annunciato che a breve sarà organizzato un tavolo di confronto tra il Governo Draghi e i presidenti di regioni.  

Speranza ha affermato, infatti, che la nuova fase che l’Italia sta vivendo non è uguale alle precedenti, nonostante sia ancora delicata, ci sono delle evidenti differenze che rendono la situazione più tranquilla.

Tra gli argomenti sui quali governo e regioni discuteranno, c’è la fine della quarantena per i positivi vaccinati con terza dose o con seconda da meno di 4 mesi, la fine dei colori delle regioni e l‘introduzione di alcune eccezioni nell’esibizione del green pass in negozi e attività.

Covid: novità riguardanti fine quarantena e isolamento

La Quarantena potrebbe vedere presto nuove regole: chi è positivo ma è terzo dosato oppure ha fatto la seconda dose da non più di quattro mesi.

Si parla di una riduzione della quarantena a cinque giorni o l’eliminazione totale dell’isolamento per i positivi asintomatici che hanno fatto la terza dose o la seconda da meno di 4 mesi.

Il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa ha sottolineato, però, che convivere con il virus non significa abbandonare le cautele; per esempio dovrebbe restare l’obbligo delle mascherine che impediscono notevolmente la trasmissione del Covid.  

I principali governatori che stanno insistendo con il Governo sono i presidenti di Lombardia ed Emilia Romagna. Quando ci sarà la Conferenza Stato-Regioni ci sarà anche una proposta sul tavolo, ovvero non sospendere il Green Pass a coloro che risultano positivi al Covid, ma sono asintomatici e hanno fatto la terza dose ed eliminare l’obbligo di test alla fine dei cinque giorni di quarantena per i vaccinati che hanno avuto un contatto con un positivo. 

Covid: le regioni chiedono lo stop ai colori

Un’altra richiesta che arriva dalle regioni è l’eliminazione del sistema dei colori per le regioni. Niente più zona bianca, gialla, arancione e rossa, nessuna restrizione dunque in base al colore e alla gravità dei contagi

I presidenti di regione vogliono assicurare ai cittadini un libero spostamento tra le regioni italiane ed evitare nuove chiusure e in particolare il temuto ritorno alla Dad per gli studenti.

Anche Locatelli del Cts ha affermato che adesso non c’è più bisogno del sistema delle colorazioni.

Covid: nuove regole sul Green Pass

Probabilmente, ma al momento sono solo rumors e non sono notizie confermate, ci potrebbe essere qualche eccezione alla presentazione del green pass in alcune attività che assicurano il soddisfacimento di esigenze personali ed essenziali.

Come sappiamo bene l’ultimo decreti degli innumerevoli e ormai incalcolabili decreti emanati dal Governo Draghi, aveva esteso il Green Pass anche a parrucchieri, estetisti, banche, poste, centri commerciali. Da Palazzo Chigi, a parte escludere che la lista possa essere allungata (e menomale, ci manca solo che i non green passati non possano nemmeno più fare la spesa) si sta pensando di inserire qualche altra eccezione alla presentazione del lasciapassare. Quale? Di che tipo? Al momento non ci è dato sapere. Appena ci saranno novità, ovviamente scriveremo un nuovo articolo di aggiornamento.

Nel frattempo si parla anche di quarta dose, ma solo per i fragili. Staremo a vedere se poi, piano piano, non verrà estesa a tutti com’è stato fatto sinora con “finti” obblighi vaccinali. 

Intanto Omicron in Italia dovrebbe aver raggiunto il picco e starebbe scendendo. Grazie ad Omicron, invece, starebbero aumentando gli immuni naturali, ovvero i guariti.

Covid: nelle prossime settimane ci sarà una Conferenza Stato-Regioni

Nelle prossime settimane ci sarà una Conferenza Stato-Regioni nella quale si affronteranno tutte le richieste e le proposte fatte dai governatori di regione. Ci vorrà, naturalmente, un po’ di tempo. 

Nel breve periodo, però, i cambiamenti che si avranno non saranno affatto piacevoli e non avranno nulla a che fare con una eventuale “marcia indietro” da parte del Governo. Da febbraio, infatti, secondo l’ultimo decreto legge, il green pass servirà per entrare in ogni luogo, eccetto supermercati, alimentari, ospedali e farmacie. Sono in forse negozi di intimo, edicole e tabaccai. 

Lo vogliamo ricordare ancora una volta, l’Italia è il paese “democratico” con maggiori restrizioni in Europa e al mondo. Ma questo non ha affatto fermato la curva dei contagi. 

Si spera che, come abbiamo detto in precedenza, il Governo ceda a qualche altra eccezione e che lasci fuori altre attività dalla presentazione obbligatoria del lasciapassare. Probabilmente tale lista definitiva, comprensiva di eccezioni, sarà pronta già la prossima settimana

Il provvedimento stavolta sarà un semplice Dpcm, atto amministrativo senza alcuna valenza di legge, che servirà solo a spiegare (forse) il marasma di regole contenuto nell’ultimo decreto legge anti-Covid, il più restrittivo e anti-costituzionale d’Europa.

Covid: ci sono dei punti oscuri su tutta la normativa, un’accozzaglia di regole senza senso

Restano dei punti oscuri su tutta la normativa: si potrà andare dal dottore? Si potrà andare dal veterinario? Si potrà andare in caserma o in questura per denunciare una violenza o un reato? Si potrà accedere a tutte le attività riguardanti i minori? A queste domande non si ha al momento alcuna risposta.  

Il governo starebbe pensando ad una serie di eccezioni riguardanti la presentazione del green pass, decise in base ad un criterio dell’urgenza, sempre se si riesca a fermare il Ministero dello Sviluppo Economico che, al contrario, spinge per allungare addirittura la lista dei luoghi dove presentare il green pass

Covid: dal 20 gennaio green pass anche dal parrucchiere

Dal 20 gennaio barbieri, parrucchieri ed estetisti dovranno già chiedere il green pass base ai clienti. Nei prossimi mesi, invece, si starebbe già pensando alla quarta dose per i fragili e ad un booster ogni 4 mesi.

Secondo Ansa, ormai l’Italia ha raggiunto il 90% di “immunizzati”, chiamati erroneamente così anche i vaccinati, nonostante il vaccino, come ormai sanno tutti, non renda immuni.

Nonostante questa enorme percentuale, ben oltre ogni speranza e immunità di gregge, si continua la caccia al non vaccinato.

È davvero mai possibile che “quattro gatti”, che un dieci per cento di persone, uno zoccolo duro, come viene chiamato, possa combinare tutti questi danni, intasare le terapie intensive ed essere il colpevole per eccellenza di tutte le misure anti costituzionali e liberticide prese dal Governo Draghi? Davvero si crede ancora a questa enorme bufala? Evidentemente, visto l’odio e gli attacchi feroci che chi non si vaccina è costretto a sopportare quotidianamente, la maggior parte degli italiani, nonostante la matematica non sia un’opinione, ha scelto di credere a questo racconto fantasioso.

Per concludere: il Vice Ministro Sileri ha anche detto che Omicron, entro fine anno, l’avranno presa praticamente tutti, vaccinati e non. Solo che chi è vaccinato, dice il dottor Sileri: “PROBABILMENTE, sarà più protetto e potrà avere una forma più leggera”.