Non sempre fanno ridere, ecco quando e perché i clown fanno paura

Da Pennywise di It ad American Horror Story: ecco perché i clown (a volte) ci fanno paura.

La paura dei clown è un disturbo vero e proprio, e come tale ha anche un nome specifico, ovver coulrofobia (deriva da fobia, paura, e dalla parola greca che identifica chi cammina sui trampoli).

Nuovi studi hanno ora identificato le cause di questa fobia, che risiederebbero principalmente nel modo in cui il nostro cervello elabora le immagini. Ecco allora perché i clown ci fanno paura, e come superare questo terrore.

Effetto It: perché i clown ci fanno paura

Un tempo si è pensato che la paura dei clown fosse dovuta principalmente alla rappresentazione negativa che di quest’ultimi si aveva in alcuni prodotti di successo della cultura di massa, fra tutti il capolavoro di Stephen King It, sia come romanzo che come film.

La maggior parte delle persone che sono affette da coulrofobia, però, tende a manifestare paura o addirittura terrore anche in presenza di clown giocosi e innocui, per cui la situazione non sembra paragonabile alla paura che si potrebbe avere di uno squalo dopo aver visto il film di Spielberg.

In effetti, un nuovo studio pubblicato sulla rivista The conversation fa finalmente luce sul fenomeno, mostrando come sia strettamente legato al modo in cui il nostro cervello percepisce le informazioni e, soprattutto, con ragioni evolutive.

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Il nostro cervello, infatti, si è evoluto per riconoscere il volto umano, in modo da avere sempre chiaro chi sia o meno della nostra specie, sia per ragioni di difesa (un potenziale alleato, qualcuno con cui accoppiarsi o con cui cercare del cibo) che di attacco (un possibile rivale nel gruppo, per la ricerca di un partner, e così via).

Questo è anche il motivo per cui ci sembra di riconoscere frequentemente dei volti anche negli elementi naturali (la forma delle nuvole, le sfumatura delle foglie di una pianta).

Ora, in un clown la rappresentazione del volto da un lato è perfettamente coerente con l’immagine standard che il cervello è progettato per riconoscere (occhi, naso e bocca, il tutto ben visibile), ma allo stesso tempo presenta segnali contrastanti.

Gli occhi sono infatti troppo grandi, la bocca sorride anche quando il resto del volto non lo fa, il naso è estremamente grande, e soprattutto i colori nel complesso sono troppo vivaci: insomma, è come se avessimo di fronte una bambola o un robot di dimensioni naturali, che però parla e si muove.

Questo crea un forte senso di estraneità da parte del cervello, che si trova quindi in una situazione di disagio e difficoltà che, in alcuni casi, può provocare anche sentimenti di paura e terrore.

A questo vanno aggiunti i comportamenti imprevedibili dei clown (anche questo non piace al cervello, amante di situazioni prevedibili e, dunque, sicure), e il loro modo di camminare: di nuovo, si tratta di un’imitazione della camminata umana, e quindi non rientra negli standard a cui siamo abituati.

Leggi anche: Disposofobia, quando l’accumulo diventa malattia: come riconoscerla e combatterla

Coulrofobia: qualche idea per cercare di superarla

Ovviamente, non tutti i clown sono come Pennywise di It; come per il buffone, anche il clown è nato soprattutto con l’obiettivo di mostrare le assurdità e i difetti, grandi e piccoli, di tutti.

Molti clown sono inoltre attivi in opere di volontariato, di cui è un ottimo esempio il gruppo Dottor Sorriso e Missione Sorriso, che si occupa proprio di rendere meno pesante e noiosa la vita dei piccoli pazienti ospedalieri.

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Nel momento in cui però la paura dei clown diventa veramente patologica, dato che si tratta di una figura che si ha sempre la possibilità di incontrare nella vita quotidiana, è consigliato iniziare un percorso di terapia.

Si tratta soprattutto di psicoterapia cognitivo comportamentale, che prevede anche tecniche di rilassamento e meditazione per aiutare il paziente a superare le proprie paura.

L’obiettivo, dunque, è aiutare il paziente a reagire agli stimoli alla paura, talvolta anche con l’esposizione guidata e progressiva verso l’oggetto della propria ansia, compresa la visione di fotografie e video, secondo modalità messe a punto dal terapeuta.

Leggi anche: Dismorfismo corporeo, la malattia di Marco Mengoni: cos’è e come si cura

Margherita Cerri
Margherita Cerri
Redattrice, classe 1998. Appassionata di letteratura e di scrittura, mi sono laureata in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano con una tesi sul rapporto fra Italo Calvino e il gruppo Oulipo. Dopo alcune esperienze come aiuto bibliotecaria e insegnante, ho svolto un periodo di studio a Parigi, e infine mi sono unita a Trend Online tramite uno stage curriculare. Scrivo principalmente di cinema, spettacolo, attualità e viaggi. Motto: Qualunque cosa sogni d'intraprendere
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