Cos’è l’autonomia differenziata e cosa prevede il ddl approvato al Senato

Il Senato ha approvato il ddl per l'attuazione dell'autonomia differenziata: cos'è e cosa cambierà dopo che il testo passerà alla Camera.

Dopo l’approvazione in Senato con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 3 astenuti, il testo del ddl passa alla Camera dei Deputati per la seconda lettura. Ma cos’è l’autonomia differenziata? Chi è a favore e chi contrario? Dalla sanità alla protezione civile, dall’energia all’ambiente, cosa cambia per gli enti regionali questa forma decentrata di “redistribuzione” dei poteri su 23 materie fondamentali?

Cos’è l’autonomia differenziata

Dopo l’approvazione in Senato con 110 voti favorevoli – hanno votato i gruppi di maggioranza, il gruppo per le Autonomie e la senatrice Mariastella Gelmini, in dissenso dai colleghi del gruppo di Azione che si sono invece astenuti – il testo del ddl passa alla Camera: ma cos’è l’autonomia differenziata e cosa cambia per gli enti regionali quando diventerà legge?

Si tratta di un progetto di legge proposto dal ministro degli Affari regionali e delle autonomie, Roberto Calderoli oggetto di discussione nella legislatura precedente, dove ha subito alcune modifiche. La versione attuale sottoposta a votazione richiama la formulazione originaria del testo, che mira a “attuare l’autonomia delle Regioni a statuto ordinario”, come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, modificato nel 2001 con l’appoggio del centrosinistra. Le Regioni a statuto ordinario che ne faranno richiesta potranno ottenere autonomia decisionale su un massimo di 23 ambiti, tra cui la sanità, l’istruzione, l’energia e la sicurezza sul lavoro.

Il contesto normativo del ddl

La proposta di un’autonomia differenziata -che implica la possibilità di trattenere una parte delle entrate fiscali generate sul territorio per finanziare i servizi e le funzioni di cui si richiede il trasferimento di competenze – è dunque uno degli effetti della riforma del Titolo V della Costituzione, promossa dal centrosinistra nel 2001. Nel nuovo articolo 117 sono state indicate espressamente le materie di competenza statale (politica estera, immigrazione, difesa, ecc) mentre le Regioni sono diventate titolari di tutti quei settori normativi non attribuiti allo Stato.

Ma la vera novità fu la modifica dell’articolo 116 con cui si sancì che le Regioni ordinarie potessero richiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. In questo contesto è dunque maturata questa storica battaglia della Lega che, come già accennato, fu inserita nel contratto di governo che diede vita al Conte I e si trova nel programma dell’attuale governo Meloni.

Sono gli 11 articoli del ddl con cui vengono definite nel dettaglio le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione: le singole Regioni potranno chiedere fino ad un massimo di 23 materie che includono temi fondamentali come la sanità, l’istruzione, l’energia, l’ambiente e la sicurezza sul lavoro.

Il nodo dei LEP

Quattordici sono invece le materie definite dai LEP che sono i livelli essenziali di prestazione. In queste materie di competenza concorrente Stato-Regioni su cui gli standard minimi delle prestazioni dovranno essere assicurati su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un aspetto cruciale della legge, particolarmente voluto dai partner di maggioranza sensibili all’unità nazionale: in pratica, tutte le Regioni devono garantire un livello minimo di servizi uguali per tutti i cittadini, indipendentemente da dove vivono.

C’è una discussione su come garantire che tutte le Regioni abbiano gli stessi servizi di base e che questa autonomia non aumenti le differenze tra le Regioni più ricche e quelle più povere. Dunque, in base a quanto stabilito dall”articolo 4, modificato in Aula al Senato da un emendamento di FdI, senza Lep e il loro finanziamento, che dovrà essere esteso anche alle Regioni che non chiederanno la devoluzione, non ci sarà Autonomia.

Questione non semplice: i Lep sono attualmente ancora in corso di definizione e soprattutto non è chiaro come saranno finanziati considerando le ristrettezze economiche che hanno caratterizzato la manovra finanziaria del governo Meloni. Era stato previsto un fondo perequativo per le Regioni che non richiedono l’Autonomia ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha appunto precisato che la riforma va attuata ad invarianza di bilancio statale.

Anche dal punto di vista giuridico l’iter non sarà semplice e automatico. Entro 24 mesi dalla data di attuazione della proposta di legge, il governo sarà tenuto a emettere uno o più decreti legislativi che stabiliranno i LEP. Successivamente, Stato e Regioni avranno 5 mesi per raggiungere un accordo su questi livelli e le relative risorse finanziarie. Una volta che l’accordo sarà attuato, avrà una durata massima di 10 anni e potrà essere rinnovato.

La clausola di salvaguardia

C’è una clausola di salvaguardia: il governo ha il potere di prendere il posto delle istituzioni regionali, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nel caso in cui queste entità non rispettino gli accordi internazionali, le leggi dell’Unione Europea, o quando ci sia un grave pericolo per la sicurezza pubblica e sia necessario preservare l’unità giuridica o economica. Questa sostituzione avviene soprattutto per garantire la tutela dei livelli minimi dei servizi che riguardano i diritti civili e sociali.

Favorevoli e contrari

Pro e contro dell’autonomia differenziata. Chi sostiene l’autonomia differenziata – la maggioranza di governo e le Regioni più ricche come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna – ritiene che dando maggiori responsabilità alle Regioni, queste saranno spinte a diventare più efficienti nell’erogare servizi. Dall’altra parte, coloro che sono contrari – le opposizioni hanno già giurato battaglia e un possibile referendum – temono che concedere questa autonomia senza prima risolvere le differenze nei livelli dei servizi possa aumentare ulteriormente le già evidenti disuguaglianze sociali e territoriali presenti nel Paese.

Vera Monti
Vera Monti
Giornalista pubblicista e precedentemente vice- presidente di un circolo culturale, scrivo di arte e politica - le mie grandi passioni - su varie testate online cercando sempre di trattare ogni argomento in tutte le sue sfaccettature. Ho intervistato vari personaggi della scena artistica nazionale e per Trend online mi occupo principalmente di politica ed economia
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