Parlamentarizzare la crisi di Governo: una spiegazione semplice su cosa significa

Mattarella ha respinto le dimissioni del premier Draghi, che dovrà parlamentarizzare la crisi mercoledì. Che significa e quali sono le conseguenze?

Lo sappiamo bene, ogni volta che una crisi di Governo fa capolino nel nostro Paese i giornalisti utilizzano dei termini che possono creare confusione. Ad esempio che cosa vuol dire parlamentarizzare la crisi? E invece crisi parlamentare ed extraparlamentare? 

Tutte queste espressioni sono comunemente utilizzate nel gergo politico e risultano complesse a chi non conosce approfonditamente il diritto costituzionale e il funzionamento dell’Esecutivo. Vogliamo dare una spiegazione che sia la più semplice possibile e per farlo dobbiamo partire dalle basi, ovvero dal voto di fiducia/sfiducia e dal ruolo del Presidente del Consiglio.

Che significa “parlamentarizzare la crisi di Governo”

In Italia, e in moltissimi altri Paesi democratici del mondo, il Parlamento è l’organo fondamentale dello Stato: è da qui che il Governo acquisisce la sua legittimazione. Infatti, prima di dare inizio al mandato, il premier e la sua squadra di ministri, con e senza portafoglio, devono incassare la fiducia di entrambi i rami parlamentari. Lo prevedono tassativamente gli articoli 93 e 94 della Costituzione.

Le cose però non vanno sempre bene: se l’operato del Governo perde l’appoggio della maggioranza politica che lo rappresenta allora si apre “la crisi.” Ed è quello che sta accadendo in queste ore a seguito delle dimissioni spontanee del premier Draghi: Mattarella le ha rifiutate invitando il premier a parlamentarizzare la crisi. Ma cosa vorrà mai dire? Il significato è più semplice di quanto si pensi. Essendo il Governo un organo legittimato dalla Camera dei deputati e dal Senato, il premier dovrà presentarsi nelle aule parlamentari, laddove il suo mandato ha avuto inizio.

Mercoledì 20 luglio, quindi, la crisi sarà “parlamentarizzata”, per verificare se effettivamente Draghi e la sua squadra abbiano ancora l’appoggio della maggioranza politica, necessaria per operare. Infatti soltanto il Parlamento ha il potere di porre fine al Governo una volta per tutte o di decretare il suo proseguimento con “rimpasti e ribaltoni”.

Crisi parlamentare o extraparlamentare: cosa sono

Una crisi di Governo non è mai una cosa positiva, né dal punto di vista economico né organizzativo del Paese. Ma non vuol dire necessariamente che l’Esecutivo cadrà e che saranno indette nuove elezioni. Solitamente le crisi sono divise in due tipologie differenti:

  • extraparlamentari, cioè quelle che sorgono al di fuori del Parlamento e senza il suo coinvolgimento. Sono generate da turbolenze politiche interne alla maggioranza che rendono impossibile proseguire il programma del Governo, approvare decreti e intraprendere scelte decisive per il destino dell’Italia;
  • parlamentari, quando l’Esecutivo è colpito da una mozione di sfiducia o non riesce ad ottenere la fiducia per dare inizio o proseguire il mandato.

Di solito quando si è in presenza di una crisi di tipo extraparlamentare il Presidente della Repubblica impone al premier in carica di parlamentarizzare la crisi presentandosi dinanzi a deputati e senatori.

Chi concede o revoca la fiducia al Governo

La fiducia, in ambito costituzionale, è la votazione con la quale l’organo legislativo consente all’Esecutivo di avviare l’incarico che durerà per i successivi 5 anni. Ed è anche il mezzo con cui può controllare il suo operato, imporre un cambio di rotta o, nella peggiore delle ipotesi, le dimissioni. Ai sensi dell’articolo 94 della Costituzione:

“La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.”

Funziona così: il Presidente della Repubblica nomina il futuro premier e lo invita a presentarsi alle Camere per incassare la fiducia, soltanto in caso di esito positivo ottiene i pieni poteri. Il voto si svolge per appello nominale con scrutinio palese, vale a dire che ogni parlamentare si assume la responsabilità della propria decisione. La mozione di sfiducia, invece, è la richiesta firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera di delegittimare il Governo e si considera valida se votata dalla maggioranza semplice dei presenti.

L’esito negativo del voto di fiducia o la mozione di sfiducia rappresentano due momenti molto critici: viene meno il vincolo fiduciario tra i due organi e costringe il Primo ministro a dichiarare aperta la crisi di Governo.

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